Fin dall’inizio della pandemia abbiamo cercato di leggerne gli andamenti cercando di prevedere peggioramenti o miglioramenti della diffusione delle infezioni e Rt prima e Rdt poi sono stati gli indici “bussola” che abbiamo usato orientarci nella direzione da prendere per le contromisure disponibili.
Entrambi esprimono l’accelerazione o decelerazione della diffusione delle infezioni da SARS-CoV-2 con alcune differenze sostanziali di metodo, dato che Rt utilizza i casi di cui è nota data inizio sintomi (e quindi lascia fuori tutti gli asintomatici) e cerca di ricostruire le diverse generazioni di casi in base al tempo seriale e ai tempi di incubazione noti. Rdt invece utilizza tutti casi identificati e ne ricostruisce la serie storica. Comunque, in entrambi, se il risultato è inferiore a 1 il valore è in diminuzione, ma a meno di un’attività di eradicazione in corso, il decremento è destinato a confluire e stabilizzarsi su valori di incidenza costanti nel tempo (e si spera bassi) con occasionali incrementi legati a focolai epidemici localizzati (si spera). Allo stato attuale l’obiettivo di sanità pubblica è quello di assestarci in una situazione di endemia con un numero costante di casi e allora Rdt (e Rt) sarà pari a 1.
Ora il quadro epidemiologico della pandemia è probabilmente in una fase ancora instabile ed è da monitorare, sapendo che una tendenza verso l’unità non necessariamente è foriera di sventure, soprattutto se associata a valori in incidenza bassa. Tuttavia il calcolo degli indici “bussola” è ancora utile. Ad esempio, in base alla stima di Rdt calcolata dal sistema MADE del 4 luglio, la regione Marche registra un aumento di incidenza che, se mantenuto, potrebbe nel giro di 14 giorni sforare la soglia dei 50 casi per 100.000.
L’avvento della variante Delta (che secondo ECDC per fine Agosto rappresenterà il 90% dei SARS-CoV-2 circolanti in UE) rende facilmente prevedibile un aumento delle infezioni nella ampia platea dei suscettibili, giovanissimi non vaccinati e meno giovani ancora non vaccinati completamente. Inoltre anche per i vaccinati con due dosi (che attualmente sono un terzo della popolazione nazionale) l’efficacia sembra attestarsi all’80%, lasciando comunque fuori un 20% di potenziali almeno parziali suscettibili. Un aumento dei casi è quindi molto probabile che ci sarà, ma il livello di allarme deve essere calibrato sulla frequenza di casi gravi e decessi che devono essere ridotti a valori minimi ed è su questi eventi che va mantenuta l’attenzione e prese le contromisure.
La priorità attuale è proteggere il più possibile i soggetti vulnerabili e comunque la popolazione adulta di età oltre i 60 anni e coloro che l’attività che svolgono sono a maggior rischio di contagiarsi e contagiare (sanitari, personale scolastico, etc) concludendo il ciclo di vaccinazione con due dosi e non disperdere le risorse e i vaccini disponibili nella vaccinazione dei giovanissimi, dove l’infezione circolerà più estesamente, ma con meno danni, e per i quali non è definito un obiettivo di salute raggiungibile prima dell’inizio del prossimo anno scolastico.
Insomma, una nuova ondata è altamente prevedibile, ma il suo impatto dovrebbe essere completamente diverso dalle precedenti.
Nel frattempo leggere i dati è vitale ed anzi la sorveglianza in ogni singola regione e PA andrebbe arricchita da analisi tempestive sulle caratteristiche dei casi e sui focolai epidemici per valutare i margini di prevenzione disponibili.
Stefania Salmaso epidemiologa AIE
fonte: Epidemiologia&Prevenzione