Chi non accetta lezioni sui diritti umani ? A proposito della guida OMS ai servizi di comunità. di Roberto Mezzina

Trieste é stata nominata dall’OMS tra le migliori organizzazioni complete di servizi del mondo “incentrate sulla persone e basate sui diritti” attraverso un processo rigoroso di selezione della letteratura, dei dati, dei report disponibili.

Il manuale é stato sviluppato col contributo di centinaia di esperti di tutto il mondo. Altri programmi sono indicati e descritti in singole aree,  dalla risposta alla crisi ai ricoveri, dai programmi per peer support all’affidamento eterofamiliare. La guida d’orientamento dell’OMS si articola in:

-Un documento globale che definisce il contesto, riassume le buone pratiche e presenta raccomandazioni specifiche per l’integrazione dei servizi incentrati sulle persone e basati sui loro diritti nei settori sanitario e sociale

-Sette pacchetti tecnici di supporto, contenenti descrizioni dettagliate dei servizi di salute mentale dalle buone pratiche, approfondimenti pratici sulle sfide affrontate e soluzioni messe in atto dai servizi man mano che si evolvono, nonché i passi necessari per lo sviluppo di  questi  servizi. I sette pacchetti tecnici comprendono:

  • Servizi di salute mentale per la crisi
  • Servizi di salute mentale ospedalieri
  • Centri di salute mentale comunitari
  • Servizi di salute mentale di supporto tra pari
  • Servizi che raggiungono e sostengono le persone sul territorio (community outreach)
  • Vita supportata per la salute mentale
  • Reti complete di servizi di salute mentale

Vi sono case per la crisi, spesso gestite da peer, i ben noti Dialogo Aperto finlandese e il modello residenziale Soteria applicato a Berna; servizi ospedalieri che non si limitano al ricovero ma lo prevengono sul territorio (Hidenheim in Germania) o che utilizzano terapie alternative ai solo farmaci (BET in Norvegia); centri di salute mentale comunitari gestiti con approcci olistici e col supporto dei peer in Myammar e in Brasile (CAPS III Brasilandia a Sao Paulo, con posti letto), una clubhouse di Hong Kong sul modello di Fountain House. Inoltre sono descritti gruppi di supporto tra uditori di voci in Danimarca, o in Kenia per la difesa dei diritti, in Canada per il sostegno dopo il ricovero, e servizi che raggiungono le comunità locali in India, Zimbabwe (la “panchina dell’amicizia”), Irlanda, West Bengala, l’ombudsman personale svedese per dare supporto legale e risolvere anche i bisogni sociali. Vi sono ancora servizi di supporto alla vita indipendente offerto da un’ONG in Georgia, il programma Home Again di The Banyan in India, dedicato alle donne con schizofrenia abbandonate per strada, reti di supporto collegate e diffuse (KeyRing) e di abitare assistito (Shared Lives) in UK, per finire alle reti di servizi integrate di Campinas (Brasile), Lille e Trieste.

La discriminante é sposta sul rispetto e la realizzazione del diritto all’autodeterminazione, al consenso informato, ad evitare pratiche coercitive, alla libertà personale e da pratiche disumane e degradanti come la contenzione, al rispetto della capacità legale, al processo di decisione supportato. Ogni capitolo presenta le evidenze e i dati disponibili e la applicabilità del modello.

L’ OMS, nel suo programma Quality Rights, pone tutto ciò, in particolare il rispetto della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità applicata alla salute mentale, al centro di un buon servizio di salute mentale comunitario. Nulla di ideologico, ma evidenze scientifiche ed etica alla base di questo approccio.

Una volta archiviati i grandi manicomi in Italia (ma non nel mondo), come premessa fondamentale di abbattimento dei muri fisici dell’esclusione, la grandissima attualità della legge 180, nata dal pensiero e dall’azione di Basaglia a Gorizia e poi a Trieste, e di una salute mentale democratica, sta proprio nell’aver restituito diritti, appartenenza e cittadinanza a coloro che ne erano stati esclusi.

Leggendo il capitolo su Trieste, nonostante i suggerimenti di revisione inviati all’OMS, si stenta un po’ a riconoscerne l’unicità, fatta di grandissima integrazione di approcci sociali e centrati sulla soggettività delle persone, sui diritti ma anche sulla risposta ai bisogni, su alternative al ricovero attraverso i CSM con posti letto, fino all’impiego strategico del budget di salute per rispondere ai bisogni di maggior autonomia e ai percorsi di ripresa anatrando nella vita quotidiana nei suoi meccanismi. Il manuale invece verifica – e viviseziona quasi – i singoli articoli della convenzione rispetto al servizio triestino: scopriamo allora che é importante il basso numero di TSO, ma che andrebbe assunto come un obiettivo la abolizione di questo provvedimento; che la negoziazione delle soluzioni e dei progetti personalizzati é uno strumento per  rispettare l’unicità del punto di vista del singolo utente ma che ciò deve essere ancora più visibile; che la porta aperta serve a evitare sopraffazioni, contenzioni e incidenti, ma deve legarsi alla condivisione di responsabilità tra servizio e utenza, inclusa la famiglia, per trovare soluzioni diverse e alternative.

In tutte queste aree c’é quindi certamente da migliorare: ma nonostante tutto, ciò che il manuale non dice, é che Trieste fa a meno di qualsiasi istituzione chiusa, non propone “alternative” all’interno di un sistema doveva coazione resta dominante da qualche altra parte, ma rappresenta in sé un modello integrato, di risposta alla vita nella sua interezza, delle persone con disturbo mentale, dentro un determinato contesto sociale e dentro una comunità che deve essere resa partecipe, e contribuire alla trasformazione che é soprattutto culturale, contro lo stigma, contro l’esclusione del diverso: o, per meglio dire, del “temporaneamente diverso” che però a questa comunità ritorna, spesso nella sua piena, pur problematica e sofferta, normalità.

Tutto questo sta nel manuale, lanciato in tutto il mondo. La questione di servizi che fanno della personalizzazione delle cure e delle opportunità di ripresa, in un quadro di diritti non solo rispettati ma attuati concretamente, e di una “cittadinanza vissuta”, é dunque ciò che fa oggi la salute mentale di comunità.

Forse allora bisognerebbe esplicitare dove si vuole andare. Pretendere di rispettare e far rispettare i diritti é poco? E’ troppo?

Negare i diritti delle persone é cosa che nessuna organizzazione mondiale più accetta: anche la World Psychiatric Association, l’associazione mondiale degli psichiatri, ha editato un documento sulle alternative alla coercizione che ha avuto il plauso delle organizzazioni degli utenti. A presiedere questo lavoro una psichiatra italiana, Silvana Galderisi. Per intenderci, questa é la casa-madre della SIP, Società Italiana di Psichiatria, che forse però non se n’é accorta, a giudicare dagli interventi piuttosto scomposti di questi giorni.

Trieste indica la direzione o almeno una delle strade possibili in questa direzione. Essa tra l’altro permette agli operatori di lavorare con più soddisfazione e meno incidenti, e alla fine con maggior rispetto del loro ruolo terapeutico e di assistenza.

Poi c’è l’altra via: quella di chi, infischiandosene dei diritti sanciti internazionalmente, legittima la contenzione, la reclusione, la riduzione dell’uomo a corpo-cosa. Occorre scegliere da che parte stare. C’è chi, come a livello globale fa Putin (leggiamo sul giornale) “non accetta lezioni sui diritti umani” mentre li viola costantemente. Chi lo fa se ne assuma la responsabilità, di fronte alla sua comunità e alla coscienza civile di un intero paese.

Roberto Mezzina
fonte : Coordinamento nazionale Salute Mentale
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