Come avevano già anticipato a marzo le stime provvisorie dell’Istat, l’impatto della pandemia è stato fortissimo in termini di aumento della povertà assoluta, nonostante i diversi provvedimenti messi in campo dal governo per sostenere il venir meno del reddito siano stati consistenti.
Senza di essi l’impatto sarebbe stato più severo sia in termini di incidenza sia in termini di intensità della povertà. Del resto, era difficile aspettarsi che le cose andassero diversamente. Tra lavoratori/lavoratrici in cassa integrazione, lavoratori/lavoratrici che hanno perso il lavoro nonostante il blocco dei licenziamenti, attività che hanno dovuto chiudere, molte famiglie hanno perso, o si sono viste ridurre, l’unico reddito disponibile, o hanno perso uno dei percettori di reddito.
La piccola diminuzione nella incidenza della povertà assoluta registrata nel 2019 dopo anni di costante aumento si è rovesciata in un aumento di oltre un punto per le famiglie e quasi due punti per gli individui.
Si tratta rispettivamente di 330 mila circa di famiglie e un milione di persone in più dell’anno prima. Si può discutere se, in un periodo eccezionale quale quello che abbiamo attraversato, in cui tutti abbiamo forzatamente diminuiti i consumi, l’indicatore della povertà assoluta costituito dal valore complessivo del paniere dei beni essenziali (alimentazione, spese connesse all’abitazione, abbigliamento e poco altro) non debba essere “spacchettato”, stante che alcune spese, come ad esempio l’abbigliamento, possono non essere state fatte non per mancanza di risorse, ma per mancanza di necessità, vista la mobilità e socialità ridotta cui tutti sono stati costretti.
Ma con lo stesso ragionamento si potrebbe sostenere che alcuni beni, non compresi nel paniere, si sono rivelati viceversa essenziali e la loro mancanza ha costituito un elemento di povertà aggiuntiva. Si pensi agli strumenti informatici come un computer o un tablet e a giga sufficienti per seguire la didattica a distanza, la cui mancanza ha allargato ulteriormente le disuguaglianze tra bambine/i e adolescenti in termini di opportunità di apprendimento. Analogamente, il venir meno di alcuni servizi, quali la mensa scolastica, durante il lungo lockdown, ha ridotto la possibilità di bambine/i poveri di avere un pasto giornaliero nutrizionalmente adeguato.
Anche senza considerare questi aspetti, bambine/i e adolescenti si confermano i soggetti più vulnerabili alla povertà, balzando al 13,5%, oltre 5 punti percentuali sopra la media. Con le loro famiglie sperimentano anche una maggiore intensità della povertà rispetto alla media. Sono inoltre i bambini/e che hanno fratelli e sorelle, specie più di uno, e le loro famiglie, a sperimentare più frequentemente la condizione di povertà assoluta rispetto a chi non ha fratelli o sorelle, o solo uno. Prima di preoccuparci dei tassi di natalità dovremmo preoccuparci delle condizioni di deprivazione e mancanza di opportunità in cui lasciamo cresca oltre un milione di bambine/i e adolescenti in un Paese che fa parte dei 7 più sviluppati al mondo.
Proprio perché l’aumento della povertà assoluta è un effetto diretto delle misure prese per contrastare la pandemia, non deve stupire che l’aumento maggiore sia avvenuto nelle regioni settentrionali, sia perché lo scorso anno sono state colpite prima e più a lungo dal lockdown, sia perché hanno una maggiore concentrazione di imprese e attività che hanno dovuto chiudere o rallentare, anche se il Mezzogiorno continua a essere l’area con la più alta incidenza di povertà. Il gap Nord-Sud, quindi, si è ridotto non per un miglioramento della situazione nel secondo, ma per un allargamento dell’area della vulnerabilità anche a regioni e gruppi sociali che ne sembravano più protetti.
Infine, nonostante la stragrande maggioranza delle famiglie in povertà assoluta sia composta solo da italiani, l’incidenza è molto più alta nelle famiglie in cui vi è almeno uno straniero (residente regolarmente in Italia), ove riguarda una famiglia su quattro, a differenza del 6% delle famiglie di soli italiane. Tra gli stranieri, infatti, si concentrano i lavoratori poveri, spesso senza o con scarse coperture previdenziali e assistenziali.
Questi dati dovrebbero rimanere sul tavolo di chi gestirà il Pnrr, perché la ripresa che speriamo arrivi non lasci indietro chi già ha subito pesantemente gli effetti della pandemia, per evitare che le diseguaglianze e vulnerabilità di vario tipo di cui sono espressione non si cristallizzino ulteriormente.
FONTE: La Repubblica