Giacomo Galletti con Francesca Collini e Alfredo Zuppiroli
Le cure palliative soffrono di un errato inquadramento: troppi, anche tra i medici, le considerano confinate solo alla terapia del dolore, alle malattie neoplastiche, solo agli ultimi giorni di vita. Passare dal concetto di “end of life”, il fine vita, a quello di “late life”, significa allargare il nostro sguardo ad una vita condotta sempre più spesso in condizioni di fragilità, di cronicità, pur non ancora di terminalità.
Si chiama “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate ditrattamento”, e, come ormai tutti sappiamo, si tratta della legge sul biotestamento, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2018 ed entrata in vigore alla fine del mese.
In seguito alla pubblicazione del testo normativo, il dibattito è sembrato concentrarsi prevalentemente sul tema etico, a scapito di approfondimenti nell’ambito dell’organizzazione dei servizi dedicati, da parte del SSN, alle persone alla fine della loro vita.
In quest’ottica, provando ad individuare e sintetizzare i punti chiave della legge, si annota:
- il divieto di ogni forma di accanimento terapeutico,
- il riconoscimento del diritto del paziente alla rinuncia alle terapie,
- la garanzia della terapia del dolore fino alla sedazione profonda continuata,
- la garanzia l’erogazione delle cure palliative.
È l’ultimo punto della lista, però, a sollevare alcuni interrogativi in chiave di organizzazione dei servizi. In particolare:
- qual è lo stato delle cure palliative in Italia?
- Qual è il modello organizzativo di riferimento?
- Queste cure sono disponibili ovunque, attualmente, sul territorio nazionale?
In particolare, se la risposta all’ultima domanda fosse negativa, la stessa legge sul biotestamento non risulterebbe forse depotenziata?
Una risposta, pur parziale, in tal senso, può essere abbozzata sulla base delle informazioni offerte dal rapporto dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana (di qui in poi ARS) intitolato “La qualità dell’assistenza nelle cure di fine vita”[1]. disponibile online.
Lo studio ha il pregio di essere il primo del genere effettuato a livello regionale sul tema in oggetto, descrivendo la tipologia di cure e di assistenza nel fine vita nell’ambito di percorsi assistenziali che si propongono di garantire al paziente la migliore qualità di vita possibile, attraverso l’individuazione e la presa in carico di una malattia cronica a prognosi infausta.
Sebbene si parli di Toscana e non di Italia, il documento può comunque aiutare a comprendere meglio i modelli organizzativi e le risorse in campo per il fine vita.
Prima di entrare nel merito del rapporto, vale la pena però segnalare un post recentemente pubblicato su questo stesso blog dal titolo evocativo: “Morire con Grazia” [2].
Qui, Alfredo Zuppiroli, nel recensire il libro di Sandro Spinsanti “Morire in braccio alle Grazie”, fa due cose:
– scrive che “La chiave di lettura del tempo [il krònos e il kairòs… e su questo rimandiamo alla fonte] ci consente di cogliere il contrasto tra un modello di Sanità prevalentemente centrato sulle malattie acute ed i crescenti bisogni di chi invece è affetto da più patologie croniche”.
– cita quello stesso rapporto di Ars che Zuppiroli ha curato insieme a Francesca Collini.
Per rendere più efficace l’approfondimento sulla questione dei modelli organizzativi dei servizi dedicati alle cure palliative, si è preferito ricorrere alla forma dell’intervista.
Gli interventi dell’intervistatore (l’autore del post) sono segnalati quindi in grassetto.
Alfredo Zuppiroli, come inquadreresti il discorso sulle cure palliative in relazione alla legge sul biotestamento?
Non lo inquadro.
Mi spiego meglio: “inquadrare” significa definire una cornice di riferimento, e su questo tema penso che il discorso vada inquadrato da un punto di vista più ampio, spostando il focus dalle cure palliative alla cura delle cronicità, di cui le cure palliative sono un pilastro insieme alle cure attive sulla malattia.
… spostare l’attenzione dal morire al vivere…
… o meglio ancora, dal concetto di “end of life“, il fine vita, a quello di “late life”, che non saprei bene come tradurre in italiano, ma che rende l’idea. Purtroppo le cure palliative stesse soffrono di un errato inquadramento: troppi, anche tra i medici, le considerano confinate solo alla terapia del dolore, solo delle malattie neoplastiche, solo negli ultimi giorni di vita… (qui Francesca ti può fornire tutti i dati relativi all’utilizzo temporale dell’Hospice) … Invece, ragionare sulla late life significa allargare il nostro sguardo ad una vita condotta sempre più spesso in condizioni di precarietà, di fragilità… insomma, in condizioni di cronicità, pur non ancora di terminalità.
E con questo spostamento di prospettiva, come cambierebbe il quadro delle cure palliative?
Cambierebbe appunto radicalmente, perché così le cure palliative si integrerebbero con le cure più tecniche, più intensive, in altre parole si realizzerebbe quella simultaneità di cure che vede la sofferenza fisica e psichica del malato e dei suoi cari riconosciuta meritevole di attenzione e cura al pari dei dati biomedici propri della malattia. Se guardiamo bene, nella legge si parla di cure palliative in tre specifici punti: nel comma 10 dell’articolo 1, quando si enuncia testualmente che la formazione iniziale e continua comprende anche la formazione in cure palliative (forse era meglio usare il tempo futuro al posto del tempo presente…). Ancora, nel primo comma dell’articolo 2, il cui titolo recita “Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignita’ nella fase finale della vita”, a conferma di una visione riduttiva dell’ambito delle cure palliative. Infine, ed è qui che mi trovo in maggiore sintonia, nel comma 2 dell’articolo 5, intitolato “Pianificazione condivisa delle cure”, dove si dice testualmente che “Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari … sono adeguatamente informati .. sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative”. Ecco, mi piace molto questa visione integrata, duale e non dualistica, delle possibilità di cure come intervento e come palli azione…
… visione integrata, duale e non dualistica…
Appunto. Un contesto, cioè, in la cui scelta deve essere pianificata e condivisa tra il paziente ed i curanti: è questa la dualità. Del resto, è già tutto scritto nella legge 38 del 2010, opportunamente richiamata anche dalla nuova legge, purtroppo ancora in gran parte inapplicata…
Nel giro di poche battute siamo quindi passati dal concetto di end of life a quello di late life, e da una visione “dualistica” ad una “duale”.
Sarebbe però interessante, ora, dare una consistenza numerica all’argomento.
Alfredo ha sollevato la questione sull’utilizzo temporale dell’Hospice. Francesca Collini, sulla base dei dati elaborati nel rapporto è possibile dire in merito?
Come sottolineato nel rapporto, nonché nel precedente post di Alfredo, i dati purtroppo non sono confortanti nemmeno nella performante regione Toscana.
Tra i pazienti deceduti con una storia clinica di tumore, il 17% accede in hospice nell’ultimo mese di vita, e la percentuale si riduce all’1% se si tratta di pazienti con cronicità come lo scompenso cardiaco o broncopneumopatia ostruttiva (due tra le malattie croniche più frequenti). Se poi andiamo in dettaglio scopriamo che la meta di questo 17% e 1% di pazienti accedono ad una struttura hospice solo nell’ultima settimana di vita!
Benché ci sia il rischio che i dati risultino sottostimati, data una specificità settoriale che non sempre flussi amministrativi regionali riescono a rappresentare, possiamo comunque affermare con certezza che l’attivazione delle cure di tipo palliativo avviene veramente molto tardi e senza una vera pianificazione…
La “end of life” invece che la “late life” di cui parlava Alfredo.
Esatto. Ma per descrivere ancora meglio lo scenario, è interessante sapere che 2016 il 75% dei pazienti toscani, con le caratteristiche descritte sopra, non ha fatto ricorso a cure palliative (a meno che non si siano rivolti al terzo settore la cui attività, ad oggi, non viene registrata attraverso dei flussi informativi strutturati a livello regionale).
Inoltre, il 13% ha attivato un percorso domiciliare con i servizi territoriali, l’11% si è rivolto all’hospice, e un 2% ha attivato sia un percorso di cure domiciliari che in hospice.
Il cambio di paradigma di cui parlava Alfredo, ovvero configurare un sistema di cure palliative in grado di integrarsi con quello della gestione delle cronicità, sarebbe in grado di migliorare le cose?
Se si pensa che i numeri citati non riguardano di certo la late life, e in fin dei conti nemmeno la end of life, ma piuttosto quella che potremmo chiamare la “very very end of life”, è chiaro che ci sia ancora del lavoro da fare.
-Francesca Collini, Ricercatrice Agenzia Regionale di Sanità, Regione Toscana.
-Alfredo Zuppiroli, Collaboratore Agenzia Regionale di Sanità, Regione Toscana.
Bibliografia
Rapporto ARS 2017. La qualità dell’assistenza nelle cure di fine vita (2017)
Alfredo Zuppiroli. Morire con grazia. Salute Internazionale, 12.02.2018
Fonte: http://www.saluteinternazionale.info/2018/02/biotestamento-e-cure-palliative/