Dagli ambientalisti è stata definita una sentenza storica: una corte olandese ha imposto a Shell di adeguare le sue politiche aziendali all’Accordo di Parigi sul clima. Perché la protezione dai cambiamenti climatici rientra fra i diritti umani.
Il caso
Con la sentenza del 26 maggio 2021, la Corte distrettuale dell’Aja ha ordinato alla Royal Dutch Shell Plc di ridurre le emissioni di CO2 del 45 per cento entro il 2030 rispetto al 2019. Si impone, quindi, alla Shell, e anche tramite le società del gruppo, di allineare, concretamente e senza condizioni, la politica aziendale agli Accordi di Parigi sul cambiamento climatico.
La sentenza – definita da ambientalisti, giornalisti e giuristi come “epocale”, “storica” – è stata emessa all’esito di un giudizio, incardinato nel 2019, da Milieudefensie, filiale olandese di Friends of the Earth, cui si sono associate altre sette organizzazioni, oltre che ben 17.379 cittadini olandesi.
Le argomentazioni della Corte destano particolare interesse, sia sotto un profilo strettamente giuridico, che sotto un profilo Esg (Environmental, Social and Governance).
Il ruolo delle organizzazioni internazionali
La novità sottesa alla pronuncia è che la protezione contro gli effetti del cambiamento climatico diventa un “diritto umano”. Come ribadito dallo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui diritti umani nel 2019, “è ormai comunemente riconosciuto che le norme sui diritti umani si applichino all’intero spettro delle questioni ambientali, compresi i cambiamenti climatici”.
L’interesse giuridico passibile di protezione e tutela non è tanto l’ambiente in sé, quanto le ripercussioni che il danno ambientale riverbera sulla collettività. La Corte si sofferma sul punto elencando, sulla base dei report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), i principali effetti negativi del cambiamento climatico per la popolazione olandese e, in particolare, per la zona del Wadden Sea (maggiormente esposta al rischio di inondazioni). Il quadro che emerge vede il cambiamento climatico come un potenziale fattore di rischio per la collettività in virtù del nesso tra il danno ambientale e le ripercussioni su diritti umani quali il diritto alla salute, a un ambiente sano e salubre e a una vita dignitosa.
Proprio sulla base di tali considerazioni, la Corte ha riscontrato la violazione da parte di Royal Dutch Shell Plc dell’articolo 162 del codice civile olandese, che dispone l’obbligo di porre rimedio ad “atti od omissioni che violino le regole non scritte di corretta condotta sociale” imponendo un generale “duty of care” (dovere di diligenza) anche per le persone giuridiche. La Corte, nel valutare la condotta di Royal Dutch Shell Plc, ha preso come riferimento i Principi guida delle Nazioni Unite (Unpg) quale strumento autorevole di “soft law” che stabilisce le responsabilità degli Stati e delle organizzazioni private in relazione ai diritti umani. La Corte ha valutato il rispetto dello “standard of care” considerando: le emissioni di CO2 del gruppo Shell, gli impatti di tali emissioni sul diritto alla vita e sul diritto alla vita privata e familiare dei residenti olandesi e degli abitanti della regione di Wadden, i Principi guida delle Nazioni Unite sui diritti umani, la domanda di energia, i possibili interventi per prevenire cambiamenti climatici, i percorsi di riduzione delle emissioni e la relativa onerosità per il gruppo Shell.
È stata quindi sancita l’inadeguatezza delle politiche adottate dalla società olandese in tema di emissioni di CO2, sulla base di evidenze scientifiche e standard internazionali. La Royal Dutch Shell Plc riteneva e affermava la natura prettamente politica di tali valutazioni e la non competenza del potere giudiziario, di conseguenza ha già preannunciato che proporrà appello di fronte alle autorità competenti.
Il dibattito rimane aperto e solo il tempo conferirà il carattere di “unicità” e “storicità” ai principi enunciati nella sentenza; principi che, ove confermati, ben potrebbero impattare su imprese operanti anche in altri settori, sancendo un loro generale obbligo in merito alla tutela del diritto alla salute. Certo è che la pronuncia si allinea al contesto normativo e giurisprudenziale attuale che pone i temi Esg al centro della strategia delle imprese.
Il “caso Shell” è un esempio di come i principi e gli standard di sostenibilità, internazionalmente riconosciuti (si pensi ai Sustainable Development Goals, all’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico, o ancora ai Principi guida dell’Onu e alle Linee guida Ocse per le imprese multinazionali), pur essendo privi di efficacia vincolante diretta, possano avere una rilevanza giuridica tale da imporre alle imprese azioni concrete da ricomprendere nelle politiche societarie.
fonte: lavoce.info