Abbiamo aspettato la notizia di una delega politica sulle droghe e della convocazione di una Conferenza nazionale per 12 anni, o meglio per 21 a Genova con don Gallo, se consideriamo che la Conferenza 2009 a Trieste non è stata che una claque di consenso alla legge Fini -Giovanardi. La notizia dell’avvio del percorso di organizzazione della Conferenza entro l’anno non può che essere una buona notizia, e anche una nostra vittoria: per anni l’abbiamo inclusa nella nostra agenda politica, fino a diffidare nel 2017 il governo per inadempienza. E tuttavia le buone notizie si stanno incagliando in ciò che apprendiamo, per altro, in tanti, in modo informale, perché manca qualsiasi dispositivo partecipativo trasparente e pubblico, precondizione minima.
Il Dipartimento Politiche Antidroga sembra pensare che gli attori titolati alla partecipazione siano Ser.D e comunità, che sono importanti ma gli attori sono ben di più, società civile esperta, ricercatori indipendenti, le persone che usano droghe: non siamo a 30 anni fa, loro ci sono, sono organizzati e sono i primi “portatori di interessi”. Uno dei temi proposti (fuoriluogo.it/conferenza) circa il sistema di intervento recita “SerD, comunità e volontariato”: sono decenni che non è più così, il sistema ha setting, approcci e protagonisti diversi, solo uno sguardo in difesa dello status quo può non vederlo. La finalità generale recita, “la programmazione delle politiche relative alle dipendenze patologiche”. No, non siamo a 30 anni fa: a parte il linguaggio vetusto (e le parole sono pietre), non abbiamo alcuna possibilità di programmare se prima non valutiamo 30 anni di politiche penali, sociali, e sanitarie dagli esiti inefficaci quando non infausti. Nulla al di sotto di questo compito di valutazione. Non si possono poi centrare politiche che ricadono su milioni di persone che usano droghe secondo molti diversi modelli, limitandole alle cosiddette “dipendenze patologiche”, che meritano tutte le attenzioni ma sono una minoranza del fenomeno: lo scenario del consumo è radicalmente cambiato, e una Conferenza 2021 deve calibrarsi su consumi sempre più normalizzati, che non sono patologici ma che richiedono politiche innovative che si curino della sicurezza di chi consuma (“safety first”) e creino contesti che facilitino un uso sicuro, minimizzando rischi e danni.
Ecco, la riduzione dei danni e dei rischi (RdD): nei lavori della Conferenza semplicemente la RdD non è nemmeno menzionata. Sembra un ritorno all’editto di Serpelloni del 2009, la RdD non s’ha nemmeno da citare. La RdD si pratica in Italia dagli anni ’90, è nei LEA (sebbene inapplicati), ci lavorano centinaia di servizi, è pilastro delle politiche Europee; e soprattutto è il futuro, se si assume un principio di realtà e con esso la responsabilità politica di tutelare e promuovere la salute e il benessere di chi usa. La Strategia europea 2021-2025 le attribuisce un ruolo strategico, portandola fuori dalla generale “riduzione della domanda”, questa è la via. Nulla al di sotto di questo. E poi, il mondo è cambiato: le politiche alternative avanzano nel solco della decriminalizzazione dei consumi e della regolazione legale di alcuni mercati. Vogliamo parlarne o la Conferenza sceglierà di librarsi in un tempo fuori dal mondo? Nulla al di sotto di questo. Noi – movimento per la riforma delle politiche sulle droghe – lavoriamo per una Conferenza nazionale all’altezza dei tempi e mettiamo a disposizione le nostre competenze. Insieme, riprendiamo l’iniziativa di una Conferenza autoconvocata, rinviata a causa della pandemia, per elaborare e comunicare ciò che in una agenda politica e scientifica deve esserci. Starà al processo partecipativo in corso stabilire se si tratterà di fruttuosa sinergia o se, e non lo vorremmo, ci ritroveremo di fronte a una nuova Trieste.
fonte: Fuoriluogo