L’aumento delle temperature medie durante le stagioni calde è una delle conseguenze del cambiamento climatico. Secondo un recente studio pubblicato su Nature Climate Change, che ha analizzato quasi trent’anni di dati giornalieri su temperatura e mortalità, quasi il 40% delle morti associate al caldo in circa 700 località del mondo tra il 1991 e il 2018 sarebbero state causate dalle attività umane. In termini assoluti, le morti osservate durante le stagioni calde sono state 1 670 000, di cui circa 26 000 causate dal caldo e fra queste quasi 10 000 sarebbero di origine antropica. L’Europa centrale e meridionale sono le zone più vulnerabili, ma l’impatto del caldo sulla mortalità è notevole anche in paesi meno vulnerabili ma in cui gli effetti del cambiamento climatico sono già molto importanti, come per esempio il Paraguay. Nell’immagine una piazza di Montreal durante l’ondata di calore del 2011. Fonte: Nicolas Longchamps / Flickr. Licenza: CC BY-NC 2.0.
Quasi diecimila morti avvenute durante le stagioni calde tra il 1991 e il 2018 in circa 700 località distribuite in 43 paesi del mondo sarebbero attribuibili all’aumento delle temperature medie causato dall’attività umana, circa lo 0,6% del 1 670 000 decessi registrati in totale e quasi il 40% dei circa 26 000 associati al caldo.
C’è tuttavia una grande variabilità geografica, con le zone settentrionali di solito meno colpite da questo fenomeno rispetto a quelle meridionali. Nelle zone settentrionali di America, Europa e Asia, le morti attribuibili all’aumento delle temperature di origine antropica sono inferiori all’1% del totale registrato nelle stagioni calde, nelle regioni meridionali di Europa e Asia e in alcuni paesi del sudest asiatico e dell’Asia occidentale questa percentuale è ben al di sopra dell’1%, raggiungendo picchi del 2,7% in Paraguay e del 2,3% in Italia. È importante osservare che queste stime sono caratterizzate da un ampio margine di incertezza (l’intervallo di confidenza al 95% associato ai diecimila morti attribuibili al riscaldamento di origine antropica è 4 000 – 20 000).
Sono questi alcuni dei risultati di uno studio pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Nature Climate Change che rende conto di una sofisticata analisi statistica sui database giornalieri di mortalità e temperatura raccolti dal Multi-Country Multi-City (MCC) Collaborative Research Network, il più grande consorzio sul rapporto tra clima e salute. Si tratta del primo studio nel suo genere. Finora, infatti, gli scienziati si erano concentrati soprattutto sull’impatto potenziale che l’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico avrebbe avuto nel futuro in termini di mortalità, considerando diversi scenari. Molti studi avevano poi riguardato le morti causate dagli eventi di calore estremo, le cosiddette ondate di calore, periodi brevi in cui le temperature salgono in maniera anomala rispetto alla media stagionale.
«La nostra analisi non cattura gli eventi estremi, come ad esempio l’onda di calore dell’estate del 2003, ma piuttosto considera la tendenza generale all’aumento delle temperature. Questo era il nostro obiettivo», commenta Anamaria Vicedo-Cabrera che dirige il gruppo su cambiamento climatico e salute dell’Institute of Social and Preventive Medicine presso l’Università di Berna ed è prima autrice dello studio.
Per raggiungere questo obiettivo, i ricercatori hanno condotto un’analisi statistica sofisticata sulle serie storiche che gli ha permesso di stimare come la temperatura influenza la mortalità durante stagioni calde. In particolare, sono stati in grado di stimare di quanto aumenti il rischio di morire nei dieci giorni successivi all’osservazione di una certa temperatura rispetto a quello a cui la popolazione sarebbe esposta nei dieci giorni successivi all’osservazione della temperatura ottimale (diversa per ogni località e definita come quella a cui è associata la mortalità minore). Man mano che la temperatura si allontana da quella ottimale, il rischio cresce in modo esponenziale, come si vede guardando le funzioni di “esposizione-risposta” riportate nella figura sotto per alcune fra le 732 località presenti nel database.
Funzioni di esposizione-risposta per alcune località nel database. La linea verticale tratteggiata segna il 99esimo percentile della distribuzione delle temperature nella stagione calda in quella località. Fonte: Vicedo-Cabrera et al., Nat. Clim. Chang. 11, 492–500 (2021).
Le funzioni di esposizione-risposta riportano il rischio relativo, ovvero il rapporto fra il rischio cumulato di morte nei dieci giorni successivi all’osservazione di una certa temperatura e il rischio cumulato di morte nei dieci giorni successivi all’osservazione della temperatura ottimale. A Chicago, per esempio, una giornata a 31 °C (corrispondente al 99esimo percentile della distribuzione delle temperature osservate nelle stagioni calde tra il 1991 e il 2018) è associata a un aumento del 36% del rischio di morte (l’intervallo di confidenza al 95% è 28–47%), mentre a Johannesburg è solo del 9% dopo una giornata a 24 °C (intervallo di confidenza al 95% è 0.5–17%). A Berlino e Madrid il rischio aumenta del 57% rispettivamente dopo una giornata di 28 °C e 31 °C (gli intervalli di confidenza al 95% sono 47–67% per Berlino e 45-70% per Madrid).
La mappa sottostante riassume queste stime, mostrando l’aumento del rischio di mortalità osservato nelle diverse località in corrispondenza delle temperature più alte (99esimo percentile della distribuzione delle temperature durante le stagioni calde).
Rischio relativo di mortalità tra la temperatura più alta osservata nelle diverse località (99esimo percentile della distribuzione delle temperature nel database) rispetto alla temperatura ottimale (quella a cui è associata la mortalità minore). Un rischio relativo di 1,5 corrisponde a un aumento percentuale della mortalità pari al 50%. Fonte: Vicedo-Cabrera et al., Nat. Clim. Chang. 11, 492–500 (2021).
«La mortalità legata al caldo è particolarmente preoccupante nei paesi della regione mediterranea. Questi paesi sono molto vulnerabili rispetto all’aumento delle temperature, come si può vedere dalle funzioni di esposizione-risposta che abbiamo stimato» commenta Vicedo-Cabrera e aggiunge «la vulnerabilità al calore è il risultato di un un ampio insieme di fattori, dalla struttura demografica della popolazione, alle infrastrutture, al sistema sanitario pubblico, alle caratteristiche delle città, ecc.. L’età media è di certo un fattore rilevante perché gli anziani sono i più colpiti dal caldo».
Ma qual è la situazione in Italia? Nel database analizzato, sono presenti undici località del nostro paese: Bari, Bologna, Brescia, Civitavecchia, Frosinone, Genova, Latina, Palermo, Roma, Torino, Viterbo. Nella figura sotto sono riportate le funzioni di esposizione-risposta per ciascuna di queste località.
Funzioni di esposizione-risposta per le 11 località italiane nello studio. La linea verticale tratteggiata segna il 99esimo percentile della distribuzione delle temperature nella stagione calda in quella località. Fonte: per gentile concessione degli autori di Vicedo-Cabrera et al., Nat. Clim. Chang. 11, 492–500 (2021).
A Roma, l’aumento del rischio associato alle temperatura più alte, pari a circa 29 °C, è del 67%, mentre il rischio di morire raddoppia (cioè aumenta del 100%) nei dieci giorni successivi a una giornata di 31 °C a Bologna o di 29 °C a Brescia. A Genova l’aumento del rischio nei dieci giorni dopo una giornata a 28 °C è considerevolmente minore ed è pari a circa 34%.
«Oggi, sulla base delle informazioni e delle analisi che abbiamo, non possiamo capire perché una città è più vulnerabile dell’altra. È infatti estremamente difficile identificare i fattori principali che concorrono all’adattamento da una parte e alla vulnerabilità dall’altra», commenta Vicedo-Cabrera.
Una volta ottenute le funzioni di esposizione-risposta, i ricercatori le hanno utilizzate per costruire delle serie storiche di mortalità in due scenari. Uno fattuale, in cui usando diversi modelli climatici hanno generato una serie storica delle temperature tra il 1991 e il 2018 e l’altro, cosiddetto controfattuale, in cui hanno “escluso” il contributo antropico ottenendo la serie storica delle temperature che avremmo osservato tra il 1991 e il 2018 se non avessimo contribuito al riscaldamento globale.
«Abbiamo deciso di utilizzare una simulazione delle temperature nello scenario fattuale invece delle temperatura osservate per coerenza con lo scenario naturale», spiega Vicedo-Cabrera e aggiunge «inoltre, pur utilizzando la mortalità osservata per la stima della vulnerabilità, in realtà abbiamo ricavato un serie “sintetica” per la mortalità giornaliera di base tra il 1991 e il 2018, come media di tutti i decessi in ogni giorno dell’anno, al fine di rimuovere i picchi di mortalità osservati nel passato».
La temperatura media durante le stagioni calde nello scenario fattuale passa dai 21,5 °C della fine del Novecento ai quasi 23 °C degli anni 2010, mentre la temperatura rimane piuttosto stabile nello scenario controfattuale in cui gli effetti delle attività umane sono esclusi. Anche in questo caso ci sono forte variabilità geografiche, come si vede dalla mappa qui sotto.
Differenza media delle temperature della stagione calda tra lo scenario fattuale e quello controfattuale (senza contributo antropico). Fonte: per gentile concessione degli autori di Vicedo-Cabrera et al., Nat. Clim. Chang. 11, 492–500 (2021).
Per ciascuno scenario i ricercatori hanno stimato le morti associate al caldo, come numero di morti che si sono verificati nei dieci giorni successivi all’osservazione di temperature sopra quella ottimale. Hanno poi calcolato la differenza tra i due valori ottenuti nello scenario fattuale e in quello controfattuale. I risultati sono mostrati in termini percentuali nella visualizzazione sottostante.
Percentuale delle morti osservate durante la stagione calda associata all’aumento delle temperature. La parte più chiara all’interno di ogni barra è la frazione che si osserverebbe senza cambiamento climatico, mentre la più scura a quella causato dalle attività umane. Fonte: Vicedo-Cabrera et al., Nat. Clim. Chang. 11, 492–500 (2021).
«A causa dell’elevata vulnerabilità di alcune zone, in particolare quella del Mediterraneo, anche la mortalità associate alla temperature nello scenario controfattuale, quello senza il contributo delle attività umane, è molto alto», commenta Vicedo-Cabrera.
Infatti, Portogallo, Spagna, Grecia e Italia hanno la percentuale più alta di morti associate alle alte temperature e di queste la frazione dovuta alle attività umane è intorno al 30%. In termini assoluti, le morti causate dal caldo ogni anno nelle 11 località italiane presenti nel database sono state circa 1 300, di cui 370 a causa delle attività umane, a fronte di una mortalità media durante le stagioni calde pari a circa 17 800 persone all’anno.
Se consideriamo invece il caso del Brasile, l’impatto della temperatura è molto inferiore rispetto all’Italia (circa il l’1,7% del totale delle morti osservate nelle stagioni calde contro il 7,4% dell’Italia), ma il contributo antropico è molto più importante. In termini assoluti, ogni anno sono morte a causa del caldo circa 1300 persone, di cui 900 a causa delle attività umane, a fronte di una mortalità annua media durante la stagione calda di circa 78 mila persone.
Questi dati segnalano da una parte l’elevata vulnerabilità dei paesi del Mediterraneo, dall’altra il forte impatto del cambiamento climatico in Brasile (dove l’aumento delle temperature medie è di poco superiore a 1 °C mentre in Italia è circa 0,8°C). Ci sono paesi in cui queste due condizioni si verificano contemporaneamente. È il caso del Paraguay, che ha una vulnerabilità all’aumento delle temperature piuttosto importante, come si vede dalla funzione di esposizione-risposta stimata per la città di Asuncion, e allo stesso tempo subisce più di altri luoghi il riscaldamento globale, con un aumento della temperatura media nella stagione calda di circa 1,8 °C.
Come si vede dalla mappa, molti paesi a basso e medio reddito mancano in questa analisi perché non esistono i dati di temperatura e mortalità (o almeno non sono facilmente accessibili). «I paesi per cui non disponiamo dei dati sanitari necessari sono spesso tra i più poveri e suscettibili ai cambiamenti climatici e, in modo preoccupante, sono anche i luoghi dove è prevista la massima crescita della popolazione» osserva in un articolo di commento Dann Mitchell, esperto di rischi climatici dell’Università di Bristol, e aggiunge «ottenere questi dati permetterà alla scienza di fornire le informazioni necessarie per aiutare questi paesi ad adattarsi».
Come abbiamo accennato all’inizio, le stime delle percentuali di mortalità associata all’aumento delle temperature di origine antropica sono affette da una grande incertezza. Questa incertezza è determinata da una parte dall’errore nella stima delle funzioni di esposizione-risposta, dall’altra dalla grande variabilità che caratterizza i modelli climatici utilizzati nello studio. I modelli climatici sono uno strumento fondamentale per studiare i rischi che il cambiamento climatico pone alla salute. Dunque, è di grande importanza che nel futuro diventino «più accurati e sensibili e abbiano un’elevata risoluzione spaziale» commenta ancora Mitchell, «in grado di rilevare anche fenomeni su scala molto piccola, come l’intrappolamento del calore nelle città», conclude.
fonte: SCIENZA IN RETE