Fin da quando ho iniziato ad occuparmi di disabilità, una ventina d’anni fa, ho sempre pensato che trattare questo tema utilizzando un registro emotivo non fosse una buona idea. Le ragioni che mi portavano a questa conclusione erano principalmente due. La prima era data dal fatto che spesso l’emozione era (ed è) utilizzata per rappresentare le persone con disabilità o come “casi umani da compatire”, o come “esempi di coraggio da cui trarre ispirazione”, due rappresentazioni stereotipate, deformanti e poco rispettose delle stesse persone con disabilità. Il secondo motivo scaturiva dalla considerazione che le emozioni sono per loro natura discrezionali e aleatorie, e dunque, pensavo, poco adatte a promuovere i diritti umani, quelli che tutti gli esemplari della specie umana ricevono in dotazione già alla nascita, quelli inclusi nel “modello base”.
Riconoscere e rispettare questi diritti non dovrebbe essere una faccenda affidata ai (buoni) sentimenti o alla sensibilità di chi ti capita intorno. Pensavo e penso che i diritti umani vadano rispettati comunque, qualunque siano i sentimenti o la sensibilità delle singole persone della nostra varia e variopinta comunità umana. Così pensavo, ma ora non ne sono più tanto convinta.
A far vacillare questo pensiero è stata la lettura di In altre parole. Dizionario minimo di diversità (Effequ, 2021), di Fabrizio Acanfora, scrittore autistico, musicista e costruttore di strumenti musicali, membro del Comitato Scientifico di un Master all’Università LUMSA di Roma, coordinatore di un Master in Musicoterapia dell’Università di Barcellona, vincitore, nel 2019, del Premio nazionale di divulgazione scientifica del CNR con il libro Eccentrico. Autismo e Asperger in un saggio autobiografico (Effequ 2018) [di “In altre parole” si legga già su queste pagine Renato La Cara, “Fabrizio Acanfora e la ‘convivenza delle differenze’”, N.d.R.].
Normalmente i dizionari descrivono i diversi lemmi in una prospettiva linguistica, talvolta corredando le diverse voci con esempi che chiariscono gli àmbiti di applicazione delle singole parole o delle espressioni considerate. Ebbene, l’approccio con cui Acanfora descrive i trenta lemmi* di cui si compone il suo dizionario è abbastanza diverso. Come spiega lui stesso: «Curare il linguaggio, dedicare attenzione alle parole quando si tratta di inclusione è fondamentale, perché è attraverso le parole che costruiamo la realtà intorno a noi e diamo forma al nostro mondo interiore. Lo scopo di questo dizionario emotivo non è infatti spiegare il significato letterale di alcuni termini, ma di mostrare le conseguenze che il linguaggio ha sulla visione della diversità. Termini come esclusione o normalità, vocaboli come identità, orgoglio o consapevolezza, sono comuni a tutti gli esseri umani e importanti per chi appartiene a una qualsiasi minoranza».
Di quali diversità si tratta? Quelle relative alle differenti funzionalità fisiche, sensoriali ed intellettive, le differenze di genere (non solo quelle tra maschi e femmine), i diversi orientamenti sessuali, le diversità religiose, culturali, etniche, di classe, economiche…
Tutta l’architettura del libro si regge sull’idea che le parole costruiscono la realtà, e se il linguaggio utilizzato per descrivere la diversità è sbagliato, impreciso o, peggio, offensivo, questo non avrà conseguenze solo sulla percezione della realtà e sul modo in cui ci relazioniamo ad essa, ma avrà un impatto, anche emotivo, sulle vite di chi appartiene a uno o più gruppi marginalizzati. In questa prospettiva, affiancare all’argomentazione razionale che scaturisce dai dati anche quella delle emozioni non è sbagliato, significa semplicemente smettere di parlare solo alla testa e iniziare a parlare anche al cuore.
Nella sostanza i diritti non cessano di essere diritti, e non sono previsti sconti su questo fronte, ma forse se riuscissimo a suscitare intorno alla causa delle diversità anche un coinvolgimento emotivo rispettoso delle diverse caratteristiche delle persone, allora le probabilità che la vita di tutti e tutte migliorasse sarebbero decisamente maggiori.
Questa scelta prospettica non è l’unico elemento innovativo dell’opera. Infatti, anche concetti correntemente utilizzati da chi si occupa di disabilità/diversità sono sottoposti ad un’accurata riflessione. Primo fra tutti il concetto di inclusione. Quest’ultimo, secondo Acanfora, lungi dal tradursi in una reale uguaglianza tra le parti, cristallizza una gerarchia tra «una maggioranza che detiene il potere di decidere chi può far parte della società a pieno titolo e chi no», e un gruppo considerato minoritario al quale i diritti vengono riconosciuti per concessione.
Esaminata in questi termini, «anche l’inclusione rischia di diventare un processo discriminatorio perché attribuisce al gruppo culturalmente dominante un potere maggiore rispetto alle minoranze, cosa che si traduce in uno squilibrio della dignità e del valore anche morale attribuiti a ciascun gruppo».
Per questo motivo l’Autore preferisce parlare di «convivenza delle differenze», immaginando una società nella quale non c’è bisogno di includere nessuno/a perché nessuna persona è stata arbitrariamente esclusa per la sua diversità; la diversità smette di avere una connotazione negativa assumendo quella di semplice varietà; e la società nel suo complesso si fa carico della responsabilità di tenere dentro tutti e tutte, riconoscendo e rispettando le tante differenze (caratteristiche) che ogni individuo incarna nella propria persona.
In altre parole è certamente un’opera interessante che stimola la riflessione critica sui temi della diversità. Essa, tra i numerosi pregi, ha anche quello di essere facilmente comprensibile pure da chi non si è mai occupato/a di questi argomenti.
*Abilismo, Ansia, Autismo, Autorappresentanza, Bias, Bullismo, Conformità, Consapevolezza, Diagnosi, Differenza, Disabilità, Discriminazione, Diversità, Esclusione, Etichette, Genere, Identità, Inclusione, Intersezionalità, Ispirazione, Modello, Neurodiversità, Normalità, Normodiversità, Orgoglio, Paternalismo, Politicamente corretto, Privilegio, Splaning, Stereotipo.