La «liberalizzazione» dei brevetti può distruggere l’innovazione e lasciare impreparati di fronte a una nuova epidemia come sostengono le imprese farmaceutiche? O è possibile immaginare il trasferimento tecnologico e aumentare la produzione mondiale di vaccini?
La sospensione dei brevetti è una condizione necessaria per il trasferimento di conoscenze per aumentare la produzione mondiale di vaccini, ma non è una condizione sufficiente, perché richiede politiche adeguate. Le argomentazioni dei sostenitori dei brevetti a tutti i costi sono logicamente contradditorie: da un lato, si sostiene che la loro sospensione è inutile, perché le imprese dei Paesi del Sud Globale non hanno le conoscenze e le strutture per avviare la produzione dei vaccini; dall’altro, si paventa una riduzione dei profitti delle Big Pharma che porterebbe a un drammatico calo dell’innovazione. La realtà è ben diversa.
Nel mondo ci sono più di 250 imprese che potrebbero produrre vaccini, ma Pfizer, Moderna e AstraZeneca non hanno risposto alle loro richieste. Inoltre, nessuna grande impresa farmaceutica ha utilizzato il Covid-19 Technology Access Pool dell’Organizzazione mondiale della sanità per condividere le proprie tecnologie e conoscenza con i Paesi del Sud globale. È vero che trasferire le nuove tecnologie alla base dei vaccini richiede tempo, specialmente per quelli mRNA, ma questo non può essere un ostacolo alla sospensione dei diritti di proprietà. L’analisi degli accordi di produzione tra le imprese farmaceutiche mostra che ci vogliono circa due mesi per iniziare a produrre vaccini adeno-virus come AstraZeneca e Johnson&Johnson e non più di sette mesi per quelli mRNA. In realtà, se si considera il caso di Moderna, il tempo è tra i due e i quattro mesi, come affermato dal suo ex direttore chimico Suhaib Siddiqi.
L’importanza del trasferimento tecnologico spiega anche perché è inutile la promessa di Moderna di non far valere il brevetto sul suo vaccino, dato che i diritti di proprietà intellettuale coprono comunque il know-how, la tecnologia e i componenti necessari allo sviluppo e alla produzione del vaccino. La presenza di portafogli di brevetti, copyrights, diritti di design industriale e segreti industriale spiega anche perché le imprese del Sud Globale non abbiano sfruttato le eccezioni al trattato Trips previste in casi di emergenza per richiedere licenze obbligatorie di produzione. È infatti impossibile coordinare un sistema di licenze obbligatorie internazionale dato che la produzione di vaccini mRNA richiede più di 100 componenti, spesso protetti da forme di proprietà intellettuale. Tali problemi sono esacerbati dal divieto d’esportazione associato all’utilizzo di licenze obbligatorie. Infine, le imprese detentrici dei brevetti potrebbero opporsi legalmente all’utilizzo di licenze obbligatorie, mentre i loro Stati potrebbero sfruttare varie forme di persuasione (es. blocco degli aiuti). Per questi motivi, la sospensione dei brevetti sui vaccini è il primo passo per un efficace trasferimento tecnologico verso il Sud del mondo.
Ma la «liberalizzazione» dei brevetti può distruggere l’innovazione e lasciarci impreparati di fronte a una nuova epidemia come gridano le imprese farmaceutiche? Per cominciare, in base ai dati finanziari dell’ultimo trimestre, le imprese che producono vaccini se la passano molto bene. I brevetti sono infatti una rendita da monopolio che si riflette nel fatturato e nei profitti delle imprese farmaceutiche. Per esempio, Pfizer prevede oltre 70 miliardi di dollari di ricavi per il 2021, rispetto ai 42 miliardi del 2020, di cui 26 provengono dalla vendita del vaccino. Stime «conservatrici» suggeriscono che Pfizer realizzerà almeno 5 miliardi e mezzo di utili con un margine di profitto del 21% a fronte di costi di ricerca e sviluppo pari a un miliardo nel 2020. Tali profitti sono destinati a salire una volta risolti i problemi logistici legati all’aumento della produzione e se i prezzi delle dosi aumenteranno come suggerito dal Ceo di Pfizer. Con tassi di profitto superiori al 20%, è difficile sostenere che una loro erosione possa disincentivare gli investimenti in ricerca futuri!
Inoltre, la sospensione dei brevetti, non depriverà le imprese farmaceutiche dei frutti del loro investimento, ma solo degli extra-profitti di monopolio. Le imprese riceveranno in ogni caso «royalties» o altre forme di compensazione per i loro diritti di proprietà intellettuale.
Infine, le imprese farmaceutiche hanno affrontato rischi minimi nello sviluppo dei vaccini dato che gran parte della ricerca alla base dello sviluppo dei vaccini è stata finanziata direttamente o indirettamente dai governi. Ciò vale per esempio per Moderna, ma anche per il vaccino Oxford/Astrazeneca, dove i fondi pubblici hanno pagato almeno il 97% della ricerca sottostante. Senza contare che la maggior parte della ricerca scientifica che ha portato alla scoperta dei nuovi vaccini mRNA è basata su fondi pubblici.
I diritti di proprietà intellettuale non sono stati disegnati per situazioni di emergenza come guerre o pandemie. Infatti, durante la Seconda guerra mondiale, le imprese e le università USA hanno collaborato per la produzione della penicillina. Se le imprese farmaceutiche non decidono spontaneamente di condividere le loro conoscenze e tecnologie, è necessaria una sospensione immediata dei brevetti come indicato dall’Independent panel for pandemic preparedness and response. Solo rimuovendo i diritti di monopolio sui vaccini, le imprese sarebbero incentivate a siglare volontariamente accordi di collaborazione, come quello tra Moderna e l’impresa svizzera Lonza che è riuscita in soli due mesi a produrre il vaccino mRNA pur non avendolo mai fatto prima. I governi potrebbero inoltre spingere le imprese di cui hanno finanziato la ricerca a facilitare il trasferimento delle loro tecnologie e conoscenze, come ha fatto il governo Usa con la collaborazione tra J&J e Merck. Proprio negli Stati Uniti, il Defense production act (Dpa) fornisce all’amministrazione Biden strumenti efficaci di persuasione nei confronti delle imprese farmaceutiche, permettendo al governo di i) allocare i prodotti e il know-how necessario per la loro produzione; ii) spingere le imprese ad accettare nuovi termini contrattuali; iii) creare e espandere le risorse e le capacità manifatturiere nazionali. Il Dpa fornisce quindi al governo Usa la possibilità di ordinare alle imprese di condividere il loro know-how scientifico e tecnologico e di ordinare la produzione di vaccini. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, il National institute of health (Nih) detiene un brevetto fondamentale per la produzione di vaccini di cui solo Pfizer sembra avere la licenza. Il governo potrebbe quindi usare il brevetto come una merce di scambio, desistendo da intraprendere cause legali miliardarie e concedendone l’uso a imprese come Moderna, in cambio di una collaborazione effettiva per il trasferimento tecnologico necessario alla produzione di vaccini.
Oltre alla sospensione dei brevetti, per favorire il trasferimento tecnologico, sono necessarie politiche d’innovazione e industriali che portino a un ruolo attivo dello Stato nell’economia. Oltre alla sospensione dei brevetti, per favorire il trasferimento tecnologico e aumentare la produzione mondiale di vaccini, sono necessarie politiche d’innovazione e industriali che portino a un ruolo attivo dello Stato nell’economia. Questo è quello che è accaduto durante la Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti con l’Arsenale della Democrazia che ha portato alla nascita dell’industria degli antibiotici. Tali interventi hanno influenzato permanentemente le politiche d’innovazione degli Stati Uniti, permettendogli di agire prontamente ed efficacemente durante la crisi del Covid-19 (si vedano i contributi di Gross e Sampat qui, qui e qui). Il successo dell’Operation warp speed (Ows) è un esempio eclatante di politiche d’innovazione in tempi di crisi, dove il governo Usa ha agito come Stato Innovatore per finanziare la scoperta di vaccini e coordinare attivamente la loro produzione e distribuzione, aumentando ad esempio le capacità manifatturiere e riducendo i possibili colli di bottiglia nella filiera di produzione. Il successo di Ows è ancora maggiore se confrontato con la strategia dell’Unione europea che ha cercato solo di firmare il migliore dei contratti possibili con una fiducia Panglossiana nel funzionamento dei mercati. Gli Stati Uniti possono sicuramente investire in una struttura pubblica per aumentare la produzione di vaccini. Inoltre, bisogna realizzare una Operation warp speed mondiale per stimolare il trasferimento tecnologico necessario a una maggiore produzione di vaccini congiuntamente al potenziamento della filiera produttiva sottostante. In questa operazione, la sospensione dei brevetti avrebbe un ruolo fondamentale per rendere più efficaci gli interventi di politica industriale dei governi.
Per concludere la sospensione dei brevetti sui vaccini anti-Covid dovrebbe portare a un ripensamento del trattato Trip della Wto che incentivi la produzione e l’utilizzo della conoscenza come bene pubblico globale. Inoltre, l’attuale modello d’innovazione dell’industria farmaceutica va riprogettato dato che produce pochi farmaci salvavita (per esempio, meno del 6% delle nuove molecole approvate dal Fda negli Stati Uniti dal 2000 riguardano farmaci antibiotici e antivirali), ed è molto costoso, considerando che i governi finanziano gran parte della ricerca necessaria a produrre nuovi farmaci (tra il 2010 e il 2016, tutti i farmaci approvati dal Fda hanno ricevuto fondi pubblici dal Nih) che poi acquistano agli alti prezzi fissati dalle imprese che detengono i brevetti. Come ricordano Dosi e Stiglitz e Denicolò ci sono modelli d’innovazione farmaceutica alternativi basati ad esempio su premi invece che brevetti e su un ruolo maggiore della ricerca pubblica. Il «Forum Disuguaglianze e Diversità» ha inoltre proposto tre azioni per stimolare l’innovazione, favorendo lo sviluppo di farmaci per malattie neglette e riducendo il costo per i sistemi sanitari.
[L’autore ringrazia Simone Gasperin per i commenti ricevuti.]