Chiuso o aperto? di Cesare Cislaghi

Un tempo, quando eravamo bambini, a noi che abitavamo nel nord nebbioso, ci dicevano sempre: stai attento ad uscire, copriti bene, non prender freddo! Oggi il “male” sembra stia più dentro che fuori dalle mura di casa!

Come in effetti avvengano maggiormente i contagi da Coronavirus non è una evidenza così definitivamente certa. Che il virus debba entrare per le vie respiratorie e forse anche attraverso gli occhi sembra acquisito; che si escluda il contagio epidermico o gastrico sembra altrettanto evidente; ma il problema si pone su come il virus possa raggiungerci.

Distanziamento, mascherine, igiene delle mani sono il consiglio dato sin dal primo momento nell’ipotesi che le due vie più frequenti, o addirittura le uniche due, fossero le famose goccioline che escono dalla bocca respirando, tossendo, gridando, starnutendo, capaci di inglobare e trasferire il virus da un soggetto all’altro, e le superfici su cui il virus si è posato e poi toccate dalle mani portate al volto.

Inizialmente non si sono fatte molte distinzioni tra gli ambienti al chiuso o all’aperto tanto che l’obbligo delle mascherine è stato esteso ovunque. Nell’immaginario della gente il contagio può avvenire quasi solo avvicinandosi e frequentando un infetto evitando cioè qualsiasi assembramento. Da qualche settimana si cominciato però insistentemente a differenziare le misure di contenimento riguardanti le attività che si svolgono in ambienti chiusi o all’aperto, e molti si sono chiesti il perché, anche se era dall’estate scorsa che se ne parlava.

Che differenza fa se bevo un cappuccio e mangio un cornetto all’interno di un bar, ben distanziato dagli altri, o se lo prendo fuori in un tavolino lungo la strada dove magari mi passano accanto molte persone? L’ipotesi è che il virus non precipiti sempre al suolo entro uno o due metri dalla mia bocca, ma sia capace anche di rimanere sospeso nell’aria per almeno un po’ di tempo: se si è all’aperto i virus si disperdono mentre se si è al chiuso potrebbero concentrarsi.

Come verificarlo? difficile catturarli i virus … soprattutto catturarli “vivi” cioè capaci di diffondersi e moltiplicarsi. Che rimangano al chiuso in atmosfera per un po’ è dimostrato ma che siano capaci di contagiare lo è di meno ma sembra plausibile. Per dimostrarlo l’unico modo convincente è quello di analizzare le modalità con cui si sono trasmessi i contagi diagnosticati.

Un primo sospetto è sorto già dopo i contagi avvenuti nella nave da crociera Diamonds Princess in cui molti si infettarono nonostante tutti i crocieristi fossero stati isolati nelle loro cabine dove consumavano privatamente anche tutti i pasti.

Anche i massicci contagi nelle RSA hanno destato molti sospetti che non potessero essere sempre esclusivamente decisivi i contagi per vicinanza dato che per molti ospiti erano state rispettate tutte le misure precauzionali indicate e quindi poteva essere rilevante anche la dispersione del virus nell’aria in stanze comuni.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da poco aggiornato il testo del proprio sito riguardante le modalità di contagio evidenziando maggiormente anche il rischio dell’aerosol in ambienti chiusi(1) e molti sono gli articoli che hanno ripreso e descritto questa possibile modalità di contagiarsi(2,3).

Ciò che ne consegue è da una parte la differenziazione delle misure di contenimento tra attività al chiuso ed attività all’aperto e dall’altra l’importanza della realizzazione di una migliore ventilazione negli edifici(4,5). Una situazione particolarmente rilevante al riguardo è quella delle aule scolastiche di cui ci si è spesso preoccupati della distanza tra i banchi e forse non altrettanto della ventilazione, soprattutto nelle stagioni invernali dove la ventilazione può creare dei disagi nella temperatura anche se da sempre si sono consigliate le aperture frequenti delle finestre.

Varrebbe forse la pensa sviluppare ulteriormente la ricerca per valutare e misurare meglio questo rischio di trasmissione; si potrebbe ad esempio vedere se vi è un aumento di casi nei lavoratori che, pur distanziati dal pubblico, vivono varie ore in ambienti chiusi e relativamente ristretti e poco ventilati come ad esempio gli addetti agli sportelli di diversi servizi come ad esempio quelli degli uffici postali. E oltre a ciò in vista di una ripresa di attività lavorative, sociali, didattiche è molto importante verificare che la buona ventilazione dei locali sia garantita.

In ogni caso sarebbe necessario aumentare la comunicazione su questa modalità di contagio che da una parte aiuterebbe la popolazione a meglio capire certe misure come la chiusura di attività in ambienti chiusi (ristoranti, palestre, piscine) e a favorire che tutti provvedano il più possibile alla ventilazione dei loro ambienti di vita, di lavoro, di svago. La pandemia non finirà di colpo, il virus rimarrà purtroppo probabilmente ancora per molto nell’ambiente, e non scordiamoci che ancor oggi ci sono 350.000 infetti attivi diagnosticati e un numero imprecisato ma non irrilevante di non diagnosticati e potremmo quindi ipotizzare che nel paese ci sia ancora un infetto su cento abitanti o poco meno. E il contagio per via aerea anche se probabilmente molto meno probabile è molto più subdolo rispetto al contagio interpersonale.

Bibliografia
  1. WHO – Coronavirus disease (COVID-19): How is it transmitted?
  2. NyTimes – Why Did It Take So Long to Accept the Facts About Covid?
  3. NyTimes – The virus is an airborne threat, the C.D.C. acknowledges
  4. Scienzainrete.it – La pandemia ispiri nuovi standard di ventilazione degli edifici
  5. NyTimes – Experts Urge Strict Workplace Air Quality Standards, in Wake of Pandemic

fonte: E&P

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