In arrivo 20 milioni per le case di riposo per abbattere e sostenere il settore. Piano di aiuti al comparto alle prese con un calo del 30% degli ospiti. L’obiettivo: scongiurare riduzioni del personale e aumenti delle tariffe.
Lavoro in Microarea da diversi anni e in tutto questo tempo non mi è ancora mai capitato di sentire una sola persona anziana, anche se estremamente sola e indigente, che desiderasse entrare in una casa di riposo.
La differenza tra l’alto numero di ospiti e il basso numero di operatori presenti nelle case di riposo non può che ripercuotersi sulla qualità del servizio offerto e quindi sul cittadino.
I ritmi di vita e le attività all’interno delle luoghi sono scanditi dall’istituzione e la componente relazionale ricade esclusivamente sulla competenza e sull’etica degli operatori.
Gli operatori, già costretti e tediati da turni e ritmi lavorativi molto pressanti, difficilmente possono trovare il tempo e le risorse per rispondere a tutti i bisogni degli ospiti in modo soggettivo, e questo ha ricadute inevitabili sulla psicologia (e la salute in generale) sia dell’ospite che degli operatori.
La psicologia delle persone che invecchiano è una psicologia già fortemente logorata dalla difficoltà di essere vecchi. Se si aggiunge la privazione identitaria dell’allontanamento dalla propria abitazione, questo logoramento diventa disperazione. La persona anziana si trova sradicata dal proprio contesto di vita, dai propri affetti e dai propri averi e viene immersa all’interno di una struttura (più o meno accogliente, a seconda della disponibilità economica), con stanzoni da molti letti.
Poco importa se il tuo vicino di letto sia taciturno, parli tutto il giorno o attenda semplicemente la morte.
La mia bisnonna, ad esempio, appena mise piede dentro all’istituto iniziò da subito ad augurarsi un tempestivo arrivo della fine.
Aspettare la morte con una salute precaria o, peggio, con una psicologia a pezzi, gravando economicamente sulla famiglia, lontani dagli amici e lontani dai parenti, non credo sia ciò che auguriamo ai nostri cari e tantomeno ciò che auguriamo a noi stessi. A meno che non siate particolarmente ricchi, potete credermi quando dico che questo è ciò che ci aspetta.
Non molti lo sanno, ma esiste un’alternativa.
Circa dieci anni fa a Trieste è stato lanciato un progetto di coabitazione tra anziani a Valmaura. Un cohousing che permette di far convivere in modo dignitoso un piccolo nucleo di persone in età avanzata (si parla di tre o quattro unità, ciascuna con la propria camera), senza doverli sradicare dal proprio territorio e dal proprio contesto di vita. All’interno delle case popolari condividono le spese quotidiane e possono godere al contempo di una compagnia desiderata, di esprimere la propria soggettività e di mantenere la propria intimità. Condividono assieme anche le spese dell’assistenza professionale h24 presente al domicilio, così da poter rispondere alle situazioni di non autosufficienza o con bassa autonomia.
Il tutto senza superare i costi di una retta della casa di riposo, anzi.
Se a questo progetto si aggiunge un ragionamento sistemico capace di incrociare e favorire la comunicazione tra la Microarea di riferimento, gli assistenti sociali, l’Azienda Santaria, il Terzo Settore e la cittadinanza attiva, ecco che nasce un nuovo modo di stare nel mondo con e per i vecchi.
Il vecchio emarginato è forse una delle più grandi contraddizioni alla quale la nostra società deve riuscire a dare risposta nel breve termine.
È arrivato il momento di rivalorizzare questa straordinaria età della vita. Restituirne la soggettività e reinserirla nella virtuosità di un processo comunitario.
È arrivato il momento di garantire dignità anche all’ultima fase della vita, quella più difficile e che accomuna tutti, o quasi, noi.
fonte: FORUM SALUTE MENTALE