Gentile Direttore,
a seguito dell’intervista rilasciata dal dott. Scotti, segretario nazionale del sindacato FIMMG, abbiamo ritenuto meritoriofare qualche chiarimento sulla proposta delle Case della Comunità. La pandemia da SARS-CoV2 ha messo in luce tutte le criticità dell’assistenza territoriale ma in particolar modo l’inadeguatezza del modello organizzativo della medicina generale.
Tuttavia, piuttosto che cogliere quanto accaduto per riformare e portare avanti nuove proposte, vediamo un arroccamento su posizioni stantie corredato dai soliti slogan, senza quella lungimiranza necessaria per un nuovo disegno delle cure primarie e dell’assistenza socio-sanitaria territoriale, che invece potrebbe giovare sia agli assistiti sia alla stessa categoria di medici di medicina generale stremata dalla gestione del COVID.
Tra le criticità emerse in questi mesi riguardante la medicina Generale, ne individuiamo due in particolare:
– la solitudine del MMG, sia tra MMG che nei confronti delle altre professioni, una sorta di monadi più o meno isolate.
– la sua “alterità” nei confronti di quello che è il SSN, causata dall’anomalia di un contratto, convenzionale troppo orientato verso la libera professione e poco verso il ruolo pubblico e i bisogni di salute della comunità.
In questo quadro la ri-proposta dei microteam, poco o nulla aggiunge, dal momento che non modifica in alcun modo nessuna di tali criticità. Al contrario riteniamo che per superare tali criticità l’assistenza territoriale debba andare sempre più verso la collaborazione interprofessionale basata su reti di professionisti e servizi operanti in ciascuna comunità.
Il MMG deve diventare parte del SSN a tutti gli effetti. Da un modello MMG-centrico come sottende la proposta del microteam, infatti, si dovrebbe andare verso un modello, con al centro l’assistito e la comunità, in cui ogni professionista contribuisce con il suo ruolo e le sue competenze. Ruolo e competenze non solo di cura ma anche di prevenzione e quindi di interventi basati anche sui determinanti sociali della salute. In coerenza con una visione della salute che include l’esperienza di vita e non solo la malattia.
In quest’ottica trovano spazio strutture come le case della salute o le case della comunità non viste come poliambulatori, nonostante molte abbiano assunto queste caratteristiche, ma come nodi della rete, punti di riferimento per i cittadini. A questo proposito occorre focalizzarci sulle case della Comunità previste nel PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) e tanto criticate dalla FIMMG.
L’idea delle Case della Comunità è la
proposta centrale dell’associazione Prima La Comunità e trova realizzazione dopo un percorso di approfondimento fatto nel corso degli ultimi anni insieme con realtà locali, movimenti di base e con uno studio organizzativo fatto da CERGAS-Bocconi e dal Laboratorio Management e Sanità dell’Università Sant’Anna di Pisa, sulla falsariga di alcune esperienze virtuose di case della salute con la precisa volontà di ampliare la partecipazione e il coinvolgimento delle comunità, che in molte Case della Salute non trova luogo nonostante fosse presente nel mandato originale.
La casa della Comunità non è (non dovrebbe essere) un poliambulatorio cioè una casa della Sanità ma una casa della Salute – intesa come benessere individuale e collettivo – dove la comunità è protagonista, insieme alle Istituzioni (Enti Locali, Scuola, Lavoro, Ambiente, Asl), al terzo settore no profit e al volontariato, in un comune disegno condiviso che denominiamo “Progetto di Salute” per quel territorio e per quella comunità. Quindi un luogo dove le persone e le comunità non sono ospiti o, peggio ancora, clienti per avere una prestazione che si moltiplica all’infinito dentro una visione consumistica che, se non stiamo attenti e non abbiamo una visione di sistema, rischia di riproporsi anche al domicilio.
La Casa della Comunità è concepita come quello spazio dove si è accolti, si è attesi, si è accompagnati e non dove si è mandati. Gli operatori non sono in attesa del paziente/cliente, ma “vanno verso” per rispondere ai bisogni in modo appropriato. Bisogni che non sono solo di cura medica. La casa della Comunità è quindi l’insieme organizzato di competenze diverse che operano in un territorio caratterizzato dai bisogni e non solo e non tanto dal numero dei residenti.
La prossimità non è la distanza topografica tra la residenza di un beneficiario e la sede della prestazione (anche se di qualità ed eccellenza), ma è la capacità di dare risposte ai bisogni, in particolare quelli inevasi e cronicizzati.
Si propone dunque con urgenza una rifondazione del sistema di welfare di cui la salute è un risultato. La casa della Comunità ha l’ambizione di essere elemento essenziale di connessione (superando anche le barriere normative e le logiche specialistiche chiuse) e di rilancio di nuove forme per la definizione dei bisogni e delle risorse di comunità cui legare adeguati budget di salute di comunità (dove si integrano risorse istituzionali e sociali, formali e non, finanziarie e umane) e modalità operative multi professionali ed interdisciplinari (dove recupera senso sociale il budget di salute individuale).
Nel “Progetto di salute” che guida l’idea di Casa della Comunità il ruolo del MMG non solo è contemplato, ma è prioritario, con competenze, responsabilità e risorse adeguate per rispondere a quei bisogni della Comunità che non possono essere generali, generalizzabili e contrattabili. E’ per tale ragione che non si comprendono le resistenze
Concludendo riteniamo che questa proposta possa essere oltretutto una risposta di fondo per il dopo pandemia affinché non si spendano i soldi del PNRR per fare più ambulatori ma si indirizzino verso la realizzazione di un vero cambiamento culturale, organizzativo e gestionale dove non prevalga il tecnicismo.
Giorgio Sessa Campagna “2018 Primary Health Care: Now or never”
Virginio Colmegna Presidente Associazione “Prima la comunità”