La parola d’ordine è «prudenza». di Michele Vannini, Andrea Filippi

In una fase delicata, in cui gli operatori sanitari stremati iniziano a intravedere la luce in fondo al tunnel, osserviamo con grande apprensione l’allentamento delle restrizioni che rischia di vanificare gli sforzi fatti

Gli operatori sanitari e sociosanitari sono i protagonisti principali dell’estenuante lotta alla pandemia che da più di un anno sta condizionando il benessere fisico, sociale, economico, psichico dei cittadini. Con la loro dedizionecompetenza professionalità stanno sempre più faticosamente contrastando le conseguenze nefaste di una malattia infettiva che ci ha colti impreparati da un punto di vista scientifico, clinico, organizzativo e strutturale.

Nella prima ondata pandemica gli operatori sanitari hanno lavorato in un contesto di riorganizzazioni drammatiche e senza precedenti, inizialmente privi delle adeguate garanzie di sicurezza per le carenze delle normali dotazioni di protezione individuale: mascherine, guanti e calzari in alcuni momenti erano introvabili persino negli ospedali.

Come conseguenza di tutto ciò abbiamo assistito anche a un aumento esponenziale dei carichi di lavoro: ferie non godute, riposi mancati, condizioni di lavoro complicate dall’avvicendarsi di nuovi riassetti organizzativi che hanno previsto e prevedono trasferimenti improvvisi del personale.

A fronte di tutto ciò, il governo e le Regioni hanno messo in campo prevalentemente programmi di reclutamento di personale a termine e senza una vera prospettiva di stabilizzazione.

Il potenziamento del territorio, da molti scoperto tardivamente come avamposto strategico fondamentale per prevenire l’affollamento negli ospedali, ha avuto i suoi effetti benefici solo in quei pochi territori dove sono state istituite un numero adeguato di unità speciali di continuità assistenziale, mentre i medici di medicina generale, troppo spesso isolati, senza mezzi e scarsamente sostenuti dal sistema, hanno retto con grande fatica l’impatto con il contenimento domiciliare del contagio.

numeri oggi ci dicono che siamo ancora al di sopra delle soglie critiche di capienza delle terapie intensive: fino a poco fa parlavamo di oltre tremila ricoverati a fronte di un limite soglia di allarme che è di 2.500. I ricoverati positivi superano le 22mila unità distraendo da tempo risorse a tutte le patologie non Covid che, non diagnosticate e non trattate, rischiano di diventare una crescente causa di mortalità indiretta da Covid-19.

Anche la campagna vaccinale, che rappresenta una grande speranza per il Paese, sta decollando più lentamente del previsto e a oggi non siamo ancora riusciti a vaccinare tutta la popolazione fragile.

Per questo in una fase delicata, in cui gli operatori sanitari stremati iniziano a intravedere una luce in fondo al tunnel, osserviamo con grande apprensione l’allentamento delle restrizioni che rischia di vanificare gli sforzi fatti.

decessi giornalieri sono ancora molto alti, in totale sono ormai 121mila i morti causati dalla malattia Covid-19, e non possiamo permetterci di abbassare le difese per favorire un’accelerazione sulle riaperture che, pur comprensibile in termini di tenuta economica e prima ancora sociale del Paese, potrebbe causare una nuova grave ondata con l’approssimarsi della stagione estiva. I professionisti hanno bisogno di allentare l’emergenza per ripensare i propri servizi e l’organizzazione; la tensione è al limite e hanno bisogno del respiro che la pandemia sta sottraendo a loro e ai loro assistiti.

Michele Vannini è segretario nazionale Fp Cgil, Andrea Filippi è segretario nazionale Fp Medici

fonte: Collettiva

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