Intervista a Fabrizio Barca Coordinatore Forum Disuguaglianze e Diversità
Cosa dovrebbe cambiare per rendere reale il diritto alla salute?
Come capita spesso deve cambiare qualcosa di molto grande, ma anche di molto piccolo. A livello molto grande deve cambiare urgentemente, come diciamo noi del Forum Disuguaglianze Diversità, l’accordo TRIPs del 1994 che ha squilibrato la gerarchia di due principi fondamentali, il principio della tutela della proprietà intellettuale e il principio del libero accesso alla conoscenza come bene comune dell’umanità. L’accordo ha messo questo secondo principio molto sotto il primo e le conseguenze le patiamo in maniera gravissima soprattutto sul piano sanitario per il rallentamento drammatico della ricerca che non promette forti profitti, per i monopoli nella produzione di medicinali e terapie, per i costi e i ritardi impressi alla sanità pubblica. A livello molto piccolo, e la pandemia lo ha mostrato, si deve lavorare sulla connessione decisiva tra salute e cura della persona – dall’infanzia all’anzianità, su cui con molte altre organizzazioni della società abbiamo costruito proposte operative – che non può essere scaricata né sulle famiglie né sugli ospedali, ma deve diventare una questione di comunità. Salute e cura insieme all’interno del territorio.
Come agire sulle disuguaglianze geografiche, retributive e di genere?
Sulle disuguaglianze geografiche bisogna agire rendendo tutte le politiche rivolte ai luoghi, ovvero forti indirizzi nazionali e contemporaneamente un forte potere territoriale per la loro attuazione che consenta ad alleanze del territorio di attuare quegli indirizzi con strategie a misura delle persone nei luoghi. Sicuramente, basta con le politiche cieche ai luoghi che hanno caratterizzato l’ultimo quarantennio. Per le retribuzioni c’è una sola strada: bisogna tornare a dare potere contrattuale al lavoro anche attraverso salari minimi, attraverso il riconoscimento dei contratti firmati dalle organizzazioni più rappresentative, ma anche potere di dialogare ex ante con gli imprenditori quando si disegnano le strategie. Per il genere, che anima anche le altre due perché quella di genere è la quintessenza della disuguaglianza trasversale, bisogna combinare due parole: potere e cura. Da un lato quindi dando potere alle donne, nel modo diverso con cui esse lo esercitano spesso, ma anche trasferendo dalla famiglia alla comunità la responsabilità della cura.
“Si deve lavorare sulla connessione decisiva tra salute e cura della persona, che deve diventare una questione di comunità”
Che rischi corre il lavoratore, e quindi la società, come conseguenza al cambiamento delle modalità di lavoro con la pandemia di covid-19?
Il lavoro da remoto può essere un male o un bene. Esso tende a produrre isolamento, segregazione dei lavoratori e delle lavoratrici gli uni dagli altri, e fa pesare le grandi differenze che esistono nella qualità delle abitazioni: le condizioni sociali, di vita, l’agibilità della casa, il sovraffollamento. Ma può annullare i tempi duri o morti del pendolarismo e rivelarsi in un’opportunità se speso in luoghi terzi, in “officine municipali” che ospitano il lavoro di molte diverse aziende. Dall’altro lato la pandemia ha messo in luce e ha reso ancora più importante il lavoro intermediato dagli algoritmi. Penso al lavoro dei rider: di nuovo, le piattaforme digitali possono essere mezzo di sfruttamento, oppure, come nell’esperienza di Bologna, occasione di tutela e organizzazione del lavoro: quando piove ci sono delle regole, hanno diritto a giorni di sospensione, viene controllata la qualità del loro equipaggiamento.
Per quanto riguarda l’ambiente, invece, come potremmo correggere la rotta agendo sulle tecnologie e sulla valorizzazione dei territori?
Per quanto riguarda il monitoraggio delle condizioni ambientali di una città, invece di avere una serie di centraline sparse per la città che conducono con tempi lunghissimi a soluzioni temporanee, si può istituire un sistema di monitoraggio permanente. Allo stesso modo, si può organizzare una raccolta differenziata che sia di grande qualità utilizzando delle piattaforme digitali. La stessa cosa vale per le aree rurali dove la tecnologia è messa a disposizione per il monitoraggio della produzione, ad esempio dei vigneti. Ancora, l’utilizzo della tecnologia digitale per gli autobus e i mezzi pubblici elettrici e automatici. Perché dobbiamo farci imporre da grandi corporation che da domani passiamo dalla macchina a gas alla macchina elettrica? Perché dobbiamo avere la macchina anche in città? Possiamo avere trasporti pubblici efficaci grazie a una tecnologia utilizzata per un interesse collettivo che però si deve far valere: non sono le nostre preferenze manipolate dalle grandi corporation, ma le nostre preferenze aggregate comunitariamente che impongono una diversa domanda e disegnano la città a loro misura.
“Sono le nostre preferenze aggregate comunitariamente che impongono una diversa domanda e disegnano la città a loro misura”
Che cosa significa reinvestire il dividendo del cambiamento tecnologico in servizi pubblici essenziali per ridurre le disuguaglianze?
Significa fare quello che abbiamo appena detto. La tecnologia digitale consente, durante la pandemia ancora più del solito, un’enorme concentrazione della conoscenza e della ricchezza, perché mentre si impoverivano tante persone se ne sono arricchite poche. Quindi abbiamo compreso meglio di prima i rischi di polarizzazione. E come rispondere? Intanto andando alle radici, con interventi pre-distributivi, facendo in modo che quella conoscenza che oggi è concentrata non lo sia, intervenendo nei processi di accumulazione. Ma soprattutto tornando a tassare in modo progressivo i redditi e la ricchezza evitando che ci siano grandi corporation che sfuggono completamente alla tassazione. Non sono idee nuove, sono idee che l’Unione europea si appresta a mettere in atto per pagare i fondi della Recovery and resilience facility e utilizzando questi fondi non per far cadere nei territori i servizi, ma per dare ai territori fondi con cui, insieme alle imprese e ai cittadini, costruire servizi di qualità.
A cura di Rebecca De Fiore
fonte: Forward