In Italia il medico di medicina generale non è realmente integrato all’interno della rete assistenziale, per diverse ragioni tra cui sicuramente lo status di libero professionista convenzionato.
“La medicina generale occupa un fondamentale e insostituibile ruolo all’interno del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Nonostante ciò, le sue condizioni strutturali sono attualmente precarie e non al passo con i tempi. Per poterne salvaguardare l’esistenza è pertanto necessaria una radicale riforma che prenda le distanze dall’ormai vecchia e obsoleta concezione italiana delle cure primarie. Per prima cosa è ormai mandatorio costituire una specializzazione universitaria in medicina generale per permettere una migliore formazione dei futuri medici di medicina generale. In contemporanea si deve incentivare la crescita di un sistema organizzato di ricerca clinica nel settore delle cure primarie. Assieme a questi provvedimenti deve essere attuato un esteso ammodernamento del sistema organizzativo della medicina generale con il superamento degli attuali ostacoli che ne limitano ampiamente le sue possibilità clinico-assistenziali. La creazione di centri di assistenza primaria e il potenziamento del sistema della telemedicina sono due punti essenziali di tale riforma. Confidiamo che le future generazioni dei medici di medicina generale possano essere i promotori di tali necessari cambiamenti”.
Questa è la sintesi di un recente articolo pubblicato sulla rivista Recenti progressi in medicina a cura di Marco Badinella Martini, Livio Garattini e Pier Mannuccio Mannucci, dedicato alla riforma della Medicina generale[1]. Articolo che giunge in una fase di ampia discussione su come ricostruire un sistema sanitario che si è trovato impreparato e vulnerabile nell’impatto con la pandemia. Vulnerabile soprattutto per la debolezza dei servizi prevenzione e di cure primarie. La risposta – lo si vede nelle proposte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – sembra concentrarsi nel generico rafforzamento dell’ “Assistenza di prossimità diffusa nel territorio e cure primarie e intermedie”. Si parla di Case di comunità, di telemedicina, di aggiornamento del parco tecnologico, di fascicolo sanitario elettronico. Ciò che è sfuggito finora alla discussione è uno dei punti centrali – non certamente l’unico – della crisi delle cure primarie: quello della Medicina generale, che ormai da decenni vive una profonda crisi che è contemporaneamente culturale, scientifica e organizzativa. Guardare in faccia la crisi della Medicina generale è un passaggio indispensabile per trovare le necessarie, adeguate soluzioni per rafforzare il nostro sistema di fronte alle prossime sfide. Benvenuto dunque questo articolo che squarcia un silenzio durato troppo a lungo nell’ambito delle più importanti riviste scientifiche italiane. Un articolo che per questo apprezziamo, in larga parte condividiamo e volentieri commentiamo.
Una nuova cultura delle cure primarie
Gli Autori hanno ragione ad affermare che la Medicina Generale (MG) è da considerare l’ultimo baluardo del SSN, poiché a ben guardare al giorno d’oggi è l’unica assistenza che soddisfa contemporaneamente la gratuità alla fonte, l’assenza di particolari filtri selettivi di accesso e la diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, tre caratteristiche fondamentali per concretizzare i principi fondanti il nostro SSN: universalità, uguaglianza, equità. E, contemporaneamente, hanno ragione da vendere quando affermano che la MG del 2021 in Italia versa in condizioni a dir poco precarie, per non dire obsolete e inaccettabili. Ma il ragionamento ha un limite, quello di assimilare, sovrapporre, confondere, la MG intesa come “la figura del Medico di Famiglia” con il sistema ben più ampio e complesso delle Cure Primarie che per l’appunto rappresenta, o dovrebbe rappresentare, quella fitta e frastagliata rete di servizi e professionisti che in modo interconnesso garantiscono tutto ciò che è essenziale per il mantenimento e la promozione del miglior standard di salute possibile della popolazione. Deve essere chiaro, e l’emergenza pandemica l’ha ulteriormente evidenziato, che nessun Medico di Medicina Generale (MMG), neanche il più appassionato, volenteroso e competente, potrà mai prendere in carico efficacemente i bisogni della popolazione assistita se non funzionalmente inserito all’interno di una rete interprofessionale e intersettoriale della quale sia e si senta integralmente parte. Non evidenziare questa differenza è pericoloso perché da una parte non consente di riconoscere e definire le specifiche competenze del medico di famiglia permettendo che gli vengano spesso attribuiti compiti e funzioni inadeguati, dall’altra rischia di occultare il cuore del problema: in Italia il MMG non è realmente integrato all’interno della rete assistenziale, per diverse ragioni tra cui sicuramente lo status di libero professionista convenzionato. Di fronte alla crescente quantità e complessità dei bisogni di salute, è essenziale riconoscere e rendersi consapevoli del fatto che nessuno si salva da solo, né gli utenti/pazienti né gli operatori, né i singoli servizi. Alla luce di quanto detto riteniamo essenziale che gli interventi di riqualificazione della MG, che conveniamo con gli autori essere necessari e improcrastinabili, siano fortemente basati su una nuova cultura di cure primarie, che sia in linea con gli standard europei, a più riprese indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ben delineati nel documento “Verso il Libro Azzurro. Un manifesto aperto per una riforma delle Cure Primarie in Italia” promosso dalla Campagna Primary Health Care Now or Never.
La necessità della specializzazione universitaria in MG
Scrivono gli Autori: “Nel corso degli anni la MG si è affermata a livello internazionale come una specializzazione indipendente e insostituibile, con specifici compiti e capacità. I sistemi universitari della quasi totalità dei Paesi sviluppati si sono pertanto fatti carico della formazione dei futuri medici di medicina generale (MMG). Questo è stato fatto partendo dall’assioma che identifica l’università come l’indiscutibile dispensatore culturale e formativo in qualsiasi campo, medicina inclusa, in grado di garantire qualità, imparzialità e legittimità. Questo concetto, tanto semplice quanto nobile, non trova tuttavia pieno riscontro nella realtà italiana. In Italia infatti la MG non è considerata una specializzazione vera e propria dal punto di vista normativo; si crea pertanto il paradosso che i MMG italiani, pur essendo “specialisti sul campo” di una determinata branca medica, non sono formalmente specializzati in essa. Ciò ha contribuito a uno svilimento della figura del MMG, con il diffondersi comune dell’idea erronea che il MMG sia un medico non specializzato di serie B appartenente a una branca medica non specialistica”.
Aggiungiamo a queste condivisibili osservazioni alcuni elementi che possono spiegare le ragioni di questa situazione.
- Il NO dei sindacati medici. La scuola di specializzazione in MG è sempre stata osteggiata dalla stessa rappresentanza sindacale poiché esiste un enorme, tanto occulto quanto palpabile, conflitto d’interesse sulla gestione dei corsi di formazione in MG che sono frequentemente coordinati da rappresentanti sindacali. L’organo di formazione diventa così un vero e proprio strumento di costruzione e mantenimento del consenso circa obiettivi e metodi del sindacato stesso, nonché un mero bacino di tessere fra i giovani futuri MMG. In questo modo la formazione diviene un mezzo per garantire il perpetuarsi di logiche conservatrici piuttosto che promuovere l’innovazione, precludendo ai corsisti la possibilità di accedere a saperi e contenuti che aprono la mente ad un’idea diversa e oseremmo dire rivoluzionaria di medicina generale e cure primarie.
- La disattenzione della politica. Nonostante che negli ultimi anni il riconoscimento della MG come disciplina accademica sia stato a più riprese richiesto con forza da diverse realtà e associazioni, tutti i tentativi di farlo passare in parlamento – l’ultimo nel settembre 2020 – sono andati a vuoto.
- Il disinteresse dell’Università. La Medicina accademica ha fatto ben poco per attirare la MG nei suoi ranghi, dimostrando di essere interessata esclusivamente a ciò che gravita dentro e in prossimità dell’ospedale, riconfermando anno dopo anno programmi didattici ancora strettamente legati all’esclusiva dimensione tecnico-biologica della salute. E’ da segnalare che lo stesso deficit di spazio dedicato alle cure di prossimità ed alle dimensioni psicologiche, etiche, ecologiche, sociali, esistenziali della salute, lo si riscontra anche negli altri corsi di laurea non medici, a partire dall’insegnamento delle scienze infermieristiche.
Viene proprio da chiedersi a questo punto se non ci sia un preciso interesse politico-economico nel perpetrare un’assistenza socio-sanitaria di base di scarsa qualità. È infatti innegabile che, se quest’ultima aumentasse la sua risolutività sul territorio, in molti casi colmerebbe quel vuoto che ad oggi viene occupato dalla sanità privata e privata convenzionata.
Un nuovo contratto per i MMG
Scrivono gli Autori: “A distanza di più di mezzo secolo dalla nascita del SSN, sebbene tantissima acqua sia passata sotto i ponti della MG italiana, sono ancora numerosi i problemi da risolvere di un sistema organizzativo che fatica a stare al passo coi tempi. Una delle grandi criticità imputabile all’attuale sistema è costituita dalla fornitura di un’assistenza troppo isolata e frammentaria erogata dal MMG. Si dovrebbe innanzitutto modificare l’inquadramento professionale del MMG (tuttora un lavoratore autonomo convenzionato con il SSN), sancendo il suo passaggio alla condizione di lavoratore dipendente al pari dei colleghi ospedalieri. Ciò permetterebbe un’omogeneizzazione del suo operato professionale in termini di accessibilità e prestazioni. Inoltre, l’introduzione di un sistema di incentivi economici mirati a premiare il raggiungimento di obiettivi in termini di salute potrebbe realmente stimolare la qualità del lavoro svolto. Dal punto di vista pratico, è pienamente condivisibile l’opinione che la creazione di organizzazioni multidisciplinari, costituite da un’ampia gamma di professionisti sanitari e non che lavorano in équipe (MMG, infermieri, specialisti, operatori socio-sanitari, assistenti sociali) siano diventate una priorità oramai imprescindibile per una MG moderna.”
In linea di principio riteniamo assolutamente auspicabile che all’interno di un SSN pubblico, universale ed equo, il MMG, ossia il medico più prossimo ai contesti di vita e ai bisogni delle persone, sia inquadrato contrattualmente (o meglio torni a essere, se pensiamo al suo lontano antenato medico condotto) come professionista dipendente dello stesso Servizio. Ed è altresì innegabile la necessità urgente di mettere mano all’attuale contratto nazionale della MG, non più in grado di promuovere e garantire un adeguata risposta alla complessità dei bisogni di salute della popolazione.
Ebbene siamo convinti che questa necessaria riforma contrattuale rappresenti una questione tanto urgente quanto delicata. Infatti chi crede che il mero passaggio alla dipendenza sarà in grado da solo di migliorare la qualità dell’attuale medicina generale, si illude; poiché purtroppo la dirigenza regionale e aziendale, dalla quale il MMG dipenderebbe, è proprio quella che ha contribuito a depauperare culturalmente e materialmente la rete di servizi territoriali e cure primarie cui la legge 833 del 1978 aveva dato avvio in modo illuminato e visionario. Pertanto riteniamo essenziale che la riforma contrattuale della MG italiana debba essere necessariamente intrisa di una cultura innovativa e volta alla realizzazione di un modello di assistenza socio-sanitaria integrata quale la Comprehensive Primary Health Care (sperimentata in altri paesi, come il Portogallo[2]), ovvero che sia in grado di:
- sostenere il continuo miglioramento della qualità dell’assistenza attraverso adeguati meccanismi di monitoraggio di esiti e processi assistenziali;
- promuovere e incentivare lavoro in equipe interprofessionali, la collaborazione e la comunicazione con tutti i servizi territoriale e ospedalieri;
- garantire all’equipe di cure primarie sedi fisiche adeguate (case della salute) e la quota di autonomia decisionale necessaria per progettare e realizzare interventi di salute specifici per il territorio in cui opera e la popolazione che serve;
- perseguire fermamente e incentivare la necessaria integrazione tra ambito sociale e sanitario.
In conclusione
Data la stretta interdipendenza tra l’ambito culturale-scientifico e quello organizzativo-contrattuale riteniamo essenziale e auspichiamo che gli interventi volti alla riqualificazione della MG italiana possano essere portati avanti grazie ad una profonda riforma che agisca contemporaneamente sia sull’ambito della formazione e della ricerca, sia sull’organizzazione strutturale e funzionale del lavoro in medicina generale e cure primarie; semplicemente perché il secondo non avrebbe gambe per camminare senza le prime e le prime non avrebbero luoghi fisici e funzionali dove concretizzarsi senza il secondo.
Elena Rubatto, Medica di famiglia – Campagna Primary Health Care Now or Never.
Gavino Maciocco, Medico di sanità pubblica – Università di Firenze
Bibliografia
- Martini MB, Garattini L, Mannucci PM. Libretto d’istruzioni per riformare la medicina generale italiana. Recenti Prog Med 2021; 112:182-185.
- Cossutta F. I medici di famigli in Portogallo. Salute Internazionale, o4.11.2020
Martino A, Biscaia A, Valente Heleno L, Luz Pereira A. Il modello di Primary Health Care Portoghese. Un esempio di Politiche Adattative, Partecipazione e Decentralizzazione e del protagonismo dei sanitari.
Borelli A. La formazione in medicina generale in Portogallo. Salute Internazionale, 10.02.2021
fonte: saluteinternazionale.info