Lo Stigma della siringa. di Giacomo Galletti

In America la strage da Fentanyl è in primo piano da anni. Non colpisce solo le comunità tradizionalmente marginali, ma anche i bianchi benestanti. La sinergia mortale con l’HIV.

 

Il Kamway Lodge & Tavern di Elmhurst è un edificio basso in mattoncini rossi che si trova in un’anonima via di edifici residenziali bassi con i mattoncini rossi nel Queens, a New York City. Su Tripadvisor ha una valutazione di 3 su 5, dovuta principalmente al rapporto qualità prezzo, essendo infatti categorizzato come “conveniente” in relazione alla voce: stile dell’hotel.

In realtà non si tratta di hotel. È stato definito infatti come “ostello”, e secondo alcuni siti americani si tratterebbe di un luogo noto nel giro della droga e della prostituzione. Il Kanway Lodge è salito alla ribalta delle cronache[1]  alla fine di agosto del 2019, quando la polizia, rispondendo ad una chiamata anonima, vi trovò il corpo di uno chef italiano che lavorava in un ristorante presso la Grand Central Station a Manhattan.  Quando si appurò che la causa della morte fosse da attribuirsi al Fentanyl, oppiaceo che prima di essere assunto come una droga per sballare risulta principalmente un anestetico molto usato in chirurgia, il giornalista Federico Rampini commentò sul suo blog[2]: La tragica fine del cuoco italiano a Manhattan, ucciso dal Fentanyl, è solo l’ultima di una catena: in America la strage da Fentanyl è in primo piano da anni. E incrocia il contenzioso Usa-Cina. Gran parte del Fentanyl di produzione sintetica è prodotto in Cina e invade l’America a basso costo. Più volte Trump lo ha inserito ufficialmente nei temi del negoziato. Xi Jinping gli avrebbe promesso di occuparsene ma finora non lo ha fatto.  È  la rivincita[3] sulla guerra dell’oppio?”

Questa vicenda ci suggerisce due cose in particolare. La prima è che, come afferma Rampini, “in America la strage da Fentanyl è in primo piano da anni”; la seconda è che non colpisce solo le comunità tradizionalmente “marginali”, ma anche i bianchi benestanti con impiego a Manhattan.

Per affermare che gli Stati Uniti stiano affrontando un problema rilevante di salute pubblica dovuto agli oppioidi e alle connesse recrudescenze delle diagnosi di HIV non possiamo tuttavia riferirci a considerazioni circoscritte ad un evento di cronaca. Se leggere delle circostanze del decesso di uno chef italiano ci colpisce, leggere che “l’attuale problema degli oppioidi è collegato ad una nuova generazione di persone che si iniettano droghe, che sono principalmente bianchi, giovani, residenti in un contesto extra urbano e che non sono sufficientemente equipaggiati per gestire la situazione” su un giornale come il Lancet ci dovrebbe rendere consapevoli che il problema è serio.

“La crisi degli oppioidi e l’HIV in USA: sinergie mortali” è infatti il titolo[4] di un articolo apparso sul numero 397 del Lancet dello scorso febbraio, e che fa il punto della situazione a livello epidemiologico e sociale. La considerazione di base è che i tassi di mortalità dovuti a overdose da oppioidi sono aumentati costantemente in più di una decade, per raddoppiare nel quinquennio 2013-2017 allorquando un potente oppioide sintetico ha fatto la sua comparsa sul mercato: il Fentanyl, appunto. Questo oppiaceo sintetico, sintetizzato la prima volta nel 1960 e che viene utilizzato tendenzialmente come farmaco per la gestione del dolore, specialmente in ambito oncologico, viene ritenuto dal Center of disease control and prevention americano (CDC) un antidolorifico potente quasi cento volte più della morfina. Va somministrato peraltro con grande cautela, dato che una dose superiore a 2 milligrammi può rivelarsi, e in molti casi si è rivelata, letale[5], soprattutto nel momento in cui viene usato per tagliare cocaina e metanfetamina[6].

Agli amanti delle serie TV a questo punto potrebbero venire immagini ben diverse da quella di un ostello del Queen, ovvero le desertiche e polverose periferie cittadine di Albuquerque dove Walter White, in Breaking Bad, sintetizzava la metanfetamina in laboratori improvvisati. “Breaking Bad”, il titolo di quella che il Guinness World Records ha riconosciuto nel 2013 come la serie con la più alta valutazione di tutti i tempi, rimandava ad un significato del tipo “Svolta verso una vita criminale”, significato non eccessivamente fuorviante rispetto al tema che trattiamo, dal momento che una sorta di criminalità lambisce (e talvolta investe) proprio la questione degli oppioidi, specie in riferimento al concetto di “prescrizione compiacente”.

Scriveva infatti Andrea Lopes Pegna su questo stesso blog[7] che “alla base di questa letale (e inaspettata) epidemia c’è stata la prescrizione del tutto eccessiva e inappropriata di oppiacei da parte di medici compiacenti o corrotti. Si è potuti così facilmente passare dal semplice utilizzo di un analgesico a quello della tossicodipendenza.”

Il problema non riguarda tuttavia solo i medici compiacenti o corrotti. Infatti, a fine agosto 2019, più o meno contemporaneamente alle vicende del  Kamway Lodge & Tavern, la Johnson & Johnson, il cui vaccino JNJ-78.436.735 è atteso in Italia a momenti (il 16 aprile) come manna dal cielo, è stata condannata a pagare 576 milioni di dollari per aver alimentato la crisi degli oppioidi[8].

Il problema tuttavia non riguarda solo alcune industrie farmaceutiche. Riporta infatti Luca De Fiore[9] in un recente articolo pubblicato su Senti chi parla[10], che “Demetra Ashley, già dirigente della Drug Enforcement Administration (DEA) degli Stati Uniti, è consulente retribuito per Purdue Pharma, azienda tra le maggiori produttrici farmaci oppioidi negli Stati Uniti. Alla DEA, era compito di Ashley cercare di impedire che farmaci da prescrizione come gli oppioidi venissero venduti illegalmente. Sembra sia stato provato che l’azienda fosse al corrente di una commercializzazione illegale del farmaco e non avesse informato le autorità, né abbia corretto le proprie strategie una volta appurato che il medicinale creava dipendenza.”

A questo punto è chiaro come il tema degli oppioidi si configuri come un problema “sistemico”, proprio come l’articolo del Lancet suggerisce.  Scorrendo velocemente il lavoro di Sally L Hodder e colleghi, nell’introduzione l’occhio ci cade inevitabilmente sulle stime del CDC, secondo le quali il 18% degli americani di età pari o superiore a 12 anni farebbero uso di droghe illecite o abuserebbero della prescrizione farmaci oppioidi; questi dati si tradurrebbero in più di settantamila decessi correlati alla droga nel 2017, con un incremento di quasi il 10% rispetto all’anno precedente. Il dato di mortalità riferito al 2017, peraltro, risulterebbe ben superiore a quello riscontrato durante il picco dell’epidemia di AIDS.

Il denominatore comune tra uso di farmaci oppioidi e AIDS è costituito dai People who inject drugs, indicati dall’articolo con l’acronimo di PWID. Infatti è proprio in concomitanza con il funesto trend di crescita del numero delle persone che si iniettano droghe che viene riscontrato, come ricordato direttamente nell’abstract dell’articolo, un vero e proprio “cambiamento demografico” tra le nuove diagnosi per HIV, che vede protagonisti – ripetiamo – i bianchi, i giovani tra i 13 e i 34 anni, e le persone che risiedono al di fuori delle grandi aree metropolitane. L’origine del problema si cala in una confluenza di eventi e politiche sbagliate, mirate tendenzialmente a promuovere una migliore gestione del dolore, con il risultato di un livello prescrittivo da parte dei medici americani cinque volte superiore dei loro pari francesi.

L’aumento dell’uso di oppioidi negli Stati Uniti sarebbe stato inoltre favorito dall’aggravarsi delle situazioni di povertà e dall’aumento della disparità di reddito, specialmente in contesti rurali, tra i quali è stato possibile riscontrare aree di sovrapposizione tra i tassi più alti di mortalità e le maggiori percentuali di acquisizione di HIV attraverso l’iniezione. Le comunità rurali si sono quindi rivelate particolarmente vulnerabili all’intreccio tra epidemie di oppioidi e HIV, anche a causa di una ridotta accessibilità dell’assistenza sanitaria, la mancanza di operatori in grado di curare gli esiti dell’uso di oppioidi e dell’HIV, la scarsa o nulla presenza di programmi di prevenzione, gestione e trattamento delle dipendenze, anche a causa di restrizioni normative.

Ma come mai, concretamente, si è prodotta questa situazione?

Claudia Gatteschi, lo Stigma della siringa

Le barriere all’accesso ai trattamenti del disturbo da uso di oppioidi sono sintetizzate all’interno dell’articolo in una tabella, e sono sostanzialmente tre:

  • Aspetti riconducibili al comportamento del paziente, principalmente lo Stigma verso i “providers”, ovvero l’esperienza personale di precedente trattamento inadeguato; quindi  la mancanza di un’assicurazione sanitaria, la non disponibilità di mezzi di trasporto, il disinteresse nel trattamento o la scarsa conoscenza e consapevolezza della natura della condizione cronica e recidivante.
  • Aspetti riconducibili ai servizi di cura: lo Stigma, questa volta inteso sia come riluttanza ad essere identificati come prescrittori di trattamenti per le dipendenze, sia come atteggiamento negativo verso le persone che si iniettano droghe; altre barriere sono (ancora) gli assistiti non assicurati, la scarsa possibilità di ricevere un rimborso ottimale delle prestazioni, ma anche la scarsa capacità di monitoraggio intensivo del trattamento, che richiede un particolare impegno da parte dei pazienti, soprattutto nelle aree rurali.
  • Aspetti “sistemici”: sempre lo Stigma, inteso qui come incapacità della comunità di riconoscere il disturbo da uso di oppioidi come una malattia, e che può manifestarsi in regolamenti statali che in alcuni casi possono eccedere i regolamenti federali; a queste barriere si aggiunge un’espansione inadeguata di Medicaid in relazione all’Affordable Care Act, o con esclusione assicurativa per i problemi di salute dovuti ai comportamenti individuali a fronte di tassi di rimborso per i trattamenti comunque bassi.

A fronte di queste barriere, le soluzioni raccomandate esposte a livello generale risultano piuttosto scontate, tanto che se non si intende entrare nel dettaglio, come in questo caso, non vale la pena indicarle. Il fatto è che c’è una barriera in particolare che si intende analizzare, e immagino che a questo punto abbiate già inteso quale: lo Stigma.

Secondo gli autori, affrontare lo Stigma (indicato con la maiuscola) è difficile, in quanto il concetto coinvolge cultura e potere. Serve intervenire al livello delle comunità e dei loro leader, così come a quello degli erogatori di assistenza, il tutto in un ambiente non giudicante. Se volessimo proporre però una riflessione più approfondita, potremmo aggiungere che lo Stigma, in questo particolare contesto, è trasversale, multidirezionale e multidimensionale. Assume forme e intensità diverse a seconda del soggetto, fisico o istituzionale, verso cui è indirizzato. Ma soprattutto è il prodotto di quel coacervo di sensazioni sentimenti e giudizi che si materializza in un’immagine: la siringa. È con l’immagine di una siringa che dobbiamo fare i conti, ricostruendone un contesto interpretativo attorno che la interpreti non come oggetto di un comportamento da escludere ma come una richiesta d’aiuto per una malattia da curare.

In altre parole, non (solo) organizzazione e trattamento, ma (soprattutto) informazione e comunicazione; non (solo) accessibilità, ma (soprattutto) accoglienza; non (solo) cura, ma (soprattutto) relazione.

Questo, forse, potrebbe riuscire a spuntarne più naturalmente l’ago.

Giacomo Galletti, economista comportamentale-ricercatore-coach presso l’Agenzia Regionale di Sanità Toscana (ma le cui opinioni e i cui azzardi interpretativi, qui manifestati, sono da ritenersi strettamente personali).

L’immagine di copertina è a cura della vignettista Claudia Gatteschi.

Bibliografia

  1. Lo chef scomparso è morto in un ostello per prostitute e tossicodipendenti. Agi.it, 23.08.2019
  2. Rampini F. Fentanyl: una rivincita sulla guerra dell’oppio made in China. Blogautore.repubblica.it, 28.08.2019
  3. La guerra cui il giornalista fa riferimento fu quella combattuta tra inglesi e dinastia Qing, più o meno nel periodo delle nostre guerre di indipendenza, perché la Cina aprisse le frontiere al commercio dell’oppio coltivato dai britannici nelle colonie indiane. Il successo delle forzature britanniche e la successiva diffusione dell’oppio per l’Impero Celeste contribuì alla decadenza della stessa dinastia Qing.
  4. Hodder SL, Feinberg J, Strathdee SA, et al.The opioid crisis and HIV in the USA: deadly synergies. Lancet 2021; 397(10279): 1139-1150
  5. Che cos’è il fentanyl, la droga che ha ucciso lo chef italiano Andrea Zamperoni Wired.it, 28.08.2019
  6. Fentanyl usato per tagliare cocaina e metanfetamina: allarme negli USA. Cufrad.it, 17.05.2018
  7. Lopes Pegna A. Corruzione letale: oppoidi negli USA. Salute Internazionale, 02.09.2019
  8. Johnson & Johnson ha alimentato la crisi degli oppioidi. E pagherà 572 milioni di dollari. Wired.it, 27.08.2019
  9. Senti chi parla: Luca De Fiore
  10. De Fiore L. Le porte girevoli delle istituzioni. Senti chi parla, 31.03.2021
Print Friendly, PDF & Email