Rappresento una disciplina antica, la teologia, termine coniato 2400 anni fa in Grecia da Platone, e quindi il mio sarà un intervento inattuale, per certi aspetti scontato: dovendo trattare di “Intelligenza delle macchine e libertà dell’uomo”, farò un appello alla libertà. In un lontano giorno del 1778 il filosofo illuminista tedesco Gotthold Ephraim Lessing dichiarava: “Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sinistra il solo eterno impulso verso la verità, e mi dicesse: scegli! io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: concedimi questa, Padre! La verità pura è soltanto per te!”. Oggi, quando siamo più o meno tutti inconsciamente portati a sostituire l’onnipotenza di Dio con l’onnipotenza della tecnologia (Emanuele Severino: “Dio è il primo tecnico, la tecnica è l’ultimo dio”), io riformulerei le parole di Lessing così: Se la Macchina tenesse nella sua destra tutta l’efficienza e nella sinistra il solo eterno impulso verso il lavoro e mi dicesse: scegli!, io sceglierei la sinistra dicendo: concedimi questa, Signora!, l’efficienza pura è solo per te!
La mia tesi è molto semplice, afferma che l’essenza dell’uomo è la libertà, e che quanto più si promuove la libertà, tanto più l’essere umano fiorisce; quanto meno, meno. L’identificazione dell’essenza umana nella libertà vale soprattutto per l’uomo occidentale, quello nato nell’antica Grecia e che queste parole di Eschilo definiscono al meglio. La regina dei persiani, Atossa, attende impaziente il ritorno dell’esercito dalla campagna di Grecia e siccome l’esercito tarda, inizia a interrogare il dignitario di corte su chi siano questi greci, se siano ricchi, forti, tecnicamente dotati nel tiro dell’arco e poi pone la domanda centrale: “Chi è il loro padrone?”. Ecco la risposta che Eschilo, che combatté sia a Maratona sia a Salamina, le dà tramite il dignitario di corte: “Si vantano di non essere schiavi di nessun uomo, sudditi di nessuno”. Era il 472 a.C. e nasceva in Occidente il concetto di libertà.
Lungo la nostra storia la libertà ha avuto i suoi nemici e i suoi difensori, li ha avuti indifferentemente in tutti gli schieramenti: a destra e a sinistra, tra i credenti e non credenti, ma non ci sono dubbi, a mio avviso, che ha costituito il faro più luminoso del cammino della nostra società.
Ma come definire la libertà? Per libertà intendo l’insieme di tre disposizioni: consapevolezza, creatività, responsabilità. La consapevolezza dice conoscenza, la creatività dice azione, la responsabilità dice esercizio di tale conoscenza e di tale azione in armonia con gli altri e con l’ambiente. Se quindi la pienezza della vita umana si dà come vita libera in quanto consapevole, creativa e responsabile, ne viene che l’intelligenza artificiale di cui dotiamo le macchine che andiamo costruendo sarà tanto più da valutare positivamente quanto più promuoverà in noi consapevolezza, creatività e responsabilità, e sarà tanto più da valutare negativamente quanto più tali disposizioni verranno diminuite o addirittura inibite. Garantire la privacy, in altri termini, non significa solo tutelare i dati personali. Ben più radicalmente, significa garantire la possibilità stessa di rimanere persona, cioè agente libero.
Siamo così lontani dall’avvento di un potere tecnologico che garantendo esattezza, efficienza, sicurezza, comodità, riduce drasticamente il sapore più autentico dell’esperienza umana come impulso, slancio, imprevedibilità, ribellione, caos, passione? Il sogno di trasformare il mondo e l’uomo secondo la logica della tecnologia è antico, il filosofo francese De la Mettrie scrisse L’homme machine nel 1747. Tale sogno si è incamminato sempre più verso la realtà e nel 1964 Herbert Marcuse iniziava così L’uomo a una dimensione: “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non‐libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”. Non so se sia davvero realizzabile il sogno meccanicista del mondo come macchina e degli esseri umani come tante ordinate macchinine, tutti rigorosamente a una sola dimensione. Ciò di cui sono abbastanza sicuro è che qualcuno può avere molto interesse a ridurre gli esseri umani in tanti ingranaggi unidimensionali al servizio di un grande macchinario: un tempo era l’Impero persiano, poi venne la Chiesa cattolica medievale e rinascimentale con il suo assolutismo e la sua inquisizione (emblematiche le date del 17 febbraio 1600 e del 22 giugno 1633 che ricordano due tragici eventi accaduti in questa città), poi il giacobinismo che nel nome della libertà finì per ghigliottinare i cittadini con la stessa indifferenza con cui si tagliano le teste di cavolo (il paragone si trova nella Fenomenologia dello spirito di Hegel), poi le dittature di destra e di sinistra che hanno insanguinato il Novecento. Ma quali sono oggi i nemici della libertà?
A costo di apparire antiquato, non nascondo l’inquietudine generata in me al pensiero di un prossimo futuro fatto di macchine con forma umana, con voce umana, con tatto umano, in giro per le nostre case. Saranno anche come noi? O addirittura più di noi, attuando così per l’ennesima volta la dialettica servo‐padrone illustrata dalla Fenomenologia dello spirito, questa volta però sotto forma di inventore‐invenzione? Leggeremo libri di filosofia, di diritto, di politica, scritti da macchine umanoidi? Saranno loro i futuri maestri dell’umanità? Tra meno di cento anni in questa stessa sala si ritroveranno gli umanoidi a discutere di cosa fare di questi umani, così poco efficienti, così tanto costosi?
Vorrei tornare sull’impulso alla ricerca della verità che Lessing giustamente preferiva al possesso della verità e che costituisce, a mio avviso, il sale della vita umana in quanto umana. Da dove viene? Viene dall’ignoranza e dalla conseguente meraviglia. Platone e Aristotele posero nella meraviglia l’inizio della filosofia, intendendo per filosofia la forma più alta di vita libera, non più solo produzione, ma anche e soprattutto contemplazione.
In realtà i filosofi antichi si potevano permettere il loro otium grazie al negotium coatto della moltitudine degli schiavi, una situazione durata sostanzialmente fino a pochi decenni fa e ancora presente in non poche parti del mondo. La tecnologia con le sue macchine non è quindi necessariamente nemica della libertà, anzi può esserne una preziosa alleata. Il punto però è un altro: è la meraviglia.
Anche l’intelligenza artificiale suscita meraviglia, e non poca. Ma si tratta pur sempre di una meraviglia limitata, perché noi sappiamo da dove viene la tecnologia e quindi il fatto che una tavoletta mi colleghi con il mondo o che dentro di me un puntino metallico potenzi le mie prestazioni, è sì meraviglioso ma fino a un certo punto. Quando arriva la spiegazione, la meraviglia non c’è più. Al suo posto subentra un’altra cosa: il potere. L’intelligenza artificiale, che viene dalla potenza della mente umana, genera ultimamente potere e desiderio di potere.
Non è significativo che i nazisti ad Auschwitz toglievano tutto ai prigionieri, ma assegnavano a tutti rigorosamente un numero? Il numero è alla base del controllo e del potere, è lo strumento privilegiato del controllo e del potere. Per il pensiero umano le cose non stanno così. Noi non sappiamo da dove viene la vita, meno ancora sappiamo da dove viene la coscienza in quanto sede del pensiero. Al riguardo c’è chi parla di materia e di caso, chi di materia e di teleologia, chi di spirito e di teologia, il Dalai Lama sostiene che “l’evento della coscienza non emerge dal cervello o dalla materia”. Ma ciò che conta davvero è che il destino dell’umanità è legato alla sua capacità di cogliere e di indagare l’ignoto, è legato cioè alla sua ignoranza e alla conseguente meraviglia. Dico ignoranza, ovviamente, non per rimanervi, ma per superarla elaborando liberamente le informazioni, soprattutto sapendo che una nuova conoscenza produce sempre la consapevolezza di ulteriore non‐conoscenza.
Nella misura in cui rimarrà in noi uno scarto tra la mente e il di più della vita, continuerà a esservi spazio per la libertà, e quindi per l’arte, la poesia, la filosofia, la spiritualità, la passione, cioè per l’essenza più vera dell’essere umano. Ha scritto Goethe: “Il fremito è la miglior parte dell’umanità; per quanto il mondo faccia pagare caro il sentimento, l’uomo, quand’è commosso, tocca l’immensità”. Se invece l’umanità, attraverso microchip o altri meccanismi, riuscirà a placare ogni tensione, essa, da passione indisciplinata, verrà addomesticata, e sarà la fine, non dico solo della privacy, dico del mistero della persona.
Il mondo è un esperimento e come tale può anche fallire, e a mio avviso un’eventuale chiusura dell’umanità su se stessa nel totale appagamento della propria intelligenza indirizzata solo a soddisfare i propri bisogni e a incrementare i propri piaceri, costituirà il fallimento dell’esperienza umana. Tale neopositivismo tecnologico segnerà la fine del nostro essere sapiens, saremo solo faber, o peggio consumans, ammesso che si possa dire in latino. Sono stato invitato a parlare di “Intelligenza delle macchine e libertà dell’uomo” e io concludo con l’auspicio che le macchine non ci tolgano il caos. È dal caos infatti, come insegnano tutte le antiche cosmogonie, che prende forma la natura, anche la natura umana, la quale, tra tutte le manifestazioni naturali, è la più caotica, e per questo la più libera.
INTERVENTO IN OCCASIONE Roma, 30 gennaio 2018, Garante della Privacy, convegno “Uomini e macchine”