Sanità e donne, una rivoluzione. di Linda Laura Sabbadini

Bassa crescita, alte disuguaglianze sociali e territoriali, bassa parità di genere, hanno caratterizzato la situazione del nostro Paese ormai da anni. Ieri il Presidente del Consiglio ha delineato la strategia. Grande visione, ma osiamo di più.

Parto da un punto critico, data la pandemia, il ridisegno della sanità territoriale. Estendiamola anche all’assistenza sociale, in un’ottica di welfare di prossimità. Sulla sanità il Presidente del Consiglio ha affrontato in modo eccellente la questione, proiettandosi verso la medicina del futuro.

È sul territorio che si sviluppa la prevenzione. Ogni persona potrà essere curata all’interno del suo ambiente di vita, senza esserne traumaticamente sradicata, almeno nella maggioranza dei casi. Potrà essere attivato un sistema a rete capace di sostenere le persone anche non autonome con progetti personalizzati dei servizi. Multidimensionali, psicologici, sanitari, economici, di assistenza nella vita quotidiana. Progetti in cui fondamentale sarà il ruolo del volontariato e del terzo settore. Dentro e fuori casa. È una rivoluzione copernicana. Estenderla a tutto il settore dell’assistenza è fondamentale. L’assistenza è, infatti, una nota dolens del Paese, in gran parte a carico del lavoro non retribuito delle donne, che sono in posizione molto più svantaggiata delle europee. E ne pagano le conseguenze con maggiori interruzioni lavorative, abbandoni del lavoro, retribuzioni più basse, rinuncia a lavorare, carriere più lente.

C’è bisogno di una vera e propria redistribuzione del lavoro familiare non retribuito, nella famiglia e nella società. Con un maggiore coinvolgimento dei padri nelle responsabilità familiari (servono politiche) e con un investimento serio, massiccio, nelle infrastrutture sociali, servizi educativi per la prima infanzia, tempo pieno nelle scuole, servizi di assistenza per anziani, disabili, persone più vulnerabili. Abbiamo meno occupazione femminile nel nostro Paese, anche perché abbiamo investito meno in sanità, meno in istruzione, in assistenza e nella Pubblica Amministrazione. Gli occupati in questi settori per 10 mila abitanti sono più bassi della media europea. Chi lo ha pagato sono state le donne, perché non hanno potuto usufruire di questa opportunità di accesso, e perché non si sono alleggerite dei compiti di cura e assistenza che le penalizzano sul lavoro. Allora osiamo di più con un grande piano di infrastrutture sociali. I bimbi al nido devono arrivare almeno al 60%. E questo fa bene ai bimbi in primis.

I servizi pubblici per l’assistenza e il lavoro di cura di anziani e disabili devono essere fortemente sviluppati. Il lavoro di cura non retribuito deve trasformarsi in lavoro di cura retribuito come in altri Paesi. Va bene investire sulla formazione e sulle Stem, anzi di più, andrebbe varato un piano contro gli stereotipi di genere serio, non con piccoli finanziamenti, come finora fatto. Va bene attivarsi contro le disuguaglianze salariali. Ma attenzione. Osiamo di più. È necessario fare quello che non si è mai fatto nella storia della Repubblica sulla parità di genere, con una strategia di breve, medio e lungo periodo. Qui non si tratta di definire ” farisaico”, termine discutibile, “il rispetto delle quote rosa”. E’ chiaro che non sono una vera parità di genere.

Ma ricordo che la Legge Golfo–Mosca è stato uno strumento potentissimo contro il monopolio maschile nei Consigli di amministrazione delle imprese. E che l’inserimento di donne ha contribuito ad elevare la qualità dei curricula sia degli uomini che delle donne presenti nei Cda. Quando avremo la parità di genere non ce ne sarà più bisogno. Ma ora le quote rosa vanno estese e utilizzate anche da questo governo e servono a forzare resistenze e abbattere muri.

Fonte: Astrid da LA STAMPA – 18 FEBBRAIO 2021

Print Friendly, PDF & Email