La sanità digitale parte dall’interoperabilità. di Luca Foresti

La sanità italiana è tra le migliori al mondo e contestualmente tra le meno digitalizzate dei paesi Ocse.

I canali digitali sono sempre più l’opzione principale per ottenere informazioni, prenotare, scambiare dati tra operatori e altri operatori oltre che con i pazienti, elaborare informazioni, costruire basi dati per successive analisi e definire miglioramenti continui. Il digitale è un linguaggio, un approccio mentale, richiede persone abituate a usarlo, infrastrutture solide, una propensione da parte dei decisori a immaginare processi che facciano leva sul digitale stesso. Ha fenomenali economie di scala e la capacità di aggiungere velocità e precisione in processi che altrimenti ne sono largamente privi.

Per tutti questi motivi nei prossimi cinque anni dobbiamo far fare un salto in alto alle abilità digitali della sanità italiana, come fondamento di qualsiasi miglioramento ulteriore. In particolare dobbiamo darci quattro obiettivi:

  1. Standardizzare su base nazionale il linguaggio digitale in sanità. Sia il linguaggio amministrativo, sia quello clinico

2. Imporre a tutti gli erogatori pubblici e privati la messa a disposizione dei dati clinici ai pazienti stessi e a tutti i soggetti cui i pazienti stessi desiderano dare accesso, in formato digitale e in tempo reale

3. Spostare tutte le prestazioni che possono essere fatte con buona qualità su canali digitali

4. Portare alla guida delle istituzioni sanitarie decisori con competenze digitali

Ognuno di questi obiettivi non è stato perseguito seriamente fino a oggi. Il Fascicolo sanitario elettronico è un progetto ormai vecchio, da molti punti di vista: in particolare perché di fatto si tratta di documenti non machine-readable. Come sbloccarli?

Partiamo dai primi due punti, fondamentali per evitare una babele sanitaria in cui sia impossibile l’interoperabilità tra operatori. Non è sufficiente che questi standard informatici siano decisi a livello regionale: sarebbe un enorme spreco di risorse rifare gli stessi esercizi con linguaggi diversi regione per regione. Lo Stato può imporre gli standard con leggi ordinarie e le regioni devono starci dentro. Gli standard devono seguire i cosiddetti principi Fair: findability, accessibility, interoperability e reusability. Lo Stato deve lasciare alle singole istituzioni il compito di costruire le infrastrutture necessarie, con scadenze rigorose e penali forti per chi non lo fa, per ottenere che questo punto sia prioritario nelle agende dei leader delle istituzioni sanitarie. Ma deve imporre il linguaggio e l’apertura allo scambio di informazioni in tempo reale.

Ovviamente lo Stato dovrà usare i soldi del Recovery Fund per finanziare questi sviluppi. La parola magica è Api (application programming interface) e in concreto significa che se ti presenti alla porta digitale di un erogatore che custodisce i tuoi dati dentro, con una chiave legata alla tua identità puoi ottenere immediatamente i tuoi dati in formato digitale standard. E ovviamente puoi far fare questo lavoro a software che centralizzano in un unico luogo tutti i tuoi dati, indipendentemente da chi li abbia prodotti. Gli operatori sanitari sono obbligati ad avere la disponibilità dei dati dei pazienti tramite Api in tempo reale. Queste interfacce permettono anche la trasmissione efficace dei dati tra pezzi di sanità pubblica e privata, ad esempio tra medici di base, poliambulatori e ospedali. Permettono ai pazienti che si trasferiscono da una regione a un’altra di avere con sé tutta la propria storia. E permettono lo sviluppo di app che analizzando i dati di un paziente e gli forniscono informazioni importanti sulla sua salute. Un sistema di questo tipo permette anche di integrare i dati prodotti da professionisti sanitari con dati prodotti dal paziente stesso, tramite tecnologie wearable. Ovviamente anche il lavoro dei medici verrebbe facilitato perché potrebbero ottenere analisi automatizzate tramite software capaci di produrre intelligence clinica da dai dati sanitari del paziente.

Il terzo obiettivo è quello di portare il più possibile su canali digitali le prestazioni che possono essere fatte su canali digitali. La medicina di base è l’area più adatta per questa rivoluzione. I medici di base sono remunerati a paziente e quindi possono erogare i servizi nel modo più efficiente possibile. Ma anche la specialistica, la presa in carico domiciliare, il monitoraggio post-acuto, il supporto a domicilio degli anziani. Video-consulti, video-visite, chat, uso di immagini e ricette inviate via smartphone, sensori, scambio dati tra device intelligenti: sono tutti strumenti esistenti da anni e perfettamente adatti per questa rivoluzione. Basta solo la volontà politica e le risorse per farlo.

Infine l’inizio di tutto: nulla potrà avvenire se chi ha la leadership delle istituzioni sanitarie non ha competenze digitali e non ne capisce logica e linguaggio. Questo si può ottenere selezionando una generazione di nuovi leader dotati di queste competenze, oltre che cercare di formare chi non le ha. Lo Stato in tutto questo ha quindi pochi e precisi ruoli e deve poi lasciare gli altri operatori agire dentro a queste linee guida. Se invece lo Stato si sobbarca il compito di gestire la realizzazione concreta di queste riforme non saprà interpretare le condizioni specifiche e quindi costruirà dei moloch inutilizzabili ai più.

Si potrebbero citare temi come intelligenza artificiale o Big data. Sono temi molto rilevanti per il futuro della medicina, ma oggi noi non abbiamo le fondamenta, le cose semplici che vanno fatte e che sono propedeutiche all’uso di tecnologie più complesse.

Abbiamo infine bisogno di più volontà politica e determinazione che di soldi, anche se averli quando i progetti vengono definiti permette realizzazioni veloci e quindi successi immediati. Ogni euro speso in questo processo è un vero e proprio investimento, che sul lungo termine porterà benefici anche in termini di costi: una sanità digitale sarà anche una sanità meno costosa per lo Stato e i cittadini. Un circolo virtuoso di riforme verso una sanità più digitale, migliore di quella che abbiamo oggi.

Fonte: IL SOLE 24 ORE – 7 FEBBRAIO 2021

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