Vittorio Angoletto è il rappresentante italiano nel Coordinamento dell’Ice sui vaccini, medico, professore di globalizzazione e politiche della salute all’Università Statale di Milano, ci illustra le ragioni che hanno portato oltre 40 associazioni italiane, a promuovere una petizione alla Commissione europea per avere licenze obbligatorie sui vaccini e promuovere la salute come bene comune. Intervista di Roberta Lisi su Collettiva
L’unico vero strumento che il mondo possiede contro la pandemia è il vaccino per tutti e tutte. Questo per tutti, però, oggi sembra molto lontano dall’essere reale.
Purtroppo sembra veramente molto lontano. La ragione principale risiede nelle regole sui brevetti stabilite dagli accordi Trips, quelli sulla proprietà intellettuale approvati nel 1995 all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Secondo questi accordi, ogni azienda che produce un farmaco o un vaccino ne ha il monopolio per 20 anni. Questo significa che per due decenni può decidere come, dove, quando e quanto produrre. Quindi ha un fortissimo potere contrattuale anche sul prezzo. Quel che accade oggi non è una cosa nuova. Si era già verificata con i farmaci contro l’Aids. Non dimentichiamoci che nel 1997 Nelson Mandela, presidente del Sud Africa, un paese che aveva circa il 35 per cento di donne tra i 15 e i 40 anni sieropositive, aveva cercato disperatamente un accordo con le multinazionali che producevano gli antivirali. Non arrivando a un accordo, decise di far approvare dal Congresso sudafricano una norma che autorizzasse le aziende del paese a produrre i farmaci. A quel punto, le multinazionali fecero causa al Sud Africa all’Organizzazione mondiale del commercio, che impose a Mandela di sospendere quella decisione e la produzione dei retrovirali. La vertenza andò avanti per 4 anni, fino a quando nel 2001 le multinazionali ritirarono la denuncia, si sedettero ad un tavolo con il governo sudafricano, e si trovò un compromesso. Nel frattempo morirono centinaia di migliaia di persone.
Oggi qual è la situazione?
Proprio in seguito a quella vicenda, nell’autunno del 2001, durante la sessione plenario dell’Omc venne fatta una importante dichiarazione: almeno sul piano formale, si stabilisce che nessuno stato può trovarsi nella condizione di non poter garantire il diritto alla salute ai propri cittadini per rispettare i brevetti. In seguito a quella dichiarazione, vengono individuate due clausole di salvaguardia inserite negli accordi Trips. Una in particolare ci interessa in questo momento, quella sulle licenze obbligatorie. Prevede che gli stati che si trovano in una pandemia e in difficoltà economica sono autorizzati a produrre direttamente i farmaci salvavita, scavalcando il brevetto. Ovviamente questa non è una cosa automatica, gli stati devono dichiarare questa condizione, presentare all’Omc una serie di documenti. Però è una strada percorribile. Immediatamente BigPharma si è mossa nei confronti degli Usa e dell’Unione europea per depotenziare questa clausola. Basti pensare che nel primo decennio di questo secolo l’Ue inseriva negli accordi commerciali con paesi extraeuropei l’obbligo a non utilizzare questa clausola degli accordi Trips.
E ora è proprio Big Pharma a decidere quante dosi, dove come e quando consegnarle. E l’Unione Europea si trova in grandissima difficoltà, accanto al bollettino quotidiano su contagi e morti, si pubblica ormai anche quello sulle dosi di vaccino non consegnate. Per questo un gruppo di personalità e organizzazioni di diversi paesi ha deciso di lanciare una Petizione alla Commissione Europea?
Sì, abbiamo deciso di lanciare quella che tecnicamente si chiama Ice, cioè una Iniziativa di cittadini europei, uno strumento istituzionale previsto dall’Ue. Se i cittadini raccolgono un milione di firme in un anno di tempo, per quanto ci riguarda la scadenza è il prossimo 30 novembre, la Commissione è obbligata ad ascoltare i promotori della petizione, poi ad avanzare una proposta al Parlamento e al Consiglio europeo che vada nella direzione della petizione, o a motivare perché non è d’accordo. In ogni caso, la Commissione è obbligata ad aprire una discussione. Con l’Ice noi chiediamo tante cose, quelle che l’Ue può fare. In particolare tre. La prima, che i paesi dell’Ue percorrano la strada delle licenze obbligatorie e che la Commissione europea non cerchi di bloccare questo percorso. La seconda è che l’Unione ricontratti con le aziende che stanno producendo i vaccini e che hanno ricevuti fondi pubblici. Noi pensiamo che a prescindere dalla discussione generale sui brevetti, se sono realizzati grazie anche a fondi pubblici, quei brevetti debbano essere pubblici. Infine chiediamo che la Commissione europea appoggi a marzo, nel corso dell’assemblea dell’Omc, la proposta dell’India e del Sud Africa, già supportata da un centinaio di paesi del sud del mondo, di una moratoria sui vaccini e sui farmaci.
Ma esiste anche un problema di trasparenza? È mai possibile che contratti fondamentali per la salute e quindi per la vita dei cittadini e delle cittadine siano coperti da segreto?
La domanda arriva esattamente nel momento più giusto. Oggi (venerdì per chi legge ndr.) è stato pubblicato, dopo varie richieste e proteste, il contratto che la Commissione europea ha firmato con AstraZeneca sul sito della Commissione. È impressionante! Ci sono intere pagine con omissis, oscurate in nome della segretezza. E sono oscurate le cose fondamentali, come quante dosi devono essere consegnate entro una determinata data e di quanto costa ciascuna dose. Siccome i soldi in gioco sono nostri, dei cittadini e delle cittadine europei, e inammissibile che non si possa sapere come vengono impiegati. Entrando poi nel merito per quello che si può leggere, c’è da chiedersi come mai sia possibile che in un contratto ci sia scritto che l’azienda farmaceutica deve fare una serie di cose ma “ragionevolmente con il massimo sforzo”. Queste sono formule che lasciano grande libertà di azione alla multinazionale, non sono un vincolo cogente.
Quanto di quello che stiamo imparando a nostre spese sulle norme che regolano la produzione di farmaci e vaccini dovrà essere rivisto in nome della salute bene comune?
È assolutamente indispensabile rimettere in discussione due livelli. Il primo ha a che fare con una situazione immediata, non parlo solo di queste settimane e mesi, parlo di questi anni. Va rivisto l’accordo Trips relativo ai brevetti. Poi però, esiste un altro piano più strategico, penso sia arrivato il momento di avere una grande azienda farmaceutica pubblica a dimensione europea. Noi finora abbiamo discusso di segretezza, di soldi e di date di consegna, ma la privatizzazione totale del mercato farmaceutico e della produzione dei farmaci porta anche ad altre cose. Si sa, per esempio, molto poco rispetto ai trial e a come sono state condotte le ricerche, che comunque avevano come finalità principale quella di massimizzare i profitti non l’interesse dei cittadini. Insomma, ci sono tanti passaggi che se fossero stati gestiti da una struttura pubblica, sarebbero stati gestiti in maniera diversa. Faccio un altro esempio di cui poco si parla. Tutte le ricerche su questi vaccini sono state finalizzate a vedere quanto questo siero blocca l’evoluzione della malattia, ma non sappiamo se blocca la trasmissione dell’infezione, perché non era interesse dell’azienda andarlo a verificare. Ma questo è un problema. Potremmo avere milioni di persone che hanno fatto il vaccino, si sentono sicure, non sviluppano i sintomi, ma trasmettono la malattia. Un’industria pubblica si occuperebbe di questo e svilupperebbe anche ricerca per quelle patologie, magari poco diffuse ma presenti, e che meritano di essere indagate e curate.
Torniamo all’Ice. Affinché possa essere presentata alla Commissione europea, deve essere accompagnata da un milione di firme raccolte in diversi paesi. In Italia ne servono 180mila. Come pensate di farla arrivare ai cittadini italiani?
La cosa più importante, già realizzata in Italia, è che il Comitato promotore è costituito da oltre 40 realtà associative, sindacali, politiche. Ed è un numero che continua a crescere di giorno in giorno. La presenza forte della quasi la totalità del mondo del lavoro è un segnale che dà coraggio. Stiamo ragionando su alcune giornate, una ad esempio tra la fine di febbraio e i primi di marzo, in cui tutte le organizzazioni insieme invitino i cittadini a firmare. E poi abbiamo il sostegno e la partecipazione attiva di grandi personalità del mondo della scienza e dei diritti, da Garattini a Strada, a don Ciotti, per fare solo pochi nomi. E molti altri se ne aggiungeranno. L’obiettivo è ambizioso ma assolutamente raggiungibile.
fonte: Collettiva