La centralità dei dati per un welfare che cambia: una sfida per la ricerca sociale. di Fabrizio Martire

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 3/2020 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: https://www.ediesseonline.it/prodotto/rps-n-3-2020/.

La sinergia tra le tecnologie della nostra vita quotidiana e quelle a disposizione dei grandi gestori di dati (istituzioni pubbliche e private, imprese, ecc.) implica, almeno in potenza, un salto di qualità nella rilevazione, costruzione, gestione e utilizzo dei dati, investendo profondamente anche le pratiche di welfare.

L’ingresso del digitale nelle pratiche di raccolta e uso dei dati significa accesso ad un nuovo mondo da osservare fatto di comunicazioni e interazioni sui social network, tracce di transazioni finanziarie, dati di posizioni e spostamenti rilevati con sensori Gps (giusto per fare qualche esempio di big data tipici); ma anche maggiori possibilità a disposizione dei gestori di dati per chiedere informazioni mirate, ad hoc, ai loro target di riferimento. I questionari somministrati tramite smartphone e app permettono, in linea di principio, di raccogliere informazioni in tempo reale, eliminando tutte quelle fonti di distorsione legate alla eventuale natura retrospettiva dei dati, che caratterizzano invece le indagini tradizionali.

Un ambito primario di rilevanza dei dati per il welfare riguarda la stima e l’anticipazione di bisogni sociali in risposta ai quali progettare e implementare policies, interventi e prestazioni, tanto a livello individuale, quanto territoriale; parallelamente alcune delle principali innovazioni di processo e di strategia di ricerca sociale si sono incrociate, nel momento della loro applicazione, con il welfare e con le sue esigenze di conoscenza. Nel saggio si illustrano due esempi specifici – uno riconducibile alla logica dell’analisi secondaria dei dati, l’altro al modello delle grandi indagini campionarie – di mappature territoriali di fenomeni sociali funzionali alle politiche di welfare.

Peraltro, i dati non sono centrali solo nella fase di anticipazione e stima di bisogni sociali. Oggi più che mai un intervento di welfare può essere rappresentato come un sistema decisionale complesso di allocazione di risorse che si alimenta continuamente di dati per il suo funzionamento.

Il concetto di Decision Support System (Dss) si basa proprio sull’idea di introdurre in un processo decisionale (ad es., stabilire se una famiglia debba o meno essere oggetto di una misura di welfare, oppure individuare modalità e intensità di tale misura, ecc.) una qualche forma standardizzata di raccolta ed elaborazione di informazioni, che può assumere un ruolo più o meno vincolante per chi ha la responsabilità della decisione.

Quale che sia la funzione attribuita ai dati – anticipare, stimare, localizzare fabbisogni o sostenere in modo più o meno automatizzato processi decisionali – la loro rinnovata centralità per il welfare, legata anche alle innovazioni tecnologiche che rendono possibili forme di rilevazione ed elaborazione delle informazioni inimmaginabili in passato, implica anche un’altra centralità: quella dei cittadini, principali stakeholder dei servizi di welfare e ora, nella cosiddetta «società digitale», anche fornitori insostituibili dei dati e delle informazioni di cui il welfare si serve.

Che si tratti di compilare un questionario semplice e strutturato, oppure di ricostruire in modo approfondito esperienze, atteggiamenti o opinioni, le persone rispondono alle richieste di informazioni che ricevono dando, anche implicitamente, molteplici significati all’interazione col ricercatore, anche in funzione delle intenzioni che gli attribuiscono e degli usi che prefigurano possano essere fatti dei dati che vengono raccolti.

Quando, come nel caso delle indagini sociali al servizio del welfare, una campagna di raccolta dati avviene per scopi di uso applicativo diretto e non solo per sviluppare conoscenza, il rapporto con il ricercatore, e con l’indagine in generale, non si esaurisce nel momento della concessione di informazioni. Verosimilmente in questi casi, chi concede i dati si sente, rispetto all’uso che può esserne fatto, portatore di interessi tanto quanto chi li riceve. Di conseguenza, la natura del patto implicito tra ricercatore e soggetti studiati si arricchisce: entrano fortemente in gioco aspetti come la fiducia, la reputazione e la credibilità, sia rispetto agli attori in campo (chi coordina la raccolta delle informazioni e chi ha la responsabilità dell’uso dei dati), sia rispetto alle procedure messe in campo, non solo in fase di rilevazione, ma anche di utilizzo.

Tutto ciò rende l’etica della ricerca un campo strategico di riflessione e di intervento, non solo di per sé, ma anche come fattore che influenza la qualità dei dati raccolti. Nella letteratura specializzata si individuano due principi diversi che possono orientare l’etica della ricerca. Da una parte la deontologia, che mette in primo piano i modi con cui si conducono le indagini e chiede ai ricercatori il rispetto di certi limiti; rientrano in questo principio le procedure attraverso cui viene garantita l’autonomia dei partecipanti e il rispetto della riservatezza dei loro dati.

Dall’altra il consequenzialismo, che invece valorizza i fini della ricerca, che deve essere orientata all’interesse pubblico e ad una beneficialità il più possibile estesa e democratica.

Quando si tratta di campagne di raccolta dati che prevedono un loro uso applicativo diretto, e non organizzate per scopi prevalentemente se non esclusivamente conoscitivi, l’approccio deontologico non è sufficiente. In ottica consequenzialista, si dovrebbero potenziare forme di comunicazione istituzionale che valorizzino chiaramente e dettagliatamente i benefici – per il singolo e per la comunità – dell’indagine che si intende svolgere; benefici che in qualche modo possano compensare e superare i rischi che le persone inevitabilmente associano ad una loro eventuale partecipazione ad essa. È inoltre importante che tale condivisione non assuma la forma di una comunicazione top-down dalle istituzioni al cittadino, ma venga invece costruita in modo partecipato.

Fonte RPS La Rivista delle Politiche Sociali free text

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