Raggiunto l’Accordo sul Piano Pandemico influenzale in sede di Conferenza Stato Regioni (Report 25 gennaio 2021)
Dalla Premessa:
“Influenza pandemica e pandemia da coronavirus”
L’influenza è una malattia respiratoria acuta conosciuta da molto tempo, ma il virus che ne è causa è stato identificato solo agli inizi degli anni Trenta dello scorso secolo. I virus influenzali sono in grado di infettare uomini, altri mammiferi e uccelli, e si raggruppano in 3 diversi tipi: A, B e C, ma solo i primi due sono importanti per la specie umana. I virus influenzali di tipo A, poi, oltre a causare ricorrenti epidemie stagionali (insieme ai virus di tipo B, con i quali spesso co-circolano), sono stati gli unici a provocare pandemie.
Sia i virus di tipo A che, in minor misura, quelli di tipo B, riproducendosi tendono a mutare e ogni anno accumulano piccole mutazioni (cosiddetti drift), che rendono conto della ricorrenza delle epidemie stagionali (nella stagione fredda, l’influenza ritorna e trova una popolazione suscettibile più o meno ampia) e della necessità di aggiornare il vaccino in base al ceppo mutato.
Quando un virus influenzale di tipo A va incontro a una mutazione maggiore (cosiddetto shift), allora, trattandosi di un virus totalmente nuovo, trova una popolazione umana del tutto suscettibile e quindi è in grado di provocare una pandemia di rilevanti dimensioni. È quanto è accaduto con la pandemia spagnola (dovuta a un virus di tipo A, sottotipo H1N1) nel 1918, con l’asiatica (sottotipo H2N2) nel 1957, e con la Hong Kong (sottotipo H3N2) nel 1968. Nel 2009, poi, un virus A di sottotipo H1N1 ma di origine suina è passato all’uomo, cominciandosi a diffondere in maniera efficiente, e causando una pandemia non particolarmente grave. In genere, i virus influenzali pandemici originano a seguito di un passaggio di specie dall’animale all’uomo, o direttamente dai volatili o tramite i suini, che hanno recettori sia per i virus aviari che umani.
A seguito della diffusione iniziata sul finire del 2003 di un virus aviario di tipo A sottotipo H5N1 (un ceppo virale che ha causato alcune centinaia di casi umani sporadici senza però riuscire a trasmettersi efficientemente da persona a persona), nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raccomandato agli Stati Membri di mettere a punto e aggiornare costantemente un Piano Pandemico per i virus influenzali. Nasce così il Piano Pandemico italiano del 2006 (Accordo Conferenza permanente Stato Regioni e Province Autonome Rep.n.2479 del 9 Febbraio 2006), che va sostanzialmente a sostituire il “Piano italiano multifase d’emergenza per una pandemia influenzale” del 2002 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 72 del 26 marzo 2002).
Il concreto rischio di comparsa di nuovi ceppi pandemici di virus influenzali ha indotto l’OMS a stimolare i Paesi membri a preparare piani di risposta a possibili pandemie influenzali dalla fine degli anni Novanta. Il nostro Paese ha prodotto un piano pandemico anti influenza nel 2002 e uno successivo nel 2006.
Nel corso del 2020, è accaduto un evento molto raro. Se è vero, infatti, che le pandemie influenzali prima o poi si verificano anche se in termini temporali del tutto imprevedibili, sul finire del 2019 è emerso in Cina un virus diverso da quello influenzale, un nuovo coronavirus. Sebbene altri coronavirus, di origine animale, SARS-CoV e MERS-CoV avessero causato epidemie umane, per la prima volta un coronavirus è stato in grado di determinare un evento pandemico protratto con milioni di casi e di decessi.
Il virus SARS-CoV, causa della malattia SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave – Severe Acute Respiratory Syndrome), aveva già fatto la sua comparsa nel 2002-2003 in Cina, causando focolai epidemici in Paesi dell’Estremo Oriente e a Toronto, ma era stato contenuto ed eradicato grazie a pronte misure quarantenarie.
Rispetto al virus SARS-CoV, il contenimento dell’attuale SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, si è dimostrato di difficile attuazione per due motivi diversi: 1) i casi di SARS erano in gran parte gravi e quindi facilmente identificabili, mentre SARS-CoV-2 è più frequente causa di casi asintomatici o paucisintomatici; 2) il picco di contagiosità della SARS avveniva circa una settimana dopo la comparsa dei sintomi (quindi si faceva in tempo a isolare i pazienti prima che diventassero contagiosi), mentre per SARS-CoV-2 coincide con la comparsa dei sintomi o addirittura li anticipa.
Inoltre, SARS-CoV-2 è un virus completamente diverso da quello dell’influenza, anche se il suo comportamento in termini di dinamica epidemica, potenzialità pandemiche, e conseguenze cliniche nei casi gravi ricorda quello delle influenze pandemiche, condividendo il tropismo per l’apparato respiratorio, anche se con una tendenza ad un maggior interessamento delle basse vie respiratorie (sul piano clinico, poi, il coronavirus ha delle specificità che non affrontiamo in questa sede).
Le lezioni apprese dalla inattesa pandemia da un nuovo coronavirus del 2020 possono essere considerate in un Piano Pandemico influenzale che è utile contestualizzare nell’ambito dell’attuale crisi sanitaria globale. In particolare, quanto stiamo apprendendo dalla pandemia SARS-CoV-2 è utile per la messa a punto di piani pandemici influenzali e in prospettiva per la risposta ad altri patogeni capaci di causare epidemie/pandemie. La pandemia SARS-CoV-2/COVID-19 conferma l’imprevedibilità di tali fenomeni e che bisogna essere il più preparati possibile ad attuare tutte le misure per contenerli sul piano locale, nazionale e globale. Per questo è necessario disporre di sistemi di preparazione che si basino su alcuni elementi comuni rispetto ai quali garantire la presenza diffusamente nel Paese e altri più flessibili da modellare in funzione della specificità del patogeno che possa emergere. Tali meccanismi dovrebbero consentire di incrementare le capacità diagnostiche specifiche per il patogeno di riferimento sia in termini di produzione che di vera e propria effettuazione della diagnosi; modulare la fornitura di prodotti terapeutici in funzione delle evidenze scientifiche disponibili per il trattamento e assicurare la disponibilità di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) al fine di proteggere gli operatori sanitari che operano in prima linea. Ciò che in pochi mesi è stato fatto per adeguare il sistema e arrivare ad una sua sostanziale autosufficienza di DPI è qualcosa che deve rimanere anche in futuro. Si è visto che le mascherine chirurgiche o quelle di comunità, quando usate correttamente da tutti, insieme alle altre misure di prevenzione, esplicano un sostanziale effetto di popolazione nel ridurre la trasmissione dell’infezione. Come suggerisce l’esperienza australiana, le misure di distanziamento fisico sono state in grado di minimizzare l’impatto dell’influenza stagionale e potrebbero quindi mitigare, almeno in parte, il decorso di una pandemia influenzale [1]. Sempre l’esperienza del 2020 ha dimostrato che si può e si deve essere in grado di mobilitare il sistema per aumentare nel giro di poco tempo sia la produzione di mascherine e DPI a livello nazionale che i posti letto in terapia intensiva, anche per far sì che non si verifichino disservizi nella assistenza e nella cura delle persone affette da malattie ordinarie (diverse dal COVID-19) quanto comuni. Infine, e ciò vale per la preparazione nei confronti di tutti gli eventi pandemici, anche quelli dovuti ad una malattia respiratoria non conosciuta che definiremo come malattia respiratoria “X”. Occorre una formazione continua finalizzata al controllo delle infezioni respiratorie e non solo, in ambito ospedaliero e comunitario, un continuo monitoraggio esplicato dal livello centrale sulle attività di competenza dei servizi sanitari regionali (redazione, aggiornamenti e implementazione dei piani pandemici influenzali regionali) nonché in generale un rafforzamento della preparedness nel settore della prevenzione e controllo delle infezioni.
Mettere a punto un piano di preparazione nazionale per affrontare una pandemia influenzale richiede oggi, anche alla luce della esperienza in corso con SARS-CoV-2, saper contestualizzare le misure rispetto alla specificità delle pandemie da virus influenzali, nella consapevolezza che queste sono una parte dei potenziali scenari che si possono verificare in relazione ad altri patogeni emergenti. Questo piano, pur facendo tesoro di quanto appreso dalla pandemia in corso, si focalizza, nel suo testo principale e nelle sue appendici (A1-A4), sulla preparazione rispetto a scenari pandemici da virus influenzali.
Rimane la consapevolezza che molte delle misure prevedibili in una pianificazione pandemica influenzale sarebbero incluse in una più ampia pianificazione per un patogeno “X”, simile a SARS-CoV-2, per cui è sicuramente necessaria, al termine della pandemia in corso, una programmazione in base, se disponibili, a documenti di indirizzo internazionali e che tenga conto di quanto già programmato reattivamente (riportate nell’Appendice A5). L’Italia si farà parte attiva nei confronti degli organismi europei e internazionali affinché i documenti guida siano resi disponibili e orientati in tal senso al fine di poter elaborare e disporre nel più breve tempo possibile di un piano pandemico nazionale che comprenda tutte le patologie respiratorie ad alta trasmissibilità e patogenicità … “