L’obiettivo è erogare due milioni di dosi di vaccino la settimana. Serve per questo un’organizzazione territoriale efficiente, in grado di garantire a) coinvolgimento della popolazione, b) proattività, c) universalità e d) equità.
L’8 maggio 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nell’annuale Assemblea Mondiale, annunciò solennemente che il mondo era libero dal vaiolo, malattia di origine virale, altamente contagiosa, fatale nel 30% dei casi. Il vaiolo ha imperversato in tutto il pianeta per oltre due millenni provocando nei cento anni precedenti alla sua eradicazione circa 500 milioni di morti.
Grazie alla vaccinazione (obbligatoria nella maggior parte dei paesi, tra cui l’Italia) Nord America e Europa si erano liberati dal vaiolo agli inizi degli anni 50 dello scorso secolo, mentre epidemie della malattia colpivano pericolosamente il resto del pianeta. Per questo l’OMS nel 1967 decise di promuovere l’eradicazione dell’infezione attraverso un’intensa campagna vaccinale mondiale (Intensified Eradication Program) che coinvolse tutti i governi, concordi nell’attuare misure straordinarie tra cui la decisione di dedicare alla vaccinazione uno o due giorni l’anno (Vaccination Day). In quel giorno, al pari di una festività, tutto si fermava per concentrarsi sulle vaccinazioni che si svolgevano nelle strutture sanitarie, ma anche per strada, attraverso posti di blocco disseminati nel Paese (nelle città, ma anche nelle più remote aree rurali), in cui le persone che non risultavano vaccinate (si vedeva bene, per la mancanza della cicatrice post-vaccinale) erano invitate a farlo, seduta stante.
I risultati furono straordinari: il Sud America si liberò dal vaiolo nel 1971, seguito dall’Asia (1975) e dall’Africa (1977). L’ultima persona che si ammalò (e poi guarì) dal vaiolo fu Ali Maow Maalin, un cuoco dell’ospedale di Merca, Somalia: era, appunto, l’ottobre 1977. Il successo dell’operazione – “the biggest achievement in international public health” – fu giustamente attribuito all’autorevolezza e all’efficienza dell’OMS, presente e vigile in ogni Paese. E alla statura tecnica, ma anche politica, del suo Segretario generale, il medico danese Halfdan T. Mahler.
La pandemia COVID-19 è figlia di una stagione storica molto diversa da quella che produsse l’eradicazione del vaiolo: diverse le priorità della politica nei confronti della salute, diversi – certamente meno incisivi e potenti – gli strumenti di sanità pubblica volti a contrastare le epidemie, diversa – infine – l’autorevolezza e l’efficienza dell’OMS.
Frutto di questa stagione è la ritardata e carente risposta dei sistemi sanitari di Europa, Nord e Sud America, nella prima e ancor più nella seconda ondata, con un crescente, enorme e per ora inarrestabile numero di morti (2.051.576 al 19 gennaio – Figura 1). Così per tentare di domare la pandemia l’alternativa a lockdown sempre più duri e socialmente catastrofici non rimane che la vaccinazione.
Figura 1. Numero cumulativo di morti da COVID-19, al 17 gennaio 2021.
Fonte: https://www.worldometers.info/coronavirus/
La vaccinazione anti-COVID-19 in Italia
Al momento sono state somministrate circa 1 milione e 140 mila dosi di vaccino, destinate agli operatori sanitari + operatori e degenti di RSA, con una media settimanale dall’inizio della campagna vaccinale di 450 mila dosi (prime dosi). Ma le dosi da somministrare sono due e quindi – con l’obiettivo di vaccinare 42 milioni di soggetti – le dosi complessive da somministrare dovranno essere, alla fine della campagna, 84 milioni. Se si proseguisse con i numeri attuali ci vorrebbero oltre tre anni per raggiungere l’agognato obiettivo dell’immunità di gregge. Poiché tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto – nelle previsioni del Governo – alla fine dell’estate 2021, è evidente che la quota di vaccinazioni settimanali su scala nazionale dovrebbe quadruplicare, con l’erogazione di due milioni di dosi la settimana.
La rapidità nella vaccinazione ha anche un altro obiettivo: quello di ridurre drasticamente la circolazione del virus, abbattendo così la probabilità di mutazioni (ad ora mutante inglese, sud africana e due mutanti brasiliane).
Nel Piano strategico sulla vaccinazione anti-COVID-19, presentato dal Ministro Speranza lo scorso dicembre, sono indicate le priorità nei tempi di somministrazione del vaccino (vedi Tabella seguente).
Tabella 1. Stima della numerosità delle categorie prioritarie.
Fonte: Istat, Ministero delal salute, Regioni, Commissario Straordinario
Come abbiamo accennato, in queste prime settimane l’obiettivo è stato quello di vaccinare operatori sanitari + operatori e degenti di RSA, con risultati decisamente positivi. Per queste categorie di popolazione la modalità di vaccinazione è più semplice essendo attuata in ambito ospedaliero o all’interno delle RSA; si tratta inoltre di una popolazione ampiamente collaborante e informata (operatori sanitari e socio-sanitari) o a cui il vaccino è stato offerto in forma proattiva nella propria sede; inoltre è disponibile l’elenco dei vaccinandi e quindi è noto il livello di copertura raggiunto.
Ben diversa sarà la situazione quando la vaccinazione si trasferirà sul territorio per la popolazione generale. Il Piano strategico del Governo a questo proposito rimane sulle generali, promettendo la predisposizione di piattaforme ad hoc per il monitoraggio dei processi, ma rimandando la definizione del modello organizzativo della campagna vaccinale alle singole Regioni. Sugli aspetti logistici della vaccinazione territoriale è intervenuto il commissario Arcuri, indicando nel numero di 1.500 i punti di somministrazione dei vaccini (le “primule”), uno ogni 40 mila abitanti.
Le proposte che giungono dalle Regioni sono diverse: si va da ipotesi di un forte coinvolgimento dei medici di famiglia in una gestione decentrata delle vaccinazioni a soluzioni centralizzate di prenotazione tramite apposite app o call center, e non manca chi pensa che l’ospedale possa giocare un ruolo anche nella fase territoriale.
In attesa di vedere come reagirà il Ministero della salute di fronte al rischio di un pericoloso fai-da-te regionale, vorremmo qui sommessamente ricordare i quattro fondamentali principi delle attività di immunizzazione, il cui mancato rispetto rischierebbe di compromettere gravemente il risultato finale:
- Coinvolgimento della comunità
- Proattività
- Universalità
- Equità
Tutta la popolazione a rischio (la popolazione target, ovvero 42 milioni di individui) deve essere informata e motivata attraverso molteplici strumenti, il più possibile personalizzati e vicini alle persone (di qui l’importante ruolo dei medici di famiglia e degli operatori sanitari di distretto, adeguatamente preparati ad una attività di informazione). In questa strategia non può mancare l’offerta attiva della vaccinazione con un contatto personale adeguato alle capacità di comprensione/connessione delle persone: dalla lettera postale all’email, dalla telefonata all’sms, con una dettagliata informazione sul vaccino e con l’indicazione di una data e di una sede di vaccinazione quanto più prossima alla residenza della persona. Con un occhio di riguardo ai gruppi di popolazione più fragili o emarginati, più difficili da raggiungere, con cui è più difficile comunicare.
Tutto ciò richiede un’organizzazione territoriale forte, ciò che è mancato all’inizio della pandemia e che ha consentito che questa travolgesse il nostro sistema, sanitario e non. Abbiamo poco tempo per costruire un’organizzazione territoriale che si concentri sulla vaccinazione anti-COVID-19 e che possa rappresentare anche un punto di partenza per una futura, nuova organizzazione dei servizi territoriali/distrettuali.
Il territorio dovrà essere necessariamente delimitato, per consentire una ragionevole gestione delle operazioni: il numero di abitanti (intorno alle “primule”) indicato dal commissario Arcuri (40 mila) – o a Presidi territoriali esistenti o recuperati ad hoc – può essere una buona soluzione; una dimensione simile a quella prevista dal decreto Balduzzi delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali – dei MMG) composte da circa 30 medici di famiglia.
Le Aree territoriali per la vaccinazione. Le liste della popolazione target
Il primo passo dovrebbe essere quello di costituire, prima che si esaurisca la fase della vaccinazione “operatori sanitari + Rsa”, la rete di 1.500 Aree territoriali per la vaccinazione (ATV) con un suo Responsabile e un comitato di coordinamento, che avrà il compito di garantire l’erogazione di circa 1.400 dosi la settimana, 200 al giorno, compresa la domenica.
Condizione imprescindibile per garantire il rispetto dei citati 4 principi fondamentali è la costruzione della lista nominativa dei residenti/domiciliati/stranieri temporaneamente presenti (STP) che afferiscono a ogni singola ATV.
In base alla capacità organizzativa delle varie realtà regionali, le liste della popolazione target possono essere ricavate da diverse fonti:
- Liste elettorali: tali elenchi sono stati aggiornati a gennaio e possono rapidamente, con decreto del Ministero degli Interni, essere sottoposti a nuovo aggiornamento. Hanno il vantaggio di avere un chiaro rifermento geografico: così gli iscritti a un determinato gruppo di seggi elettorali possono diventare automaticamente la lista della popolazione target di una singola ATV. Hanno il limite della non presenza della fascia di età 16 – 18 anni (recuperabile successivamente, dato che la loro vaccinazione sarà possibile solo in tarda estate – inizio autunno) e persone non aventi diritto, che vanno recuperate con incroci con l’elenco degli assistiti e con altre fonti informative.
- Anagrafe comunale: si tratta di un elenco facilmente accessibile, ma non in tutti i Comuni, specie in zone più arretrate e in comuni di piccole dimensioni.
- Elenco degli assistiti: anche in questo caso le liste non sono sempre aggiornate e complete.
Vi sono realtà in cui l’esperienza di utilizzo di tali fonti dati è attuata periodicamente, in particolare per l’effettuazione di campagne di screening; è pertanto possibile approfondire tali ipotesi con differenti approcci sia regionali che per periodo vaccinale, in relazione al target e alla tipologia di vaccino disponibile.
L’elemento fondamentale è l’allestimento di un data-base della popolazione di un determinato territorio (la ATV), su cui porre gli obiettivi temporali di intervento e di copertura, valutare periodicamente (almeno settimanalmente) i risultati di copertura ottenuti, intervenire tempestivamente per recuperare ritardi.
La disponibilità di vaccini
La strategia vaccinale sarà necessariamente variabile, in relazione alla disponibilità e tipologia riportata nella Tabella 2, salvo adeguamenti come insegna la improvvisa decisione della Pfizer, senza adeguato preavviso e in violazione degli accordi sottoscritti.
Tabella 2. Stima della potenziale quantità di dosi di vaccino disponibili (in milioni) In Italia nel 2021, per trimestre (Q) e per azienda produttrice, in base ad accordi preliminari d’acquisto (APA) sottoscritti dalla Commissione europea e previa AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio).
I medici di famiglia entreranno in gioco quando – probabilmente a metà febbraio – sarà disponibile in Europa il più maneggevole vaccino Astra Zeneca (NB: milioni di persone si sono già vaccinate e si stanno vaccinando con questo prodotto in UK e in India). Oltre al canale degli ambulatori della medicina generale, nei vari territori ci saranno certamente altre modalità, più centralizzate, di accesso alle vaccinazioni. I differenti canali di erogazione delle vaccinazioni dovranno però far confluire quotidianamente i dati delle loro operazioni alla centrale operativa della ATV.
L’incrocio costante fra vaccinandi (persone che devono sottoporsi a vaccinazione per zona, e periodo di offerta) e vaccinati, permette di conoscere l’efficienza del sistema, intervenire su fasce di popolazione che hanno difficoltà all’accesso e conoscere la effettiva copertura vaccinale per periodo e area territoriale, elemento fondamentale anche per prevenire e isolare eventuali successivi focolai.
Post Scriptum. Può darsi che alla base della decisione della Pfizer ci siano veramente seri problemi logistici insorti all’ultimo momento. Anche se così fosse è inaccettabile che sia l’azienda produttrice a stabilire arbitrariamente i differenti livelli di riduzione di approvvigionamento tra Stati e perfino tra Regioni italiane. Ma dietro questa vicenda c’è un non-detto, un in-dicibile retro-pensiero: che sia in corso a livello globale una gara all’accaparramento dei vaccini, dove vince chi ha più soldi e più potere. “Siamo di fronte a un catastrofico fallimento morale” ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore generale dell’OMS, constatando che 39 milioni di dosi di vaccino sono andate quasi esclusivamente ai 49 stati più ricchi del mondo. Sui vaccini domina l’approccio “prima io” (me-first), che fa aumentare i prezzi e incoraggia l’accaparramento. “Alla fine – osserva Tedros – queste azioni non faranno altro che prolungare la pandemia, le restrizioni necessarie per contenerla e le sofferenze umane ed economiche“.
Post Post Scriptum. Me-first, reclama Letizia Moratti (neo-assessore alla sanità lombarda, auguri), spiegando che la sua Lombardia ha diritto a una quota maggiore di vaccini, proporzionale al suo PIL. Sono passati i tempi in cui lo stato di deprivazione socio-economica di una popolazione era un indicatore per indirizzare più risorse sanitarie verso le aree più svantaggiate (come avveniva nel NHS prima dell’avvento della Thatcher). Poi i tempi sono cambiati ed è anche per questo che ci troviamo come ci troviamo.
fonte: saluteinternazionale.info