“È come se partendo alla ricerca delle Indie fossimo approdati nelle Americhe”. Ripercorrendo un anno di attività della Commissione d’inchiesta sulle periferie, non trovo una definizione migliore di questa.
All’indomani degli attentati terroristici che hanno colpito le grandi capitali europee, il Parlamento Italiano ha sentito la necessità di interrogarsi se anche le periferie delle grandi città Italiane potessero essere in qualche modo terreno di coltura di fenomeni di fondamentalismo.
Gli attacchi terroristici che hanno sconvolto Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, Madrid, Nizza sono maturati nel disagio delle periferie delle grandi città e sono stati compiuti da giovani che sono nati e cresciuti in contesti difficili, spesso contraddittori rispetto alle aspettative di vita che si possono nutrire in una grande città dell’occidente europeo.
Il tema del rischio fondamentalismo non è stato certamente accantonato e l’attenzione a questo aspetto ha caratterizzato il lavoro della commissione, tuttavia ciò che è emerso con prepotenza è il ritratto di un’Italia minore, dimenticata che potremmo definire di serie “B”, che interroga sul piano delle responsabilità in modo prepotente le istituzioni, a tutti i livelli.
Le periferie Italiane non sono degradate per effetto casuale di un tragico destino, ma c’è un evidente nesso causale tra la progressiva disattenzione e incapacità di programmazione delle istituzioni e il peggioramento della qualità della vita di milioni di persone.
La forza di questo ritratto deriva soprattutto dalla scelta di far uscire la commissione dal Palazzo, attraverso sopralluoghi in posti quasi dimenticati, dove lo Stato un poco alla volta ha cessato di esistere, o meglio, di rappresentare qualcosa di credibile agli occhi delle persone.