Un anno segnato dalla pandemia anche negli istituti di pena. di Patrizio Gonnella

Il 2020 delle carceri italiane è stato inevitabilmente segnato dallo scoppio della pandemia di Covid-19, che ha cambiato il volto anche di questi luoghi, chiudendoli ancor di più al mondo esterno, allontanando dagli istituti volontari, famigliari, personale scolastico e lasciando ai detenuti un in più di pena rispetto a quella che stanno scontando e di cui, a pandemia finita, non si potrà che tenere conto.

Al 2020 il sistema penitenziario si era presentato con numeri in aumento per quanto riguarda i detenuti presenti. Quando a fine febbraio la pandemia è esplosa nel paese, nelle prigioni italiane le persone recluse erano oltre 61.000, a fronte di 50.000 posti regolamentari, anche se quelli disponibili erano e sono circa 3.000 in meno. Il tasso di affollamento ufficiale era superiore al 120%.

L’impatto della pandemia ha generato paura e spaesamento nei reclusi. Ogni giorno su tv, radio, giornali, si chiedeva di mantenere il distanziamento sociale e di evitare assembramenti, due cose impossibili da fare nelle nostre carceri. Queste preoccupazioni e la chiusura dei colloqui, hanno portato poi a far esplodere gli animi e alle proteste che ad inizio marzo hanno interessato decine di istituti in tutto il paese. Durante quelle proteste quattordici detenuti morirono nelle carceri di Modena e Rieti e alcuni episodi di presunte violenze si verificarono nei giorni successivi in altri istituti. In alcuni casi Antigone ha presentato degli esposti alle competenti Procure, cosa che da molti anni fa parte del lavoro di contezioso portato avanti dall’Associazione. Nell’arco di poche settimane il numero dei detenuti nelle carceri è diminuito in maniera importante (circa 8.000 unità in meno), merito soprattutto del lavoro della magistratura di sorveglianza, che ha utilizzato in maniera ampia tutti i propri poteri per permettere al maggior numero di detenuti di scontare l’ultima parte della pena alla detenzione domiciliare.

Tuttavia, alla fine della prima ondata, anche queste politiche deflattive hanno subito un arresto e, nonostante ci fossero ancora 6.000 detenuti in più rispetto ai posti regolamentari, il loro numero nei mesi estivi, anche se in maniera contenuta, è addirittura ricominciato a crescere. Così, allo scoppio della seconda ondata, le carceri erano ancora in una situazione di sovraffollamento e con una carenza di spazi che permettessero di prevenire il contagio. A fine novembre i detenuti e le detenute erano 54.638.

La nota positiva di questo periodo sta nel largo utilizzo della tecnologia per le videochiamate. Per anni abbiamo chiesto che le carceri fossero dotate di tablet e telefonini con programmi per le videochiamate che potessero consentire di mantenere un rapporto più stretto con i propri famigliari. Ci siamo sempre sentiti rispondere che c’erano questioni di sicurezza che ostacolavano questa dotazione. Tuttavia, in pochi giorni, dopo la chiusura dei colloqui in tutte le carceri del paese sono arrivati questi dispositivi e, a tutti i detenuti, sono state concesse chiamate extra rispetto ai 10 minuti a settimana previsti dall’ordinamento penitenziario. L’augurio è che finita la pandemia su questo terreno non si torni indietro. Un anno difficile come questo non poteva che avere un effetto negativo anche sui suicidi. Secondo il dossier “morire di carcere”, curato da Ristretti orizzonti, nel 2020 sono stati 56. 

I NUMERI DEI CONTAGI

Durante la prima ondata i positivi al Covid-19 nelle carceri erano arrivati ad un picco massimo di circa 160 detenuti nei primi giorni di maggio, mantenendosi, da metà aprile, sempre oltre le 100 unità. I morti erano stati 4. Ben diverso quello che è avvenuto nella seconda ondata, quando i detenuti positivi sono arrivati ad essere più di 1.000, con diversi istituti dove si sono registrati veri e propri focolai, con decine di reclusi risultati positivi: Terni, Sulmona, Tolmezzo, Busto Arsizio e diversi altri. I detenuti deceduti a causa del Covid-19 durante questa ondata autunnale sono stati 7. 

IL RECOVERY FUND PER UN NUOVO SISTEMA PENITENZIARIO

Dal Recovery Fund dovrebbero arrivare all’Italia oltre 200 miliardi di euro. Una parte andranno alla Giustizia e al sistema penitenziario per essere spesi. Con questi fondi sarà importante investire per innovare un sistema che ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane. Quello che serve è investire nelle misure alternative, più economiche e più utili nell’abbattere la recidiva rispetto al carcere. Si devono ristrutturare le carceri esistenti, potenziando le infrastrutture tecnologiche per assicurare la formazione professionale anche da remoto, per consentire ancor più incontri con il mondo del volontariato, per aumentare le possibilità di video-colloqui con familiari e persone care che si aggiungano ai colloqui visivi. Bisogna investire nel capitale umano, assumendo più personale civile – direttori, educatori, mediatori, psicologi – ed equiparando il loro trattamento economico a quello di chi porta la divisa.

Insomma quello che serve è un nuovo sistema penitenziario.

fonte: ANTIGONE

Patrizio Gonnella – Presidente di Antigone
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