I 4,1 miliardi previsti per la parità di genere sono veramente pochi se consideriamo che siamo in fondo alla classifica dei Paesi avanzati per uguaglianza di genere, pur essendo parte del G7. Ultimi dopo la Grecia per tasso di occupazione femminile delle giovani tra 25 e 34 anni, tra gli ultimi per i nidi, primi per carico di lavoro familiare sulle spalle delle donne.
Ma insomma vogliamo fare i conti col fatto che tutto ciò ostacola la crescita del nostro Paese? Vogliamo prendere coscienza una volta per tutte che penalizzare così fortemente le donne toglie al Paese la possibilità di valorizzare milioni di persone piene di competenze e creatività? Un caso esemplare è quello relativo all’investimento in infrastrutture sociali e tra queste ai nidi. Molto poco è stato investito negli anni su questo terreno.
Le politiche sociali e sanitarie sono state viste come un costo e non come un investimento nel benessere collettivo. E ora ancora. Si punta sulle infrastrutture economiche, e sulle infrastrutture per la mobilità sostenibile, d’accordo. Ma spariscono le infrastrutture sociali, che tra l’altro rappresentano una delle leve fondamentali per marciare verso l’uguaglianza di genere.
Abbiamo subito una grave crisi che non è come le altre. Non c’è dietro la crisi petrolifera, né la bolla finanziaria. È una crisi della cura. I governi dei Paesi non erano pronti a difendere i propri cittadini dall’arrivo di una epidemia, non erano pronti a curarli, ad assisterli. Eppure di epidemie ce ne sono state quattro in 20 anni. Crisi della cura significa non essersi attrezzati su nessuna delle infrastrutture sociali fondamentali, sanità, assistenza sociale, istruzione.
Quanto dolore ci saremmo risparmiati se fossimo intervenuti prima? A chi mi dice, ma costavano troppo, rispondo quanto ci è costata di più la crisi scatenata dalla pandemia? Se le infrastrutture sociali fossero state al centro delle nostre politiche non dico negli ultimi dieci anni ma almeno venti anni non saremmo in questa situazione. Tante donne in più sarebbero state occupate, visto che abbiamo una percentuale più bassa della media Oecd di occupati in sanità, istruzione e non parliamo di assistenza sociale (tanto c’erano le donne che lavoravano gratuitamente), nonché della PA, tutti settori ad alta presenza femminile. E conseguentemente tanti anziani sarebbero stati più protetti, i bambini meno disuguali e così i disabili. Dopodiché dovremo anche chiederci perché la Francia investe sui bimbi 8 volte più dell’Italia e la Svezia addirittura 13 volte.
È una considerazione amara quella che sto facendo. Il premier Conte nell’intervista rilasciata al nostro giornale ha sottolineato che ci tiene molto all’empowerment femminile e che è previsto un grande finanziamento per l’ampliamento dei posti nei nidi, per arrivare a 750 mila bimbi. Bravo Conte, ho detto tra me. Il segretario del Pd Zingaretti ha più volte espresso la posizione di arrivare al 60% di bimbi al nido. Segnale molto positivo. Ma i conti non tornano. Per arrivare a 750 mila bambini, come il presidente del Consiglio ha sottolineato, non bastano i due miliardi previsti nel Recovery Fund.
La stima fatta dal Senato prevede per ogni posto in più per i bimbi al nido 16 mila euro di investimento per la sua costruzione o ristrutturazione di ambienti. Oggi abbiamo circa 350 mila bambini che vanno al nido. 16 mila euro moltiplicato per 400 mila fa 6 miliardi 400 mila a cui vanno aggiunte le spese di ammortamento. E anche nella legge di bilancio prevedere solo 100 milioni a partire dal 2022 aumentando di 50 milioni l’anno fino al 2026 non basta. Servirebbe 1 miliardo all’anno in più nella spesa corrente dei comuni solo per raggiungere il 33% , 4 miliardi per arrivare al 60% secondo le stime dell’Osservatorio guidato dal prof. Cottarelli. Rivediamo i conti, facciamo una road map, investiamo cifre coerenti con i nostri obiettivi. E soprattutto investiamo anche in servizi sociali per sviluppare il welfare di prossimità, mettendo al centro la personalizzazione della cura, a livello territoriale e domiciliare. Ricordandoci che dovremo rafforzare la struttura di governance a livello locale, altrimenti i soldi stanziati non verranno usati. Il quadro dei diritti deve essere unico per tutti i territori, le soluzioni vanno trovate con la creatività locale anche tramite l’assunzione di personale specializzato e un forte raccordo con il terzo settore.
Ascoltiamo la voce delle associazioni femminili che sono scese in campo in tante in questi giorni evidenziando un nuovo protagonismo femminile: più forte sarà l’empowerment delle donne più l’Italia crescerà.
Fonte: La Repubblica – 10.12.2020