Nel 2001, il centrosinistra approva la riforma del Titolo V della Costituzione, che ridisegna le competenze legislative di Stato e Regioni. Vent’anni dopo tutti sono concordi nel dire che qualcosa è andato storto. Abbiamo chiesto lumi* a Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza, che per prima cosa circoscrive le circostanze attuali: “In questo momento ci sono due incomprensioni: una riguarda la gravità della situazione, l’altra i valori costituzionali che sono in gioco. Mi chiedo quanto si possa andare avanti senza rendersi conto che la sanità è al collasso, con 800 morti al giorno. Se questa è la situazione di fatto, in gioco sono i principi costituzionali supremi, come il diritto alla vita (il diritto “fondamentale” alla salute). Invece i presidenti delle Regioni vogliono far valere le loro competenze ordinarie in materia di sanità, commercio e gestione del territorio. Nella situazione descritta bisognerebbe aver presente che la nostra Costituzione prescrive che deve prevalere l’interesse nazionale. Lo afferma lo stesso articolo che viene invocato per rivendicare le competenze sul sistema sanitario. L’articolo 117 stabilisce che la profilassi internazionale è di competenza esclusiva dello Stato centrale”.
Professore, non è un controsenso che chi è più vicino ai territori e ai cittadini non sia in grado di gestire al meglio le necessità dei cittadini?
Una cosa è la gestione dei servizi, che certamente deve spettare agli enti territoriali (non avrebbe senso che il Policlinico di Milano fosse gestito da Roma), altra questione è l’effettività del diritto alla salute che deve essere assicurata a tutti in tutto il territorio nazionale.
Di fatto è così: i Lea, i livelli essenziali di assistenza, sono standard nazionali.
I Lea riguardano la situazione ordinaria. Il problema è che in questo momento il servizio sanitario praticamente ovunque è al collasso perché in tutte le regioni, ove più ove meno, non sono più garantiti i servizi di pronto soccorso e diagnostica extra Covid. Qui non stiamo discutendo del cattivo funzionamento del sistema sanitario (che è un enorme problema), ma dell’impossibilità di accesso al servizio sanitario (che lo è ancor più). In questi casi il governo può, anzi deve, intervenire. Potrebbe farlo persino più incisivamente di come non abbia sin qui operato. In Costituzione è previsto, all’articolo 120, che lo Stato possa nei casi di grave pericolo per l’incolumità pubblica sostituirsi alle Regioni, un potere che non è mai stato utilizzato in questi mesi.
Mattarella ha richiamato Stato e Regioni alla collaborazione in nome del benessere di tutti. Come si concilia l’unità nazionale con le articolazioni locali? O con i sindaci che dicono “abbiamo malati non nostri”?
Questa è l’espressione di una barbarie culturale, la degenerazione di un’autonomia declinata come egoismo territoriale. Sono discorsi inaccettabili. Il presidente Mattarella, almeno così io ho interpretato le sue parole, non dice al governo di utilizzare l’articolo 120, ma dice ai presidenti di Regione di non essere gelosi delle proprie competenze, dovendo avere come faro l’unità nazionale. Alcune perversioni quelle cui lei faceva riferimento degli amministratori locali sono state favorite da una cultura separatista, sarebbe meglio definirla “tribale” che si è insinuata perfino nella Costituzione. Mi riferisco al terzo comma dell’articolo 116 che ha ipotizzato l’autonomia differenziata, indirizzando il nostro regionalismo verso un modello competitivo e non solidaristico. Questo articolo è distonico con il resto della Costituzione. Così come lo è la legge del 1999, che ha determinato l’elezione diretta dei presidenti di Regione, facendo credere ai presidenti di essere “governatori”, se non addirittura “sovrani” e di poter quindi decidere anche negli stati d’eccezione.
Alla luce di ciò che sta succedendo, ha senso andare avanti con l’autonomia differenziata?
No, sarebbe opportuno abrogare il terzo comma dell’art. 116. Sarebbe questa una riforma della Costituzione che sosterrei con convinzione.
Secondo alcuni il bicameralismo andrebbe rivisto nel senso di dare una rappresentanza alle Regioni in Senato. D’accordo?
Nel 2001 quando fu fatta la riforma, mancò questa gamba e nacque un sistema regionale zoppo. Dopo vent’anni, però, non possiamo limitarci a riprendere lì dove eravamo rimasti. Nel frattempo abbiamo registrato la crisi dell’intero impianto regionalistico e i rapporti tra Stato e Regioni è stato assorbito in modo confuso in verità entro la Conferenza. Forse dovremmo pensare a cambiare nel profondo la Conferenza, ad esempio distinguendo meglio tra questioni politiche e amministrative, prevedendo la partecipazione oltre che dei presidenti anche dei rappresentanti dei Consigli.
fonte: * intervista a Gaetano Azzariti, di Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 28 novembre 2020 su Salute Diritto Fondamentale