SSN, profondo rosso. di Marco Geddes

Sono due le questioni che stanno mettendo in ginocchio il nostro SSN: la scarsità del personale sanitario e la crisi della medicina di famiglia.

La seconda ondata della pandemia Covid-19 dilaga in tutto il mondo, colpisce duramente l’Europa e mette in ginocchio i sistemi sanitari più fragili, come quello italiano, che nelle ultime settimane registra un’impressionante accelerazione dei livelli di mortalità (x 100 mila abitanti) – tra i più alti al mondo (Figura 1) – costringendo di conseguenza il governo ad adottare misure sempre più restrittive.

Sono fondamentalmente due le questioni che impediscono una adeguata risposta alla attuale situazione pandemica e rischiano di mettere in ginocchio il nostro sistema sanitario. Non si tratta delle Terapie intensive, che si stanno adeguando seppure con alcuni ritardi. Non si tratta dei posti letto negli ospedali, che è possibile predisporre in strutture private, in presidi dismessi o anche con nuovi allestimenti. E non si tratta neanche (più) delle mascherine e di altri mezzi di protezione individuale, che la filiera industriale sta producendo e le varie articolazioni statali e regionali acquistano.

Si tratta del personale, di quanto “gufi e rosiconi” dicevano e scrivevano nel corso di questi anni. Di una “tragedia annunciata”, il cui rimedio non è dietro l’angolo e a cui si stenta di mettere anche le classiche “toppe”. È sbagliato affermare – se le parole hanno un peso – che gli  infermieri in Italia sono pochi! Bisogna dire che sono pochissimi, in misura vergognosamente insufficiente rispetto ai bisogni della popolazione e alle dotazioni degli altri paesi europei. Non è vero che abbiamo bisogno di qualche migliaia di infermieri più di quelli che sono in attività oggi. Abbiamo bisogno di decine di migliaia per far fronte alla cronicità, all’assistenza domiciliare, alla prossima pandemia…

In Italia abbiamo 5,8 infermieri ogni 1.000 abitanti contro un media Ocse dell’8,8. La Norvegia ne ha  17,7 ogni mille abitanti, la Svizzera  17,2, l’Islanda 14,5, la Finlandia 14,3, la Germania 12,9, l’Irlanda 12,2, la Francia 10,3, il Regno Unito  7,8. Quindi, per essere chiari, per avere gli infermieri che ci sono in Francia ne dovremmo formare e poi assumere duecentomila! E senza personale i padiglioni di  Terapia intensiva non si aprono. Quindi, per metterli in funzione leviamoli dagli ambulatori… dall’assistenza domiciliare… dalle RSA! Il rimedio rischia di essere peggio del male.

Sui medici c’è poco dal dire. Della non programmazione delle scuole di specializzazione, della insufficienza di posti in settori fondamentali si legge ormai da un decennio negli – inascoltati e documentati – rapporti che l’ANAAO presenta con cadenza quasi annuale.

Non si è fatto nulla in questi mesi?  Si è fatto molto, uno sforzo rilevante a livello centrale e in varie Regioni, ma quando il latte è stato versato la mungitura ha i suoi ritmi e l’acqua che pure si trasforma in vino (a Canne, durante un pranzo di nozze, grazie a un miracolo) non mi risulta si trasformi in latte! Il Governo ha finanziato e realizzato, tramite le Regioni, l’immissione di oltre 35.000 operatori sanitari. Uno sforzo rilevantissimo in sei mesi, senza poter tuttavia recuperare in toto le decurtazioni (decimazioni) dell’ultimo decennio, di oltre 45.000 sanitari.

Inoltre, non è chiaro se si tratta di:

  • personale già in servizio e che è stato stabilizzato;
  • assunzioni (contratti) che non corrispondono numericamente a persone, perché a breve termine e ripetuti;
  • personale acquisito da strutture private, in particolare da RSA, con ulteriore impoverimento di personale qualificato in tale ambito;
  • sostituzioni di personale che ha cessato l’attività, di cui migliaia in conseguenza della “Quota 100”[1]

In altri termini il saldo complessivo ci è tuttora ignoto!

Si tenga, inoltre, presente che si assiste anche a un incremento di assenze per malattia ma, in particolare, per “quarantena”. Per i medici è necessario, come è stato recentemente proposto[2], assumere specializzandi al terzo anno e inserire i neo laureati in alcune attività più leggere.

Inoltre, è indispensabile incentivare, specie per gli infermieri, l’inserimento con contratti pluriennali (almeno 3 – 5 anni) e non a breve termine e facilitare l’alloggio con la requisizione di strutture alberghiere non utilizzate e forme di “convitto”. In alternativa la collocazione adeguata territorialmente di personale risulterà impossibile e, inoltre, si avranno ulteriori fughe verso l’estero dove tali facilitazioni sono in atto, come evidenziano testimonianze di infermieri e offerte di lavoro[3].

Nel frattempo, mentre il personale sanitario che abbiamo formato prende la via dell’estero, i bandi di assunzione emessi da molte Regioni (Lombardia, Lazio, Piemonte, Basilicaia, Molise, Sicilia, Calabria)[4] continuano ad inserire  la condizione di cittadinanza che esclude la partecipazione dei cittadini extra UE, pur con permesso di soggiorno, in contrasto con la recente normativa[5]. Si tratta di un numero rilevante di persone qualificate: medici, infermieri, tecnici di riabilitazione ecc. stimato intorno a 75.000 unità che trova incomprensibili ostacoli ad accedere nel Servizio sanitario nazionale.

Vi è poi l’irrisolto problema dei medici di medicina generale, dove tutti hanno ragione e tutti hanno torto.

Solo due esempi[6]:

  1. La formazione dei medici di famiglia viene pagata 11.000 euro l’anno, quella degli specializzandi 26.000. Una ingiustizia o un compromesso (con i sindacati dei medici e pediatri di libera scelta e loro propaggine formativa…) per lasciare tale formazione al di fuori del percorso universitario?
  2. La Fimmg ha firmato un accordo per l’esecuzione del tampone a domicilio o negli ambulatori dei medici ma gli altri sindacati non lo hanno sottoscritto. Molti medici si rifiutano e nel Lazio hanno aderito solo 341 su 4.600. Affermano che è un rischio poiché non hanno percorsi separati per i casi sospetti, non hanno sale di attesa sufficientemente ampie e gli ambulatori sono spesso collocati in condomini. Hanno torto o ragione?  O forse il problema è che non sono inseriti in strutture pubbliche, non esiste un adeguato coordinamento da parte dei Distretti sanitari, e non si è proceduto, in oltre venti anni, ad uno straccio di accreditamento delle strutture ambulatoriali dei medici di base, mentre per aprire una qualche attività di somministrazione di alimenti sono necessarie molteplici autorizzazioni strutturali e funzionali.

Ma di questo non si parla, forse perché sono problemi che vengono da lontano, per i quali tornano alla mente le parole di Pier Paolo Pasolini quando scriveva che per capire le cause… e le colpe bisogna… seguire tutto ciò che succede, conoscere tutto ciò che se ne scrive, immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace, coordinare fatti anche lontani…

Bibliografia

  1. Solo nei primi 5 mesi oltre 5.000 operatori hanno lasciato il Servizio sanitario a seguito dell’entrata in vigore di Quota 100.  Marzio Bartoloni. Quota 100 svuota gli ospedali: corsa alla pensione per medici e infermieri, Il Sole 24 Ore, 19.07.2019.
  2. Carlo Palermo. Appello per i medici. Il Foglio, 05.11.2020; Intervista a il Sole 24 Ore, 11.11.2020.
  3. Perché gli infermieri italiani “fuggono” all’estero: l’ultima proposta dalla Germania è irrinunciabile
    De Palma, Presidente Nursing Up. Today Economia, 24.07.2020
  4. Covid-19: esclusi centinaia di medici e infermieri stranieri dai concorsi. Asgi.it, 09.11.2020
  5. Il Decreto legge Cura Italia convertito in Legge n 27/20020 stabilisce che possono essere assunti “… alle dipendenze della pubblica amministrazione per l’esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario… tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge”.
  6. Milana Gabanelli, Simona Ravizza.Covid e medici di base, perché non funzionano le cure a casa Dataroom, Il Corriere della Sera, 08.11.2020.

fonte: saluteinternazionale.info

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