Nei giorni in cui, negli USA, con estenuante lentezza venivano scrutinate le schede elettorali, e tutta l’attenzione era concentrata sull’andamento dei voti negli Stati in bilico, passava in secondo piano l’andamento della pandemia che registrava proprio in quei giorni una ripresa di elevati picchi di nuovi casi e di nuovi morti. Il numero dei casi ha raggiunto nei giorni scorsi livelli mai visti (il 7 novembre oltre 132 mila contagi) – vedi Figura 1 (Covid-19 in USA. I casi) –, mentre il numero dei morti che a settembre-ottobre aveva registrato un rallentamento ha ripreso a crescere, in concomitanza con i picchi della terza ondata, Figura 2 (Covid-19 in USA. I decessi).
Figura 1. Covid-19 in USA. I casi
Figura 2. Covid-19 in USA. I decessi
Al 7 novembre la contabilità generale USA della pandemia consisteva in 9,8 milioni di casi e 237 mila morti. Il virus ha colpito ovunque, ma ha imperversato soprattutto nelle comunità chiuse come le residenze per anziani, le carceri e i college. Nelle 23 mila residenze per anziani si sono contate – secondo i dati del NYTimes – oltre 580 mila casi e 87 mila decessi (il 37% del totale dei morti). Nelle affollate carceri americane i casi di contagio sono stati 252 mila e i morti 1450. Nei college e nelle scuole 250 mila casi e 80 decessi.
Alla catastrofe sanitaria si è aggiunta quella economica e sociale: 23 milioni di persone hanno perso il lavoro e 14 milioni di loro in conseguenza di ciò si sono ritrovati privi di assicurazione sanitaria. La pandemia ha inoltre amplificato le già profonde diseguaglianze socio-economico e razziali: le persone di colore negli USA hanno un tasso di mortalità 2,1 volte superiore rispetto alla popolazione bianca; anche i nativi americani e le popolazioni indigene dell’Alaska sono duramente colpite, con una mortalità tre volte superiore ( vedi Il virus delle elezioni americane 2020).
Di fronte a una tale catastrofe, di fronte a un Paese immerso in una pandemia che non dava tregua e che addirittura si inaspriva nella fase finale della campagna elettorale (sostenitori di Trump radunati in massa ai suoi comizi, rigorosamente senza mascherina), ci si chiedeva quale sarebbe stato l’impatto del coronavirus sulle elezioni. L’impatto era dato per certo visto che tutti i sondaggi sulle preoccupazioni degli americani alla vigilia del voto mettevano la pandemia ai primissimi posti. L’incognita era il tipo di impatto.
- Avrebbe ridotto l’affluenza alle urne?
- Avrebbe favorito Biden a causa della “pericolosa incompetenza” nel gestire la pandemia da parte del Presidente Trump (come denunciato dal New England Journal Medicine).
- Oppure no, avrebbe favorito Trump, reduce da un contagio che aveva determinato un ricovero ospedaliero brevissimo e un fulmineo, sorprendente recupero a dimostrazione della straordinaria energia del commander in chief e anche della sostanziale innocuità dell’infezione (come sempre sostenuto da Trump e della massa di negazionisti al suo seguito).
La risposta a queste domande è venuta dal comportamento – del tutto imprevisto – dell’elettorato americano.
Sono andati alle urne oltre 150 milioni di cittadini, pari al 65% degli elettori aventi diritto: un numero record, il tasso più alto dal 1908. Quattro anni fa votarono 139 milioni di americani, il 59,2% della popolazione che aveva i requisiti per votare.
Oltre 101 milioni di americani hanno votato già prima dell’Election Day. Anche questo un dato del tutto inatteso e determinante sia nell’esito che nello svolgimento dello scrutinio elettorale. Dei milioni di americani che hanno votato prima del giorno canonico, 3 novembre, due terzi – 65 milioni – l’ha fatto per posta, compilando una scheda elettorale che hanno ricevuto per posta elettronica o andando a ritirarla all’ufficio elettorale. Una volta compilata la scheda, l’hanno spedita per posta imbucandola in una cassetta delle lettere o consegnandola a uno dei 500 mila impiegati delle poste. Per settimane Trump aveva definito il voto per posta fraudolento o addirittura illegale, perché generalmente utilizzato dagli elettori democratici. Ma in questo paese si vota per posta dal 1864, da quando il presidente Abraham Lincoln chiese che le truppe impegnate nella Guerra civile potessero votare lontano da casa. Una modalità di voto consueta e mai fonte di abusi o addirittura di brogli.
Ma questa volta il voto per posta è stato diverso per quantità e qualità. Questa volta la maggioranza degli elettori democratici, particolarmente quelli delle grandi città, ha deciso di votare per posta per evitare lunghe file e assembramenti nei pressi e all’interno dei seggi elettorali. Il voto per posta per difendere la propria salute e quella delle proprie comunità.
L’altra parte dell’America, repubblicana e trumpiana, ha fatto la scelta opposta decidendo di votare in massa il giorno 3 novembre, ostentando orgogliosamente il suo marchio identitario: il rifiuto della mascherina.
Queste le due Americhe che si sono confrontate, avendo come fondamentale faglia di divisione la salute, in termini sia comportamentali che politici. Al termine di un’attesa di quattro lunghi giorni ha vinto l’America di Joe Biden e Kamala Harris con un risultato indiscutibile: oltre 75 milioni di voti (mai un Presidente USA aveva raccolto una tale quantità di consensi) pari al 50,5% del bacino elettorale, contro il 47,7% di Trump e con un distacco di oltre 4 milioni di voti popolari.
Soltanto durante quella lunga attesa si sono comprese le complesse dinamiche delle votazioni. La sera del 3 novembre sembrava quasi certa la vittoria di Trump, tutti gli swing States – gli Stati in bilico, sulla cui aggiudicazione si giocava la vittoria finale – erano colorati di rosso, il colore dei Repubblicani. Ma il giorno dopo in quegli Stati iniziava la rimonta dei Democratici, dovuta al fatto che si cominciavano a contare i voti arrivati per posta. Gli Stati industriali nel Nord-Est – Wisconsin, Michigan e infine Pennsylvania – tradizionalmente democratici, ma persi da Hillary Clinton nel 2016, tornavano alla “casa madre” (e si coloravano di blu). Il caso più clamoroso è quello della Pennsylvania dove a metà dello scrutinio i Repubblicani erano in vantaggio di 400 mila voti: tale distacco è stato interamente colmato, poi è iniziato il vittorioso vantaggio, con la conta delle schede postali provenienti dalle città di Filadelfia e Pittsburg. Con lo stesso meccanismo – la conta delle schede postali provenienti dalla popolosa area metropolitana di Atlanta – sta per essere espugnata la Georgia, storica roccaforte Repubblicana. Il dato interessante in tutti questi casi è il recupero dei voti verso i Democratici nei sobborghi delle città, come nota un articolo del NYTimes (How the Suburbs Moved Away From Trump).
Il recupero dei voti della working class e dell’elettorato afroamericano, che ha aperto le porte alla vittoria di Biden, è stato il frutto (con buona pace dei vari Cacciari, Annunziata e Rampini) della mobilitazione dell’ala progressista – radicale dei Democratici che fa capo a Bernie Sanders e che ha come alfiere più in vista la deputata (riconfermata) di New York Alexandra Ocasio-Cortez. L’ala che porta avanti da tempo il programma “Medicare for All”, la proposta di istituire un’unica assicurazione pubblica per tutti i cittadini (Medicare attualmente copre solo gli ultra65enni) vedi Medicare for all: la mossa di Bernie.
L’elezione di Joe Biden e Kamala Harris (prima donna e prima donna di colore arrivata alla vicepresidenza degli Stati Uniti) è comunque un ottimo segno per la salute degli Americani (e non solo): infatti il primo impegno del Presidente eletto è stato quello di istituire immediatamente una task-force per affrontare finalmente in modo serio la pandemia.
“Sono poche le elezioni che cambiano davvero le nostre vite. Questa la è”. Scrive Stefano Feltri su Domani dell’8 novembre 2020. “La vittoria di Joe Biden contro Donald Trump è la prima buona notizia di un 2020 tragico, è la speranza di cui tutti avevamo bisogno per affrontare i cupi mesi che il Covid e la recessione ci mettono ancora davanti”.
fonte: saluteinternazionale.info