La lettera della presidente di ADI Famiglie Italiane all’assessore D’Amato (Regione Lazio)
All’assessore della Regione Lazio Alessio D’Amato.
Le scrivo per chiedere urgentemente un incontro, in cui illustrare la criticità della condizione di vita delle nostre famiglie, che da mesi cercano di fronteggiare gravissime problematiche, divenute ormai insostenibili.
Siamo al collasso, l’assistenza domiciliare dei nostri pazienti non può essere erogata lasciando turni scoperti o con continui cambi di personale: la sola copertura del turno, metodo proposto dalle Società erogatrici, non è assolutamente attuabile nel servizio per i nostri malati ad alta complessità, sia per le condizioni cliniche e sia perché nella maggior parte dei casi sono colpiti da malattie rarissime e degenerative; per questo necessitano di un’assistenza continuativa da parte del personale che se ne occupa, poiché per conoscere pazienti simili c’è bisogno di tempo.
Ecco perché il continuo cambio di personale inviato nelle nostre case dalle Società è inconciliabile con la continuità di cura di pazienti fragilissimi.
Le nostre famiglie sono già messe a dura prova dalla sofferenza di malattie tremende, la politica non può dimenticarsi di noi, anche nel bel mezzo di una pandemia. Non siamo “cittadini di serie B”, i nostri non sono “malati di serie B”, al contrario, essendo fragili, bisognerebbe occuparsene con maggiore cura, poiché rientrano esattamente nella casistica dei pazienti a rischio di terapia intensiva nel caso di contagio da Covid-19.
Fatto ancor più grave è che le Società comunicano a noi famiglie che in carenza di personale non riescono a coprire i turni e questo, purtroppo, si verifica già da mesi. Si ha l’idea di cosa significhi assistere un paziente complesso, giorno e notte, senza un valido aiuto? È immaginabile in quali condizioni di stress psicofisico vengono messi il caregiver e l’intera famiglia che vivono questo tipo di disagio? La mancanza di stabilizzazione del personale da parte delle Società accreditate presso la Regione Lazio ha causato la fuga di infermieri che, in cerca di garanzie contrattuali, hanno trovato occupazione presso cliniche o altro, spingendo altresì gli infermieri stessi a partecipare ai concorsi pubblici, che hanno assorbito un’ingente quantità di personale. Molti degli infermieri assunti per l’emergenza Covid sono gli stessi che sono stati tolti dalle nostre assistenze domiciliari. Bisogna trovare una soluzione per reperire personale e stabilizzarlo, come accade per gli ospedali. E del resto la nostra è una “ospedalizzazione” presso il domicilio: scorrendo la graduatoria per le assunzioni, quindi, sarebbe già utile assumere e lasciare sulle assistenze quel personale già facente parte dell’équipe domiciliare.
La mancata erogazione di un’assistenza domiciliare degna di essere chiamata tale per continuità e qualità del servizio, si ripercuote non solo sui malati, ma sull’intera vita del nucleo familiare. Finiamo per ammalarci anche noi familiari, ci ritroviamo a dover rinunciare al lavoro e a fronteggiare il disagio anche dal punto di vista economico. La conseguenza di tutti questi fattori di stress è che lo stesso nucleo familiare cessa di esistere e si disgrega. E se noi caregiver dovessimo contrarre il Covid, da chi verrebbero fatti assistere i nostri cari? Non si creda che sia facile farlo: per poter gestire le nostre patologie, infatti, serve un tempo di affiancamento, sono tutte patologie uniche. In virtù di ciò, nell’àmbito dell’assistenza il rapporto infermiere paziente dev’essere nella proporzione di 1 a 1, come avviene in conformità alla definizione stessa di assistenza domiciliare, assistenza di un paziente a cui si garantisce per diritto continuità di cura presso il proprio domicilio.
I nostri pazienti necessitano di osservazione continua e diretta, perciò è impensabile già solo ipotizzare di costringere le famiglie a mettere i propri familiari in una struttura; su questo vorremmo essere chiari: nessuno di noi accetterà mai un trasferimento in una struttura creata ad hoc. È una non ipotesi, sia in una condizione di normalità, sia in una condizione di emergenza epidemiologica; è infatti storia recente quanto accaduto nelle RSA [Residenze Sanitarie Assistite, N.d.R.], dove si sono creati i focolai per Covid-19.
In aggiunta a ciò bisogna considerare che tutti i nostri pazienti sono immunodepressi e la condivisione dello stesso ambiente con altri pazienti e con lo stesso personale significherebbe offrire loro una sola garanzia: una morte più celere. Ma è soprattutto una scelta personale che non può essere obbligata da specifiche per quanto gravi contingenze.
Ciò che invece le nostre famiglie stanno richiedendo è altro ossia la garanzia del diritto all’assistenza domiciliare, il controllo da parte delle famiglie e del caregiver della qualità e delle modalità con cui detta assistenza viene erogata dalle Società accreditate. I nostri cari – bambini, bambine, ragazzi, ragazze, figli, figlie, mogli, mariti, madri, padri, sorelle, fratelli – sopravvivono a malattie tremende proprio grazie all’amore e alle minuziose cure domiciliari ed è semplicemente per questa ragione che il “modello Lazio” può e dovrebbe diventare un modello per l’intero nostro Paese.
Abbiamo bisogno di essere ascoltati: finora, infatti, gli utenti, e cioè noi famiglie, non siamo mai stati considerati. Eravamo in Regione nel febbraio scorso per discutere il Decreto del Commissario ad Acta n. U00525 del 30 dicembre 2019, sulla riorganizzazione e la riqualificazione delle cure domiciliari, ma l’emergenza Covid ha preso il sopravvento sulle nostre vite e qualsiasi altro problema è passato in secondo piano. La gravità della nostra condizione di vita merita attenzione anche durante l’emergenza epidemiologica!
Ringraziamo l’Associazione Hermes di Roma per la collaborazione.