Il Segretario generale dello Spi-Cgil Ivan Pedretti risponde all’articolo di Michele Serra pubblicato su La Repubbica il 27 ottobre 2020.
Gentile Michele Serra,
ho letto il suo articolo “Nonni contro nipoti, le generazioni divise dalla pandemia” e non sono riuscito proprio a trattenere la penna.
In questo preciso momento storico di tutto abbiamo bisogno meno che di una rappresentazione così forzata e stereotipata delle due categorie, quella dei giovani col drink in mano e quella degli anziani che se restano reclusi in casa tutto sommato poco male perché in fondo hanno già dato.
Tale rappresentazione di certo non aiuta soprattutto se l’obiettivo che ci si pone è quello di evitare che generazioni diverse finiscano per odiarsi e per farsi la guerra mentre nel paese infuria la bufera sanitaria e economica portata dal Covid-19.
C’è troppa complessità nella vita di un giovane per ridurlo ad un cocktail d’ormoni che lo spinge ad abbassarsi la mascherina, a strusciarsi o ad assembrarsi con i propri simili, a non poter rinunciare all’aperitivo.
Ci sono storie, aspirazioni, sogni e frustrazioni. Ci sono percorsi educativi e formativi lunghi, anche complicati, che poi difficilmente sfociano in occasioni di lavoro certe, sicure e dignitosamente retribuite con il loro lascito di delusioni e disillusioni che è realistico pensare che la pandemia aggraverà.
C’è troppa complessità anche nella vita di un anziano, che non può essere considerato un vuoto a perdere, da confinare in casa o da parcheggiare in una Rsa in attesa della sua ora.
Non considerare questa complessità, nasconderla e negarla è moralmente inaccettabile. L’alternativa la possiamo immaginare e converrà che non è una prospettiva né bella né praticabile.
In Italia ci sono oltre 16 milioni di persone anziane. Sono tante e troppo pochi sono i giovani. Le ragioni di questo squilibrio demografico sono note e mai affrontate alla radice da chi avrebbe il compito di farlo.
Vivere a lungo non può essere considerata una colpa. È piuttosto il frutto di un sistema di welfare che la nostra generazione (la mia e anche la sua, ci passiamo solo due mesi) ha così faticosamente costruito e che negli anni è stato sostanzialmente smantellato, come ci mostra l’evoluzione drammatica della pandemia nel nostro paese.
Non dico che si debba ambire alla vita eterna ma almeno a condizioni dignitose per tutti a prescindere dalla carta d’identità.
Per questo sbaglia quando scrive che di “un sindacato dei vecchi e di un sindacato dei giovani non abbiamo proprio bisogno”. E la prego di credere che la mia non è una semplice e rituale difesa d’ufficio.
Un “sindacato dei vecchi” per fortuna esiste, conta oltre 4 milioni di iscritti ed è organizzato sul territorio con migliaia di sedi in tutto il paese, anche nelle tantissime zone remote che la politica non conosce, non capisce e non riesce ad ascoltare.
Esiste anche un sindacato generale e sono consapevole che dovrebbe meglio rappresentare le ragioni e le istanze dei giovani.
Serve soprattutto che i giovani possano organizzarsi, fare le proprie battaglie e conquistarsi il proprio spazio nel mondo del lavoro, nella società e anche dentro le organizzazioni sindacali. Lo abbiamo fatto noi quando avevamo la loro età, dobbiamo aiutarli e sostenerli nel fare altrettanto.
Serve ascolto e comprensione reciproca. Abbiamo bisogno di scambi, di incontri, di confronti anche aspri. Gli anziani con la loro storia, le competenze e le esperienze che hanno maturato lungo la vita. I giovani con la loro energia e il loro sguardo rivolto al futuro.
Mentirei se dicessi che è facile. Commetterei un errore imperdonabile se non dicessi che è necessario.
Ivan Pedretti
fonte: SPI CGIL