La proposta di mitigare l’epidemia proteggendo gli anziani dai contatti a rischio è stata da molti interpretata come impercorribile, quando non come una vera e propria ghettizzazione della terza età. Ma non è detto che la si debba intendere in questo modo. Purtroppo, una discussione non polarizzata sugli anziani è oggi difficile, e appena si ricordano politiche come quella svedese, anti-lockdown, si corre il rischio che alcuni ti qualifichino come amico del male o di voler lasciare a casa i medici (e i dipendenti dei supermercati, no?). Come noto, in Svezia si fanno politiche mirate di mitigazione basate sulla condivisione sociale. A questo link si trovano le difficili misure suggerite dal governo svedese a inizio pandemia alle persone sopra i 70 anni, ritirate in questi giorni prendendo atto del miglioramento della situazione epidemiologica del paese.
Uno studio di coorte su dati amministrativi svedesi sulla mortalità Covid-19 e per tutte le cause negli anziani da poco pubblicato su Lancet Healthy Longevity ha confermato l’aumento di rischio per i residenti nelle RSA (4 volte il rischio di riferimento rappresentato da anziani che vivevano con un altro anziano). Ma lo studio mostra anche che chi viveva con un adulto con meno di 66 anni aveva un rischio maggiore di chi che viveva con un altro anziano. Anche chi viveva da solo era a rischio come chi viveva con un adulto più giovane, forse per carenza di sostegno per svolgere attività normali, come fare la spesa o andare in farmacia. I dati mostrano un aumentata probabilità di morte se la convivenza era con un adulto e un ragazzo di età inferiore ai 16 anni, ma la stima ha intervalli ampi, e mancano dati sulla presenza di bambini, una condizione di coabitazione che in Svezia è peraltro molto rara. Importante sottolineare l’associazione del rischio aumentato con l’alta densità abitativa, indicatore probabile di bassa condizione sociale, e anche con la mortalità in migranti da paesi a basso reddito.
La conclusione principale dello studio svedese è certamente la conferma dell’impatto delle RSA sulla mortalità dei suoi residenti, ma anche quello di vivere in una famiglia multigenerazionale. Se cominciassimo a guardare anche noi a queste e altre condizioni (meglio se confortati da dati che al momento non abbiamo a disposizione), forse potremmo mettere a punto una forma di mitigazione più efficace e più sostenibile dei lockdown locali che ci proponiamo nella seconda fase, dato che quello generalizzato della prima fase si è rivelato alla lunga insostenibile sia dal punto di vista economico sia per le conseguenze sulle altre patologie.
Una campagna rivolta agli anziani oltre i 70 anni (cioè in pensione) può essere fatta con un invito a trovare soluzioni di coabitazione tra persone anziane, anche non congiunti, eliminando se possibile altri contatti diretti che potrebbero essere rimpiazzati il più possibile con quelli telematici, anche con sussidi. Una soluzione di questo genere potrebbe essere una indicazione di civiltà anche per il futuro, da sostenere economicamente per la soluzione abitativa nei ceti più svantaggiati. Certi servizi, come gli spostamenti in taxi, andrebbero ugualmente incentivati attraverso il ristoro dei tassisti. Sarebbe tutto sommato possibile anche garantire un dignitoso livello di socialità degli anziani – sicuramente maggiore di quello che stanno sperimentando in questi mesi – tenendo aperti luoghi associativi che possono essere facilmente sanificati e controllati, così come l’apertura alle persone anziane in certe fasce orarie di cinema e teatri, e anche di ristoranti per esempio fino alle 20:30.
Troppo difficile? Troppo ghettizzante? Non direi se l’alternativa è chiuderli nelle case di riposo o lasciarli da soli a casa, o fortemente esposti al rischio di ammalarsi e morire nella calda atmosfera di una famiglia multigenerazionale. Insomma, molto si potrebbe fare per proteggere gli anziani non isolandoli ma proteggendoli con proposte di socialità compatibili con la situazione presente. La mitigazione fatta con il consenso sociale è una strada da proporre per far vivere meglio non solo gli anziani soli, ma anche altri soggetti a rischio che sono spesso i più deboli. Sono sicuro che in Italia il terzo settore sarebbe ben disponibile a impegnarsi in questa sfida.
fonte: SCIENZA IN RETE