Lo stato di salute della biodiversità. di Laura Scillitani

La biodiversità globale continua a diminuire. Lo confermano con dati alla mano due importanti report, il Living Planet Index del WWF e il Global biodiversity outlook della Convention on Biological Diversity. Ma siamo in tempo per invertire il trend, abbandonando, dicono gli esperti, il concetto di business as usual.

Il 2020, l’anno che passerà alla storia come l’anno della pandemia, doveva essere un anno dedicato alla biodiversità. Segna infatti il termine della decade della biodiversità, un piano strategico globale, siglato nell’ambito della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite (CBD) articolato in cinque traguardi e 20 target, gli Aichi target, mirati a una riduzione dell’impatto antropico sulla natura da raggiungere entro il 2020. Causa pandemia, sono saltati tutti i meeting mondiali necessari per la programmazione futura, ma il report sullo stato di avanzamento dei 20 target, il Global Outlook on Biodiversity 51, è stato pubblicato e presentato via web. Sfogliando le circa 210 pagine di resoconto, balza subito all’occhio la ripetizione di questa frase: the target has not been achieved, l’obiettivo non è stato raggiunto.

Il report utilizza una scala di colori per mostrare in modo chiaro lo stato di avanzamento delle azioni: in verde quelle completate entro il 2020, in giallo quelle che hanno mostrato progressi ma senza raggiungere l’obiettivo, in rosso quelle che non hanno mostrato nessun progresso e in viola le situazioni che stanno peggiorando ulteriormente. Il colore preponderante del report è il giallo. Fra i viola e i rossi spiccano: il target 5, la prevenzione e la riduzione del tasso di perdita di habitat naturali e della frammentazione, e il target 12, la conservazione delle specie a rischio di estinzione. Ovviamente è viola anche l’obiettivo 8, la riduzione dell’inquinamento. Su 20 target, solo in dieci casi si ha una piccola parte in verde, a indicare un parziale raggiungimento degli obiettivi, ovvero un piccolo progresso rispetto al 2010.

Ma torniamo alla conservazione delle specie. Lo scorso settembre è infatti stato pubblicato un altro report fondamentale per avere un quadro globale dello stato della biodiversità: il Living Planet Report2, realizzato in collaborazione dal WWF international e la Zoological Society of London e che riunisce una ventina di partner, CBD inclusa. Il living planet index o LPI3 è un indice fornisce un trend relativo all’ abbondanza delle popolazioni dei vertebrati (ovvero pesci, anfibi, rettili uccelli e mammiferi). Ebbene, nel report appena pubblicato si legge che nel periodo 1970-2016 l’indice ha mostrato un declino del 68%.

Il Crac della natura

Il living planet index è un indicatore che funziona in modo analogo a quelli impiegati in economia. Quindi non ci dice quali e quante specie si stanno estinguendo, ma fornisce un andamento nell’abbondanza relativa delle popolazioni nel tempo. L’indice viene sviluppato a partire da serie storiche di dati relative a 4.392 specie e a circa 21.000 popolazioni. I grafici dell’andamento parlano chiaro. C’è una costante diminuzione nella dimensione delle popolazioni animali. Il cambiamento non è lo stesso in ogni dove, però, ed è particolarmente drammatico in Sud America, dove ha subito una diminuzione del 94% dal 1970 a oggi. A livello mondiale peggiora lo stato di conservazione di molte specie: a dimostrarlo in questo caso è il Red List index riportato nel Global biodiversity outlook, un indice sviluppato a partire dalla lista rossa della IUCN. Nella scorsa decade si sono estinte almeno sette specie di uccelli e mammiferi. Per citare qualche nome carismatico: il rinoceronte nero occidentale in Camerun e la tartaruga gigante dell’Isola Pinta delle Galapagos. Ma intere classi mostrano un trend negativo dello stato di conservazione, come nel caso degli anfibi, o dei coralli. Tra le piante, le cicadi, le più antiche presenti sul nostro pianeta, sono quelle maggiormente minacciate.

La causa principale di questa crisi è la perdita e la degradazione degli habitat, unito al sovrasfruttamento delle risorse naturali, alla diffusione di specie invasive e di nuovi patogeni, all’inquinamento e al cambiamento climatico. Ma è ovviamente difficile separare i vari fattori perché alterando un elemento naturale se ne alterano automaticamente altri, con un effetto domino. Ad esempio la mata (foresta) Atlantica in Brasile ha perso l’88% della sua originaria copertura vegetale, e la maggior parte solo nell’ultimo secolo. Questo ha portato a una diminuzione delle popolazioni di anfibi. Col diffondersi della chitridiomicosi, malattia fungina mortale legata al commercio globale di erpetofauna, il declino sta accelerando, portando al rischio di estinzione moltissime specie di anfibi.4 A questo si vanno ad aggiungere i cambiamenti climatici, che complicano ulteriormente la situazione per gli anfibi.

La situazione Europea

In Europa il living planet index mostra un declino del 24%, un valore nettamente inferiore rispetto a quello delle altre regioni (nel Nord America il calo è del 33%, nelle restanti regioni si va dal 45% in su). «Il living planet index mostra che l’Europa ha perso meno rispetto a altre regioni del mondo, anche se non approfondisce se questo è dovuto al fatto che la nostra regione era già sostanzialmente alterata negli anni settanta o se è l’effetto di un sistema di tutela ambientale, a livello di Unione europea, abbastanza avanzato» spiega Piero Genovesi, responsabile dell’ufficio fauna di ISPRA e presidente della commissione per le specie invasive della IUCN.

«A livello di Unione europea abbiamo leggi che tutelano le specie e abbiamo obblighi di tutela ambientale che vengono monitorati», continua Genovesi. «Il concetto di Rete natura 2000, una rete di aree protette mirata a tutelare specie e habitat che sono interesse della comunità europea, è sicuramente molto avanzato. L’Italia in qualche modo riflette la situazione europea; a livello locale c’è un forte aumento delle aree boscate e un buon aumento delle aree protette, a un regime di tutela abbastanza stringente. Nelle analisi che noi come ISPRA abbiamo coordinato per i rapporti relativi alle direttive europee (habitat, uccelli, acque) e regolamento specie invasive, il quadro che emerge è che abbiamo una forte criticità, soprattutto per gli ambienti di acqua dolce e costieri. Su molte specie, però, vediamo invece gli effetti di un sistema che è sicuramente più tutelato di quanto lo fosse cinquant’anni fa».

Secondo l’“Annuario dei dati ambientali 2019”5, in Italia il 48% delle specie di pesci d’acqua dolce e il 36% degli anfibi sono minacciati. Meno della metà (il 43% per la precisione) dei 7.493 corsi d’acqua ha uno stato ecologico buono o elevato. È a rischio nella nostra penisola anche il 23% delle specie di mammiferi. Ma è migliorata fortemente nel tempo la superficie naturale sottoposta a tutela: oggi sono 843 le aree protette terrestri, e coprono il 10,5% del territorio nazionale, mentre i siti della Rete natura 2000 sono il 19,5%.

Non tutto è perduto: la conservazione premia

Le aree protette hanno in realtà un andamento positivo a livello globale: uno dei pochi Aichi target che ha registrato un progresso effettivo è il target 11, ovvero l’espansione delle aree sottoposte a un regime di tutela, che sono aumentate globalmente dal 10 al 15% della superficie terrestre (il target per il 2020 era il 17%).

Sia il report del WWF/ZSL sia quello della CBD mostrano la grande importanza dei programmi di conservazione, senza i quali la situazione sarebbe molto peggiore. Un recente articolo pubblicato su Conservation Letters6 stima il numero di specie salvate dall’estinzione grazie a programmi di conservazione. I risultati indicano che dal 1993 tra 28 e 48 specie di uccelli e mammiferi sono stati salvati dall’estinzione grazie ai programmi di conservazione. In pratica se non fossero stati portate avanti queste attività il tasso di estinzione attuale sarebbe del 4% più elevato nello stesso periodo.

Interventi importanti di contrasto alle specie aliene invasive sono stati portati avanti con successo, soprattutto nelle isole, con un immediato beneficio per le popolazioni di animali autoctoni. E su questo l’Italia, per esempio, ha portato a casa diversi successi (Su Scienza in rete ne abbiamo parlato qui).

Il pericolo del “si è sempre fatto così”

«Quest’anno era prevista l’adozione dell’agenda futura della CBD e i risultati del report indicano che complessivamente gli obiettivi prefissati per questa decade non sono stati raggiunti. Alcuni segnali positivi ci sono, soprattutto sull’adozione di normative per la tutela, espansione delle aree protette, miglioramento delle conoscenze scientifiche, quindi alcuni effetti si sono visti, ma considerato l’andamento attuale della biodiversità e delle minacce non sono ancora adeguati» commenta Genovesi. «Faccio l’esempio degli indicatori sulle specie aliene invasive: molti Paesi hanno adottato norme per contrastare il fenomeno e infatti questo target è uno di quelli per cui si sono raggiunti dei risultati positivi. Però manca ancora molto per una concreta attuazione delle misure di effettiva prevenzione e controllo. Quindi il quadro si conferma negativo, ma ci sono anche indicazioni per migliorare in futuro, riportate da entrambi i report».

Negli ultimi sessant’anni, l’impronta ecologica umana è cresciuta del 173% e oggi eccede la biocapacità (ovvero la capacità di rigenerarsi) della Terra del 56%. Non servono grandi abilità matematiche per capire che, come concludono gli autori del Living Planet Report, conservare non basta più. Bisogna agire per ridurre e possibilmente eliminare le cause di minaccia, cambiare il trend dei consumi, e dedicare maggiori risorse alla conservazione della natura, un campo scientifico e pratico che soffre di una cronica difficoltà nel reperimento di fondi adeguati.

Molti degli Aichi target trovano un riscontro anche nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, un programma adottato nel 2015 e che si articola in 17 obiettivi per migliorare le condizioni di vita delle persone. Ma è dalla qualità dell’ambiente che dipende la qualità della nostra vita. Il declino delle popolazioni animali e vegetali, la perdita di biodiversità sia delle specie selvatiche che domestiche (si pensi alla perdita di varietà sia di piante che di animali d’allevamento), la perdita degli habitat, l’inquinamento e la desertificazione del suolo non sono negative solo per il patrimonio naturale, ma per il nostro stesso futuro. Degradando la natura e alterandola al di sopra delle sue capacità di rinnovamento, ci priviamo dei servizi ecosistemici come la qualità di aria, acqua e suolo, protezione da fenomeni metereologici intensi, impollinazione dei raccolti. Una review pubblicata nel 2019 su Science7 dimostra che, dal 1970 a oggi 14 su 18 servizi ecosistemici sono in netto declino.

«Quest’anno era previsto il Word Conservation Congress della IUCN, propedeutico a fornire linee guida in vista del summit per la costruzione della nuova agenda della CBD in Cina,. Anche se è tutto stato rimandato, la discussione va avanti e tutti gli organismi internazionali stanno ragionando su come definire l’agenda verso il 2030 e verso il 2050, quindi una programmazione di più ampio respiro» spiega Genovesi. E l’obiettivo per il futuro è quello di superare il concetto di business as usual. I grafici riportati su Living Planet Report e Global Outlook on Biodiversity mostrano che se manteniamo lo stato delle cose la situazione può solo ulteriormente peggiorare. L’agenda futura non parla più di target ma di transizioni per la sostenibilità: nell’uso delle foreste, agricoltura, pesca, produzione alimentare e sviluppo infrastrutturale delle città. Sia il report Living Planet report che il Global Outlook on Biodiversity ribadiscono più volte che l’attuale pandemia di Covid-19 e la sua origine devono essere considerati un campanello di allarme che ci induca a cambiare rotta, a ripensare il nostro modello di sviluppo con un approccio olistico, il cosiddetto One Health, un pianeta in salute vuol dire la nostra salute.

Note
1. AA.VV (2020) Global Biodiversity Outlook 5. Convention on Biological Diversity
2. WWF ZSL (2020) Living Planet Report 2020 – Bending the curve of biodiversity loss. Almond, R.E.A., Grooten M. and Petersen, T. (Eds). WWF, Gland, Switzerland.
3. Collen BEN et al. (2009) “Monitoring change in vertebrate abundance: the Living Planet Index“. Conservation Biology 23: 317-327
4. Scheele BC et al. (2019) “Amphibian fungal panzootic causes catastrophic and ongoing loss of biodiversity“. Science 363 (6434): 1459-1463
5. RAPPORTO AMBIENTE – SNPA. Edizione 2019. Doc. n. 11/2020”, SNPA, Rapporti 11_2020, Roma, febbraio 2020
6. Bolam FC et al. (2020). “How many bird and mammal extinctions has recent conservation action prevented?” Conservation Letters- online first
7. Díaz S et al. (2019). “Pervasive human-driven decline of life on Earth points to the need for transformative change“. Science Vol. 366, Issue 6471, eaax3100

fonte: SCIENZA IN RETE

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