Cos’è un test sierologico?
Il test sierologico rileva la presenza nel sangue di anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta ad un agente estraneo. Gli anticorpi hanno la capacità di legarsi in maniera specifica agli antigeni (microorganismi infettivi come virus, batteri, tossine o qualunque macromolecola estranea che provochi la formazione di anticorpi). In sostanza, con questi test deduciamo, dalla presenza nel sangue degli anticorpi, se la persona abbia incontrato il virus e si sia infettata. Ci sono due tipi di test per la ricerca di anticorpi: quelli basati su metodi immunometrici (ELISA, CLIA) e quelli cosiddetti rapidi basati su metodi immunocromatografici o simili. Entrambi funzionano secondo lo stesso principio: si misurano gli anticorpi e si vede se sono IgG o IgM. I test rapidi sono più facili da eseguire (si utilizza sangue capillare e quindi non è necessario un prelievo); al meglio delle conoscenze oggi disponibili, non vi sono al momento evidenze prodotte da organismi terzi in relazione alla loro qualità. Il Ministero della Salute raccomanda fortemente l’utilizzo di test del tipo CLIA o ELISA che comportano l’esecuzione di un prelievo di sangue.
Che differenza c’è tra un test sierologico e un tampone?
I test diagnostici utilizzati attualmente, i cosiddetti tamponi, si effettuano sul muco e si basano sull’individuazione dell’RNA virale. I test sierologici invece vengono effettuati sul sangue e non vedono il virus, ma cercano gli anticorpi che la persona ha sviluppato contro di esso.
Cosa viene rilevato attraverso la effettuazione del test sierologico?
Il test sierologico rileva la presenza nel sangue di anticorpi IgM o IgG. Gli anticorpi IgM sono prodotti nella fase iniziale dell’infezione e si ritrovano nel sangue a partire, in media, da 4 o 5 giorni dopo la comparsa dei sintomi, tendendo poi a scomparire nel giro di qualche settimana. Gli anticorpi IgG sono prodotti più tardivamente e si ritrovano nel sangue a partire, in media, da un paio di settimane dopo la comparsa dei sintomi (ma possono comparire anche prima) e permangono poi per molto tempo.
Cosa vuol dire essere positivi al test sierologico?
Un test anticorpale positivo indica se la persona è entrata in contatto con SARS-CoV-2 (se IgM positivi: infezione recente; se IgM negativi e IgG positivi: infezione passata), ma non indica necessariamente se una persona è protetta e per quanto tempo e se la persona è guarita. Le esperienze raccolte finora su questo virus infatti dicono che gli anticorpi compaiono da 5 a 7 giorni dopo l’inizio dei sintomi e si mantengono per un periodo che non sappiamo ancora quanto lungo. Poiché però il virus viene rilasciato per molto tempo, anche 30-40 giorni, c’è un momento in cui nell’organismo sono presenti sia gli anticorpi, sia il virus che continua ad essere rilasciato. In sostanza, la presenza di anticorpi non è segno del fatto che il paziente sia guarito e che quindi non sia più contagioso.
Cosa vuol dire essere negativi al test sierologico?
Un test anticorpale negativo può avere vari significati: una persona non è entrata in contatto con SARS-CoV-2, oppure è stata infettata molto recentemente (meno di 8-10 giorni prima) e non ha ancora sviluppato la risposta anticorpale al virus, oppure è stata infettata ma la quantità di anticorpi che ha sviluppato è, al momento dell’esecuzione del test, al di sotto del livello di rilevazione del test. In particolare, l’assenza di rilevamento di anticorpi (non ancora presenti nel sangue di un individuo per il ritardo che fisiologicamente connota una risposta anticorpale rispetto al momento dell’infezione virale) non esclude la possibilità di un’infezione in atto in fase precoce o asintomatica e il relativo rischio di contagiosità dell’individuo.
Quale utilità può rivestire l’effettuazione di test sierologici su un ampio campione della popolazione anche nel contesto delle politiche di sorveglianza sanitaria già in atto?
I test sierologici sono uno strumento importante per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità: è infatti grazie a questi strumenti che possiamo avere un quadro più chiaro di chi è entrato realmente in contatto con il virus. I metodi sierologici possono essere utili per l’identificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 in individui asintomatici o con sintomatologia lieve o moderata che si presentino tardi alla osservazione clinica. Possono essere utili anche per definire più compiutamente il tasso di letalità dell’infezione virale perché misurano, con maggiore precisione, il numero di soggetti contagiati da SARS-CoV-2. Il Ministero della Salute afferma però che i test sierologici non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei.
Ha senso consegnare un “patentino di immunità” ai soggetti risultati positivi al test sierologico?
No. Ad oggi non sappiamo né quanto tempo permangano in circolo le immunoglobuline IgG, quelle che garantiscono la protezione più a lungo termine, né possiamo essere certi che un esito negativo resti negativo anche nei giorni immediatamente successivi perché le stesse IgG tendono a svilupparsi a infezione risolta, ma non subito.
Inoltre l’affidabilità dei test non è del 100%: sarà presente sempre una certa quantità di falsi positivi e di falsi negativi. Il Ministero della Salute raccomanda fortemente l’utilizzo di test del tipo CLIA e/o ELISA che abbiano una specificità non inferiore al 95% e una sensibilità non inferiore al 90%, al fine di ridurre il numero di risultati falsi positivi e falsi negativi. Al di sotto di tali soglie, l’affidabilità del risultato ottenuto non è adeguata alle finalità per cui i test vengono eseguiti.
Il test sierologico non ha al momento alcuna utilità clinica per conoscere il proprio stato rispetto al Covid-19, mentre può servire a verificare la reale proporzione degli immuni rispetto ai non immuni nella popolazione.
La Regione Piemonte sta valutando la possibilità di effettuare test sierologici sulla popolazione?
La Regione Piemonte aderisce allo studio sieroepidemiologico proposto dal Ministero della Salute sulla popolazione generale. Lo studio, che vede l’identificazione di un campione rappresentativo della realtà regionale e delle sue differenze territoriali, è finalizzato a caratterizzare le differenze di sieroprevalenza tra le varie fasce di età, di localizzazione territoriale e di professione, così da meglio comprendere le caratteristiche epidemiologiche e fornire fondamentali informazioni per lo studio della patogenesi e lo sviluppo di strategie mirate.
La Regione Piemonte sta inoltre conducendo un’indagine di siero prevalenza negli operatori sanitari e non delle Aziende Sanitarie attraverso l’utilizzo di un test immunometrico IgG semi quantitativo. L’indagine riguarda anche i medici specialisti ambulatoriali, gli operatori del 118, i medici di base, le guardie mediche e i pediatri di libera scelta. Un’ulteriore indagine riguarda gli agenti appartenenti alle Forze dell’Ordine, Forze Armate, Polizia Locale, Vigili del Fuoco e lavoratori dei tribunali ordinari, amministrativi e contabili. Entrambi gli studi hanno lo scopo di meglio comprendere le caratteristiche della diffusione del virus e di ottenere informazioni sulla patogenesi al fine di sviluppare strategie mirate di prevenzione.
È previsto il coinvolgimento dei cittadini di singoli comuni (ad esempio Beinasco, Bruino, Orbassano, Piossasco, Rivalta, Volvera)?
Lo studio proposto dal Ministero prevede che sia l’Istat a fare il campionamento dei cittadini. L’ISTAT sta individuando, tramite i propri registri statistici, individui, unità economiche, luoghi e tematiche del lavoro, uno o più campioni casuali di individui, rilevati anche su base regionale, per classi dietà, genere e settore di attività economica, che saranno invitati a sottoporsi alle analisi sierologiche. In totale in Piemonte sono coinvolti 8.099 cittadini che saranno contattati dalla Croce Rossa.
Ha senso promuovere ulteriori indagini sulla popolazione mediante test sierologici oltre a quelle già in corso?
Al momento in Regione Piemonte non sono previste ulteriori indagini sulla popolazione oltre a quelle già in corso. È consentito, seppure sconsigliato, a totale a carico del cittadino, rivolgersi privatamente a laboratori di analisi cliniche privati autorizzati per svolgere test sierologici considerati attendibili dal Ministero della Salute.
L’eventuale utilizzo dei test al di fuori del Sistema Sanitario Regionale deve porre attenzione ad alcuni criteri molto importanti:
- I test per la ricerca di immunoglobuline non sono autodiagnostici (è autodiagnostico qualsiasi dispositivo predisposto dal fabbricante per poter essere usato a domicilio da persone non esperte di test diagnostici); non devono pertanto essere venduti o messi a disposizione di “profani”, come definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera d) del Decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332 recante “Attuazione della Direttiva 98/79/CE relativa ai dispositivi medico-diagnostici in vitro”.
- È necessario l’uso di test marcati CE ai sensi del D. Lgs. 332/00, prevedendone la refertazione solo da parte di personale di laboratorio.
- I test sierologici devono essere effettuati esclusivamente in laboratori di microbiologia e virologia autorizzati e/o accreditati e/o a contratto con il SSR.
- La positività a test sierologico con metodica CLIA o ELISA o equivalenti comporta la successiva verifica della contagiosità mediante ricerca dell’RNA virale (tampone).
Qualora il test risulti positivo l’individuo asintomatico sarà considerato sospetto di infezione Covid-19; il laboratorio farà la segnalazione al medico di famiglia e quest’ultimo disporrà l’isolamento fiduciario.
Che cosa succede se i responsabili di un dato ambito collettivo (per es ambiente di lavoro) intendono avviare un percorso di screening dei soggetti appartenenti a tale collettività mediante test sierologici?
I test sierologici attualmente disponibili non hanno una validità sufficiente per esprimere un giudizio di idoneità nell’ambito della sorveglianza sanitaria. Non vi sono indicazioni al loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né tantomeno per determinare l’idoneità del singolo lavoratore. La Regione Piemonte autorizza i datori di lavoro a procedere all’impiego dei test in ambiti aziendali sotto la supervisione del medico competente e previo nulla osta da parte dell’ASL competente per territorio. I soggetti risultati positivi ai test sierologici devono successivamente essere sottoposti a tampone nasofaringeo. Le prestazioni possono essere eseguite in laboratori privati accreditati con costi a carico del datore di lavoro. Il medico competente deve immediatamente dare notizia dei lavoratori risultati positivi al tampone al Servizio di Igiene Pubblica territorialmente competente.
A quali test saranno sottoposti gli insegnanti in vista della riapertura delle scuole?
A ridosso dell’avvio dell’anno scolastico il personale e gli insegnanti potranno effettuare il test sierologico. Chi risulterà positivo sarà sottoposto al tampone. Il test non potrà essere obbligatorio ma tutto il personale scolastico dovrebbe aderire alle indicazioni ministeriali nell’interesse della collettività e degli studenti. Il Ministero dell’Istruzione fornisce specifiche indicazioni in relazione alle modalità per l’accesso ai test per il personale scolastico, sia di ruolo che supplente. Saranno adottati i criteri di:
- volontarietà di adesione al test;
- gratuità dello stesso per l’utenza;
- svolgimento dei test presso le strutture di medicina di base e non presso le istituzioni scolastiche.
Anche gli studenti devono sottoporsi ai test sierologici?
No, non è nemmeno prevista la misurazione della temperatura con i termo-scanner all’entrata a scuola ma uno studente con sintomi (ad esempio temperatura superiore a 37,5 °C) deve rimanere a casa e segnalare al medico di famiglia o alla guardia medica le sue condizioni di salute in modo che si possa procedere con il tampone. Se ci saranno soggetti positivi si provvederà subito all’isolamento e scatterà la procedura di controllo per la messa in quarantena e l’effettuazione del tampone sia per gli studenti sia per gli insegnanti con i quali lo studente positivo è entrato in contatto.
Cosa sono i test salivari?
Si tratta di una nuova soluzione diagnostica ancora in fase di valutazione che analizza la saliva e fornisce in pochi minuti il risultato di positività o negatività al Covid-19.
A differenza dei test sierologici, che misurano la risposta dell’organismo all’infezione andando a dosare gli anticorpi contro SARS-CoV-2 prodotti dal corpo umano, il test salivare misura direttamente la presenza del Coronavirus, proprio come fa il tampone.
I vantaggi nell’utilizzo di questo nuovo test sono evidenti:
- rapidità dei risultati (il test è capace di fornire i primi risultati in meno di 15 minuti, per il tampone occorrono alcuni giorni),
- l’analisi può essere effettuata con un kit tipo test di gravidanza o con uno strumento portatile facilmente utilizzabile ovunque (ad esempio presso il medico di famiglia o in strutture scolastiche) senza bisogno di appoggiarsi a laboratori di analisi,
- non è invasivo e fastidioso come invece può risultare il tampone nasofaringeo soprattutto nei bambini,
- può limitare il sovraffollamento di soggetti sospetti nei Pronto Soccorso.
Occorre considerare anche alcuni limiti del test salivare. Rispetto al tampone non permette di valutare la carica virale (cioè “quanto virus è presente”): può solo dire se c’è oppure no. Inoltre sono ancora in corso valutazioni sulla sua efficacia diagnostica e sulla migliore tecnica di prelievo della saliva.
È probabile che il test salivare sarà utilizzato non in sostituzione del tampone classico, ma come strumento utile per indirizzare al tampone unicamente quei soggetti che sono risultati positivi.
Chi è stato infettato ed è guarito può considerarsi immune? Dovrà vaccinarsi quando sarà disponibile il nuovo vaccino?
I casi di una seconda infezione sono segnalati in tutto il mondo anche se non è sempre così chiaro se si tratta davvero di un nuovo contagio oppure se il virus o frammenti virali della prima infezione indugiano nel corpo anche dopo la scomparsa dei sintomi. Una ricerca italiana appena pubblicata sulla rivista BMJ Global Health ipotizza che l’immunità acquisita non solo potrebbe non essere protettiva, ma potrebbe addirittura favorire reinfezioni con sintomi più gravi. Un nuovo studio non ancora sottoposto a revisione tra pari condotto dal King’s College di Londra sostiene che l’immunità sembra ridursi drasticamente nel giro di pochi mesi. I ricercatori hanno studiato 90 ex pazienti: il livello di anticorpi raggiunge il picco dopo circa tre settimane dalla comparsa dei sintomi per poi gradualmente diminuire. Tre mesi dopo l’infezione soltanto il 17% di chi ha contratto il virus mantiene la stessa potenza di risposta immunitaria, destinata a ridursi in certi casi fino a non essere neppure più rilevabile. Un’altra ricerca pubblicata da poco su Nature va nella stessa direzione: si è visto che i livelli di anticorpi protettivi diminuiscono di oltre il 70% durante la convalescenza e in alcuni soggetti non sono più rilevabili.
Per avere maggiori certezze sulla durata della protezione occorre attendere gli esiti di altri studi epidemiologici ma, allo stato attuale delle conoscenze, chi è stato infettato ed è guarito non può considerarsi immune e dovrà vaccinarsi quando sarà disponibile il nuovo vaccino.
fonte: DORS