Discutere di MES senza sapere perché. di Massimo Bordignon, Gilberto Turati

Si fa aspro lo scontro sulla possibilità di utilizzare il Mes. Ma favorevoli e contrari non sembrano avere un interesse reale al miglioramento del Servizio sanitario nazionale. Per questo servirebbe un piano particolareggiato, del quale non c’è traccia.

Torna di moda il Mes

Assieme alla curva dei contagi torna a crescere sui media anche il dibattito sul Mes, cioè sull’uso o meno da parte del governo della linea di credito speciale (pandemic crisis support) messa a disposizione dal Meccanismo europeo di stabilità, un’istituzione intergovernativa dei paesi euro, per finanziare con prestiti agevolati le spese sostenute dai paesi membri per affrontare la crisi sanitaria.

Come al solito, il dibattito è più o meno insensato. C’è una corrente di fautori a oltranza, secondo i quali se non si usano questi fondi non si potrà mai riformare la sanità italiana, che accusano i contrari di voler deliberatamente affossare il Servizio sanitario nazionale per pure ragioni ideologiche. A loro si contrappone una corrente di accaniti detrattori, che invece insiste sul fatto che nonostante tutti i passi formali presi in questo senso dalla Commissione , il ricorso al Mes porterebbe inevitabilmente a forme di sorveglianza macroeconomica, prive di senso nel contesto attuale. Dietro questi argomenti apparentemente economici, si nascondono spesso obiettivi politici non dichiarati, a favore o contro la sopravvivenza del governo attuale.

La realtà sul piano economico è molto più prosaica. Il vantaggio potenziale di ricorrere alla speciale linea di credito del Mes è che permette di risparmiare sugli interessi. La sua convenienza dipende dunque esclusivamente dalla differenza tra i tassi di interesse che il paese potrebbe spuntare finanziandosi sul mercato rispetto a quelli che dovrebbe pagare chiedendo i soldi in prestito al Mes. Ai tassi attuali un beneficio netto esiste ancora; ma è anche vero che si sta riducendo rapidamente, con il rendimento del Btp a 10 anni sceso attorno allo 0,8 per cento. È inoltre un fatto che, nonostante tutte le rassicurazioni della Commissione, esiste evidentemente ancora un forte “effetto stigma” sul ricorso al Mes, giustificato o meno che sia. A dimostrazione, basta guardare all’esperienza del Sure , uno strumento sostanzialmente analogo di prestiti agevolati da parte dell’Unione europea, in questo caso condizionato a finanziare spese a sostegno dell’occupazione. Mentre dodici paesi dell’area euro, tra cui l’Italia, hanno già chiesto un prestito al Sure, nessun paese euro ha al momento richiesto il finanziamento del Mes.

D’altra parte, appare poco convincente anche la posizione intermedia assunta dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Per il ministro, il Mes è come un bancomat che garantisce al paese la possibilità di accedere, fino ad un massimo di 36 miliardi di euro, a prestiti agevolati; meglio allora non usare questa possibilità adesso, quando i tassi sono bassi, ed esercitare invece l’opzione nel caso i nostri tassi dovessero di nuovo ricominciare a crescere o si verificassero altri problemi di liquidità. Il problema con questo argomento è che mentre è vero che i paesi euro possono fare richiesta al Mes fino alla fine del 2022, l’accesso ai fondi richiede una preliminare attestazione di sostenibilità del debito del paese richiedente da parte delle istituzioni europee. Una valutazione positiva in questo senso, non solo per l’Italia ma automaticamente per tutti i paesi euro, è stata definita la scorsa primavera, non è però detto che rimanga inalterata per tutti i due anni di possibile accesso alla linea speciale di credito. In altre parole, c’è il rischio che proprio quando ci serverebbe esercitare l’opzione Mes questa non sia più disponibile; o che comporti comunque per il paese il doversi sottoporre al rischio addizionale di una nuova valutazione sulla sostenibilità del debito.

Il progetto che manca

Ma l’elemento forse più surreale di tutto il dibattito è che si svolge senza alcun riferimento ai costi che il ricorso al Mes dovrebbe finanziare, cioè alle spese necessarie per riformare il sistema sanitario per renderlo più pronto ad affrontare le crisi pandemiche presenti o future. Ragionevolmente, si dovrebbe prima specificare il progetto di riforma della sanità e quantificarne tempi e costi; dopo si può anche ragionare se convenga finanziarlo solo con risorse interne oppure ricorrendo anche a prestiti dal Mes. Ma di questo articolato progetto di riforma del sistema sanitario italiano non c’è traccia. Anzi, risulta che anche gli interventi di emergenza già previsti per rafforzare il Ssn contro il Covid-19 siano stati soltanto parzialmente attuati, per esempio, nella predisposizione di un maggior numero di posti letti per terapie intensive.

La Nadef 2020 stima in 5,4 miliardi di euro le risorse in più stanziate dal governo nel 2020 sulla sanità per affrontare la crisi epidemica; ma in assenza di altri interventi, queste diventano solo 1,2 miliardi in più nel 2021 (rispetto agli usuali 120 miliardi di spesa), curiosamente esattamente lo stesso incremento annuale nel finanziamento riconosciuto al Ssn dai governi in periodi precedenti la pandemia. Le linee guida del governo sull’uso dei fondi del Next Generation-EU contengono una “missione” dedicata alla salute, ma si tratta solo di petizioni di principio, senza contenuti concreti, che ricalcano esattamente quanto già suggerito in campo sanitario dalle “raccomandazioni” della Commissione al paese. Insomma, invece di discutere del Mes, sarebbe il caso che cominciassimo a discutere seriamente su come vogliamo riformare il sistema sanitario.

fonte: LAVOCE.INFO

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