La prima infanzia rappresenta un periodo cruciale nella vita delle persone. È il momento in cui si inizia a conoscere e capire il mondo, se stessi, gli altri. Economisti, come il premio Nobel James Heckman, neuro-scienziati e sociologi, affermano che le competenze necessarie per crescere e vivere nel XXI secolo – cognitive, socio-emozionali e fisiche – si formano, in larga misura, a partire dalla nascita e prima dell’entrata nella scuola, seguendo un processo cumulativo. Proprio per questo le disuguaglianze tra i bambini, per quanto riguarda l’acquisizione di capacità e competenze, si formano ben prima di varcare la porta della scuola dell’obbligo.
L’investimento sulla prima infanzia ha effetti di lungo termine e riduce la povertà educativa
La povertà educativa, definita da Save the Children come la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni, produce i suoi effetti già nella primissima infanzia. Uno studio condotto dall’Organizzazione nel corso del 2019 ha mostrato che i bambini svantaggiati dal punto di vista della condizione socio-economica della famiglia sembrano accumulare un ritardo nell’acquisizione delle competenze matematiche, di lettura e scrittura, fisiche e motorie e socio-emozionali già all’età di 4 anni. Pur nella consapevolezza che nei primi anni di vita, lo sviluppo del bambino segue percorsi differenti e individuali, l’indagine ha evidenziato il rischio che le disuguaglianze legate alle condizioni socio-economiche delle famiglie affiorino nei primi anni di vita. Tuttavia, la frequenza al nido e la durata della frequenza, calcolata in termini di mesi, è risultata essere un fattore determinante, particolarmente per i bambini svantaggiati dal punto di vista socio-economico, nell’acquisizione delle competenze. In particolare i bambini appartenenti a famiglie in svantaggio socio-economico che frequentano il nido per lungo tempo, non soltanto acquisiscono maggiori competenze rispetto ai loro coetanei provenienti da famiglie con lo stesso background socio-economico, ma riescono a ridurre il gap anche con gli altri bambini. Anche un’analisi condotta nel 2018 da Save the Children in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata ha evidenziato che i bambini più svantaggiati che hanno frequentato un nido o un servizio per l’infanzia, hanno quasi il doppio delle probabilità di essere resilienti all’età di 15 anni (in relazione agli studi sulla povertà educativa, intendiamo la resilienza come la probabilità per i ragazzi di 15 anni in svantaggio socio-economico di raggiungere e superare il livello minimo di competenze nei test PISA in matematica e lettura), rispetto ai coetanei che non li hanno frequentati. Questi dati sono molto significativi perché confermano la permanenza dell’effetto a lungo termine dell’intervento nella prima infanzia. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che l’occupazione femminile e le politiche di conciliazione, nonostante riducano il tempo di cura delle madri, ne aumentano la qualità e l’intensità, stimolando al contempo anche la partecipazione dell’altro genitore. In questi casi le interazioni tra genitori e bambini risultano essere più strutturate e focalizzate sull’early learning, alimentando lo sviluppo delle competenze chiave cognitive, fisiche e socio-emozionali dei bambini.
Queste evidenze si focalizzano sui benefici educativi dei nidi. Non possiamo non accennare però anche alla loro funzione di conciliazione, oltremodo importante in un Paese dove il divario di genere in ambito lavorativo è tra i più consistenti in Europa (18 punti di distanza tra donne e uomini rispetto alla media europea di 10 punti a vantaggio maschile), divario che aumenta per i genitori con almeno un figlio (è occupato l’89,3% dei padri a fronte del 57% delle madri), e dove nel 2019 più del 70% delle convalide per le dimissioni sono date dalle madri, prevalentemente per questioni di mancata conciliazione .
L’offerta educativa per la prima infanzia in Italia
Nonostante ciò il panorama dell’offerta educativa per la prima infanzia in Italia è tuttora frammentato e gravemente lacunoso: il grado di copertura e di offerta dei servizi per la prima infanzia è ancora inferiore all’obiettivo del 33% di presa in carico (un bambino sotto i 3 anni su tre dovrebbe frequentare regolarmente un nido o servizio integrativo, pubblico o privato) stabilito al livello europeo nel 2002. Questo obiettivo, chiaramente definito dalla riforma che ha istituito il Sistema Integrato 0-6 anni (decreto legislativo 65/2017), appare ancora lontano.
In base agli ultimi dati disponibili (a.s. 2017/2018), solo il 13,5% dei piccoli frequenta un servizio comunale o convenzionato (194.567 posti su 1 milione 400 mila bambini 0-2 anni residenti in Italia). Includendo tutti i servizi alla prima infanzia, anche privati non convenzionati, si arriva al 24,7%, per un totale di 355 mila posti autorizzati al funzionamento, di cui il 51% pubblici, con divari territoriali molto pronunciati. L’offerta di servizi di qualità accessibili varia considerevolmente tra le Regioni, ma anche tra Province e in molti casi da un comune all’altro, anche all’interno di una singola Provincia. La distanza principale si sviluppa lungo l’asse Nord-Sud, con differenze notevoli evidenziate dal tasso di presa in carico: per i servizi comunali o convenzionati si spazia dal 19,6% del Nord-Est (1 bambino 0-2 anni su 5 frequenta un nido o servizio integrativo) al 5,1% del Sud (1 bambino 0-2 anni su 20), con divari regionali che vanno dal 2,1% della Calabria al 26,7% dell’Emilia Romagna e valori leggermente superiori per Valle d’Aosta e Trento. Se includiamo anche i servizi privati, allora l’obiettivo del 33% è raggiunto e superato da Valle d’Aosta e Umbria (47% e 41%), ma anche da Emilia Romagna (38%) Trento (37%) e Toscana (35%). La maggior parte delle Regioni del Centro-Nord, con la Sardegna, oscillano tra il 28 e il 31%, ma nel Mezzogiorno, Sicilia, Calabria e Campania coprono appena il 9-10% dei bambini nella fascia 0-3 anni, 1 su 10.
Supporto economico ai servizi per la prima infanzia
Con l’attuazione del federalismo fiscale nell’ultimo decennio e gli aiuti altalenanti e soprattutto nessun meccanismo perequativo stabile da parte dello Stato, moltissimi Comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, non hanno risorse né capacità amministrative per offrire il servizio. Nel 2007 è stato varato un Piano Straordinario Nidi, un’iniziativa che fino al 2012 ha permesso di rafforzare il sistema degli asili con uno stanziamento complessivo di circa 1 miliardo di euro tra fondi del Dipartimento per le Politiche della famiglia e cofinanziamenti regionali. Grazie all’impulso del Piano, la spesa destinata dai Comuni per i servizi alla prima infanzia è cresciuta fino a un massimo di 1,3 miliardi nel 2012, per poi stabilizzarsi intorno a 1,19 miliardi a partire dal 2014. A partire dal 2007/2008 vi è stata la sperimentazione delle sezioni primavera per i bambini di 2 anni. Un altro importante intervento è stato avviato in questi anni all’interno della strategia del Piano Azione e coesione (PAC) con l’obiettivo di potenziare i servizi educativi per la prima infanzia nelle quattro Regioni Obiettivo del Mezzogiorno (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e ridurre le differenze con il resto del Paese. Avviato nel 2013, via via prorogato fino al giugno 2021, ha immesso 339 milioni in tutto per le 4 Regioni con esiti ancora da valutare.
Nel 2017, il Governo ha varato un piano di azione nazionale per l’attuazione del sistema integrato 0-6. Con il Fondo per il nuovo sistema integrato 0-6 anni sono stati stanziati e ripartiti tra le Regioni 209 milioni per l’annualità 2017, 224 milioni per il 2018 e altri 249 milioni per il 2019. Ancora troppo pochi per poter garantire in tutte le Regioni e in tutti i Comuni o ambiti territoriali servizi accessibili di qualità.
In più di 1 caso su 3 (36%), secondo i risultati di un’indagine condotta da IPSOS per Save the Children ad agosto 2020, il principale motivo per cui il bambino non ha frequentato il nido nel precedente anno è stato di tipo economico, mentre per il 10% il mancato accesso è stato determinato dal non aver trovato posto. Il 6% ha indicato come causa principale gli orari del servizio e il 5% la mancanza di servizi nel territorio. Circa 6 genitori di bambini di 1-3 anni su 10 pensano che la recessione avrà un impatto negativo sulle risorse economiche a loro disposizione per l’investimento nell’educazione dei loro figli durante i primi anni di vita. Una quota addirittura superiore (più di 7 su 10) è preoccupata che la recessione possa ridurre l’investimento pubblico nei servizi per l’infanzia, limitando ancor più la disponibilità di posti, già tra le più basse in Europa.
In questo quadro, promuovere il diritto alla salute, all’educazione, alla protezione sociale del bambino e sostenere una relazione positiva con i genitori devono rappresentare una priorità di intervento per rompere il circolo vizioso della trasmissione dello svantaggio tra generazioni, per liberare i talenti e per far fiorire le capacità delle persone. Tali interventi possono essere un potente motore per la crescita del Paese, attraverso la promozione della giustizia sociale e dell’equità.
- James Heckman, ‘Policies to foster human capital’, in Research in Economics, 2000
- Jane Waldfogel, Social Mobility, Opportunities, and the Early Years, 2004
- Gøsta Esping-Andersen, The Incomplete Revolution: Adapting Welfare States to Women’s New Roles, 2009
- Save the Children, Building Brains. Early Stimulation for Children from Birth to Three, 2017
- Anduena Alushaj e Giorgio Tamburlini, ‘Tempo materno, tempo di nido e sviluppo del bambino: le evidenze, Medico e Bambino, 2018
- Nurturing care. For early childhood Development, a cura di World Health Organization, United Nations Children’s Fund, World Bank Group, 2018
- Save the children, Il Miglior Inizio, 2018
- Save the Children, Le Equilibriste, 2020
- Save the Children, “La scuola che verrà. Attese, incertezze e sogni all’avvio del nuovo anno scolastico”, 2020
fonte: EpiCentro
L’Autrice: Antonella Inverno (Save the Children)