Covid19, Fase 2 nel Regno Unito, i ritardi. di Gavino Maciocco

Il governo (del Regno Unito) non ha sfruttato la tregua estiva per affrontare la seconda ondata della pandemia, che si presenta con la minaccia di un rapido aumento dei casi e dei morti.

Dopo la tregua registrata nei mesi più caldi dell’estate, la pandemia dal mese di settembre è ricominciata a correre in Europa: il paese più colpito la Spagna che ha segnato nelle ultime due settimane punte giornaliere di oltre 15mila casi e 241 decessi (nello scorso aprile i decessi giornalieri toccarono 1000 unità).

Nella Tabella 1 è riportata la situazione dei 5 paesi europei con il più alto numero complessivo dei casi (Spagna, Francia, Regno Unito, Italia e Germania), con i dati cumulativi del numero dei casi e dei morti x 100 mila abitanti, nelle ultime due settimane (fino al 5 ottobre 2020). L’intera Tabella, tratta dal sito dell’European Centre for Disease Prevention and Controlrileva che anche altri paesi si trovano in situazione di grande difficoltà nel contenimento della pandemia: la Repubblica Ceca ha dati simili alla Spagna, Olanda e Belgio con dati simili alla Francia.

Il Regno Unito, come mostrano le Figure 1, 2 e 3 (tratte da The Guardian), ha registrato nelle ultime settimane una forte recrudescenza nella circolazione del virus e dei numero dei contagi, mentre ricoveri e decessi, pur in aumento, sono quantitativamente molto lontani dai numeri dei primi mesi della pandemia. Nella Figura 1 si osserva un alto picco in corrispondenza dei giorni 3 e 4 ottobre, perché sono stati aggiunti 16 mila casi non registrati nei giorni precedenti (determinando un’accesa polemica perché questa temporanea perdita dei casi ha ritardato le attività di isolamento e tracciamento). La Fase 2 mostra un deciso cambiamento geografico nella diffusione del virus: se a marzo e aprile era Londra la città più colpita, oggi sono le città del nord dell’Inghilterra – Manchester, Liverpool e Leeds – a registrare il più alto numero dei casi.

Il monitoraggio della diffusione della Covid-19 è affidato allo studio REACT-1 (Real-Time Assessment of Community Transmission). Portata avanti dall’Imperial College di Londra, la ricerca si basa su un campione di 150 mila soggetti a cui ogni due settimane viene eseguito un tampone.

L’esame dei dati raccolti nel periodo 18-26 settembre rileva la prevalenza di un 1 caso positivo su 200 persone pari allo 0,55% della popolazione, un dato quadruplicato rispetto quello di due settimane prima (0,13%). La metà dei casi di infezione riguarda la popolazione più giovane, ma il fatto più preoccupante è il rapido coinvolgimento delle fasce più anziane della popolazione: qui infatti il dato di prevalenza della positività è in breve tempo aumentato di ben sette volte.  La prevalenza aumenta in tutte le aree del paese, con il Nord-Ovest che rimane la parte più colpita (0,86%). Ma i casi crescono anche a Londra, dove la prevalenza passa da 0,10% a 0,49%. La ricerca inoltre conferma che le comunità nere e asiatiche hanno una probabilità doppia di infettarsi rispetto ai bianchi.  “Questi dati – ha affermato il Prof. Steven Riley, che conduce lo studio – segnalano che la situazione in Inghilterra è in rapido movimento e dimostrano la necessità di un continuo impegno per prevenire le ospedalizzazioni non necessarie e le morti”.

Un impegno finora assente da parte del governo Johnson, secondo l’editoriale di Lancet pubblicato lo scorso 3 ottobre[1]. Il direttore della rivista, Richard Horton, nel suo recente libro “Covid-19. La catastrofe” era stato particolarmente critico verso il governo britannico, accusato di aver malamente gestito la pandemia. Ora rincara la dose. Il governo non ha sfruttato la tregua estiva per rinforzare il sistema, arrivato stremato all’appuntamento della Covid-19 a causa dei tagli al budget della sanità e delle privatizzazioni. Un governo che manca di un piano e di una strategia a lungo termine, continuando ad affidarsi al settore privato per svolgere compiti specifici del National Health Service (NHS), come il contact-tracing e la formazione del personale. L’esternalizzazione al privato di funzioni pubbliche genera abusi, nepotismi e corruzione, oltre a erodere la fiducia nel governo. Senza peraltro raggiungere alcun risultato. La pandemia si sta rapidamente diffondendo. Nelle previsioni delle massime autorità del NHS si potrebbero raggiungere, entro la metà di novembre, punte di 50 mila casi di contagio e 200 morti al giorno.

Ci vorrebbe una strategia, sottolinea l’editoriale, come quella proposta dall’Institute for Public Policy Research. Una strategia per costruire – come si legge nel titolo dell’editoriale – un NHS resiliente, basata su tre priorità. 1. Ridare sostanza e capacità al NHS per affrontare adeguatamente situazioni sia acute, come quelle di una pandemia, che croniche, rafforzando sia gli ospedali che i servizi di comunità. Il nodo centrale, decisivo è quello del personale. 2. Sono necessari investimenti nelle infrastrutture sia fisiche che digitali. 3. Infine, è fondamentale occuparsi della salute della popolazione, per metterla in grado di resistere (la resilienza, appunto) di fronte alle future minacce.

Esiste un vuoto lampante che il governo britannico deve colmare – conclude l’editoriale. Nell’affrontare la seconda ondata di Covid-19, non è solo il virus che deve essere sconfitto. È anche la riluttanza del governo a sviluppare la strategia a lungo termine necessaria per costruire un NHS resiliente”.

Bibliografia

  1. Editorial. Building a resilient NHS, for COVID-19 and beyond. Lancet 2020; 396:935.

fonte: saluteinternazionale.info

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