Lo sviluppo precoce del bambino, o early child development (ECD) indica, letteralmente, lo sviluppo cognitivo, fisico, linguistico, motorio, sociale ed emotivo del bambino nei primi anni di vita [1]. A partire soprattutto dai primi anni 2000, l’idea di ECD si è espansa a rappresentare un concetto più ampio, di vera e propria policy, che dalla consapevolezza dell’importanza di quanto accade nei primissimi anni di vita, in particolare nei primi due o tre, fa discendere la necessità di intervenire precocemente (early interventions, EI) a supporto dello sviluppo e dell’equità [2-6].
Tutte le competenze del bambino, da quelle motorie a quelle sensoriali, da quelle cognitive a quelle emotive e sociali, e la stessa capacità e motivazione ad apprendere si vengono costruendo in modo del tutto particolare nelle primissime fasi di vita.
Molti studi, anche italiani, hanno dimostrato che i bambini sono già diversi nelle loro competenze ben prima dell’inizio della scuola, e quelli che sono nati e cresciuti in ambienti non sufficientemente sicuri e “nutrienti” sia per il corpo che per la mente, partono già svantaggiati. Uno svantaggio che in assenza di interventi va aumentando con l’età [7]. Buona parte delle diseguaglianze sociali hanno quindi una radice nelle circostanze che hanno caratterizzato lo sviluppo nei primi anni [8].
Sulla base della grande mole di evidenze, prodotte in campi disciplinari molto diversi, tutti i documenti di indirizzo strategico elaborati a livello internazionale raccomandano la necessità di investire nei primi anni di vita [1-2,9] coinvolgendo più settori, anzi, i governi nel loro assieme sia a livello nazionale che a livello locale.
In questa cornice assumono un ruolo essenziale per la promozione dell’ECD i nidi e i programmi di supporto alle competenze genitoriali.
Non dovrebbe essere necessario sottolineare i benefici, ampiamente dimostrati da una vasta letteratura scientifica, della frequenza, almeno dal secondo anno di vita, di nidi di qualità, agli effetti dello sviluppo cognitivo e socio-relazionale del bambino e quindi del suo percorso scolastico e di vita [10-11]. Piuttosto, molto poco si è discusso di quanto l’ambiente familiare influenzi a sua volta lo sviluppo.
Gli interventi con i genitori
Anche su questo aspetto vi è una vasta letteratura scientifica che evidenzia sia la grande influenza dell’ambiente familiare (conoscenze, attitudini, pratiche genitoriali, ma anche spazi, oggetti, routine, ecc) sullo sviluppo, sia, cosa ancora più importante, l’efficacia di programmi che supportino le competenze genitoriali.
La letteratura su questi programmi, realizzati da molti anni soprattutto in Paesi a reddito medio e alto, ci dice che si possono ottenere risultati molto significativi, anche a distanza di anni, con interventi relativamente semplici, su diverse dimensioni che riguardano il bambino (linguaggio, altre funzioni cognitive, competenze sociali ed emotive), i genitori (minore stress, senso di solitudine e ricorso a forme violente di disciplina; migliori reti sociali e senso di autoefficacia) e sull’ambiente e le relazioni intrafamiliari in generale.
L’efficacia è subordinata ad alcuni requisiti: i genitori devono essere coinvolti attivamente assieme ai loro bambini, per far apprezzare loro il piacere e il valore per il bambino di attività affettivamente e cognitivamente ricche e la loro fattibilità nell’ambiente familiare; l’intervento deve facilitare opportunità di scambio e di relazione tra famiglie, che rappresenta sia un beneficio in sé che un fattore moltiplicatore del cambiamento; l’intervento deve essere svolto da professionisti (educatori, psicologi, pedagogisti) e solo coadiuvato da eventuali volontari; l’intervento deve essere supportato e deve integrarsi con i servizi sanitari, educativi, sociali e culturali, in modo da favorire collaborazione e uniformità di messaggi; gli appuntamenti per il lavoro con le famiglie devono essere pianificati in un arco temporale di pochi mesi, in modo da garantire una sufficiente intensità, e devono iniziare dopo la nascita, o ancora meglio nel periodo prenatale, e coinvolgere i padri. Buoni risultati sono stati documentati a partire da 8-10 incontri per piccoli gruppi di genitori, fino a un massimo di 10 e, come per la frequenza al nido, sono tanto maggiori quanto più basso è il livello culturale ed educativo dei genitori [12-15].
Alla luce di queste evidenze, e guidati dalle chiare raccomandazioni recentemente prodotte dall’OMS (“Tutti i genitori e gli altri caregiver di bambini da 0 a 3 anni devono essere supportati nell’acquisizione di competenze utili a fornire cure responsive ai loro bambini”) [9] dobbiamo potenziare molto i servizi per l’infanzia e le famiglie, con priorità alle aree più svantaggiate, in due direzioni: accesso universale ai nidi accompagnato da accesso universale a programmi di supporto alle competenze genitoriali. Questi ultimi possono essere sviluppati come servizio a sé stante o come parte integrante di altri servizi. La prima opzione – gli esempi da cui trarre modelli per questi ultimi non mancano, anche in Italia [16] – ha vantaggi indubbi in quanto favorisce standardizzazione, formazione e valutazione coerenti, in ultima analisi qualità. La seconda consente di usare spazi e operatori esistenti, e quindi comporta minori costi; può inoltre favorire l’accesso a e l’integrazione con altri interventi, ad esempio di prevenzione e cura della salute.
Il principio da affermare è che il lavoro con le famiglie deve diventare parte integrante delle politiche e dei servizi per l’infanzia.
Bibliografia
- World Health Organization, United Nations Children’s Fund, World Bank Group. Nurturing Care for Early Childhood Development: A Framework for Helping Children Survive and Thrive to Transform Health and Human Potential. World Health Organization, 2018 (disponibile in italiano su www.csbonlus.org)
- Shonkoff J The Science of Child Development. Center for the Developing Child, Harvard University, Mass. 2007
- Heckman, James J 2006. “Skill Formation and the Economics of Investing in Disadvantaged Children” Science 312 (5782): 1900–1902.
- Britto PR, Lye SJ, Proulx K, et al. Nurturing care: promoting early childhood development. Lancet 2017;389(10064):91-102
- Black ME, Walker SP, Fernald LCH, et al. Early childhood development coming of age: science through the life course. Lancet 2017;389(10064):77-90
- Richter LM, Daelmans B, Lombardi J. et al. Investing in the foundation of sustainable development: pathways to scale up for early childhood development. Lancet 2017;389(10064):103-18
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- Tamburlini G Come le diseguaglianze nascono, crescono e possono essere contrastate. Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 4/2019
- World Health Organization. Improving early child development: WHO guidelines. WHO, Geneva, 2020
- Del Boca D, Pasqua S, Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per l’infanzia, FGA Working Paper no. 36, Fondazione Giovanni Agnelli, 2010 (12)
- Alushaj A, Tamburlini G Tempo materno, tempo di nido e sviluppo del bambino: le evidenze. Medico e Bambino 2018;37:361-370
- Barlow J, Smailagic N, Ferriter M et al. Group-based parent-training programmes for improving emotional and behavioural adjustment in children from birth to three years old. Cochrane Database of Systematic Reviews 2010
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- Tamburlini G L’ambiente familiare di apprendimento. Seconda parte: interventi efficaci e fattibilità nel contesto italiano. Medico e Bambino 2020; 39:167-176
- Alushaj A, Colombo EM, Benvegbu C et al. Un Villaggio per Crescere: il modello, i dati, le voci, e …riflessioni a metà percorso. Quaderni ACP, 3:2020
fonte: EpiCentro