“Per la prima volta sono disponibili i dati sulla diffusione dell’infezione in tutta la popolazione italiana (2,4%), misurata attraverso l’indagine campionaria sulla popolazione delle scorse settimane, che ha mostrato come l’infezione abbia colpito soprattutto la Lombardia (7,5%) poi le altre regioni del nord con valori tra 1,9% del Veneto e 4% della Valle d’Aosta.
In Piemonte risulta che il 3% della popolazione residente (escluse le persone istituzionalizzate) è entrata in contatto con il virus e ha sviluppato una reazione anticorpale: si tratta di circa 130.000 piemontesi che si sarebbero infettati fino a luglio. Di questi 130.000 soggetti infettati circa 32.000 casi (inclusi gli istituzionalizzati) erano stati diagnosticati nello stesso periodo dal sistema di sorveglianza e cura. Quindi il Piemonte ha saputo accertare un caso ogni quattro infezioni avvenute, come accaduto nella maggior parte delle regioni del nord. Solo la Lombardia, dove il sistema sanitario è stato investito da un numero di infezioni di due volte e mezza maggiore (ben il 7,5% della popolazione si è infettata), è riuscita ad accertare meno casi tra gli infettati (solo un caso ogni nove infezioni). Il 30% di queste infezioni è trascorsa senza sintomi.
La SARS COV2 non ha fatto distinzioni nella popolazione rispetto al contagio, infettando tutti allo stesso modo, uomini e donne, giovani e anziani, occupati e disoccupati. Purtroppo, come si è osservato nei mesi scorsi, la storia di chi si è infettato è invece stata molto disuguale: chi era più anziano, malato cronico e povero ha avuto conseguenze cliniche molto più severe con un alto rischio di mortalità.
Tra gli occupati attivi, gli addetti alla sanità sono stati l’unica categoria essenziale di attività non sospesa che è stata più colpita dalla infezione, con una diffusione che varia tra il 6 e il 13% degli addetti nelle regioni più colpite tra cui il Piemonte, un dato che corrisponde ai valori di sieropositività misurati dalla Aziende Sanitarie piemontesi tra i loro addetti. Tra le voci di attività non sospese che mostrano valori superiori alla media, sono da ricordare quelle della ristorazione e accoglienza, professioni ad alta frequenza di contatti col pubblico.
Dunque il principale motore di diffusione dell’infezione è stata la geografia della mobilità e dei contatti tra le persone che hanno permesso la circolazione del virus. Dopo l’avvio dell’epicentro lombardo, il sistema sociale e produttivo più ricco di contatti, è iniziata una diffusione sostenuta nelle regioni vicine del nord e una modesta propagazione al centro sud: una geografia iniziale che è stata congelata dal lockdown, una fotografia ormai ben conosciuta dai dati di incidenza dei casi diagnosticati dal sistema di sorveglianza, ma resa ancora più vivida nella immagine scattata dalla indagine di sieroprevalenza che mostra un numero di casi non accertati in Lombardia molto più alto che nelle altre regioni meno colpite.
Poi, una volta che il contagio è penetrato nella regione, i meccanismi di trasmissione sono quelli ben noti: in primis quelli famigliari (40% di sieropositivi con un caso tra i famigliari conviventi, il 16% con un caso tra i famigliari non conviventi), poi quelli lavorativi (12% di sieropositivi con un caso tra i colleghi di lavoro) e a seguire quelli sanitari (10% di sieropositivi con un contatto con un caso in un luogo di cura).
Questi dati provvisori dicono una volta per tutte che più del 95% della popolazione piemontese è ancora suscettibile alla infezione, e che non bisogna abbassare la guardia nella prevenzione ambientale e nelle misure di distanziamento fisico e di igiene intraprese nelle attività produttive e sociali e da intraprendere nella scuola. Questi dati, una volta disponibili e integrati coi dati della sorveglianza regionale, permetteranno di valutare meglio chi tra questi infettati ha avuto più o meno successo nella guarigione e perché, in modo da rinforzare le capacità di risposta del sistema sanitario regionale”.
fonte: DORS