Non serve più parlare di “Dopo di Noi” e nemmeno della sua “bretella aggiunta”, ossia il “Durante Noi”. Non è mai servito giacché reca, nella sua locuzione di base, un errore di concetto.
La Legge 112/16, che lo disciplina, rimane ad oggi largamente inapplicata, per esiguità di fondi, per mancanza di progettualità, per mancanza di visione e la causa sta anche – e non poco, a mio avviso – nella postilla che obbliga il disabile a trovarsi in condizione di abbandono familiare o quasi; i genitori, infatti, devono essere deceduti oppure in età avanzata.
L’errore di concetto si materializza così, con una postilla che sposta il focus dalla persona con disabilità alla famiglia, errore che vedo fare in diverse direzioni quando si parla di disabilità.
Resto certamente convinta dell’importanza fondamentale della famiglia che deve sostenere e accompagnare, nonché imbracciare le armi pacifiche della protesta quando necessario; resto tuttavia anche convinta che spostare l’attenzione dalla persona con disabilità alla famiglia sia controproducente. Il dibattito, in questa fattispecie, si fonda esclusivamente sullo sconforto di genitori stanchi che non sanno dove “appoggiare” il loro amato figlio con disabilità.
Tutto è permeato da distruttiva disperazione, invece che da costruttiva ricerca di opportunità e di qualità della vita.
L’uso smodato della definizione “Dopo di Noi” ne ha ridotto il contenuto a slogan ad uso politico sotto elezioni, ed è tempo di liberarsene.
Le persone con disabilità hanno una vita, che ha bisogno di pianificazione, di progettualità per quanto possibile – il progetto di vita è soggetto a mutamenti come quello di chiunque, anche la visione monolitica di quest’ultimo va abbandonata – ma è una vita che rimane una, senza pre e senza post, dalla nascita alla morte, per la quale esercitare tutto il diritto di autodeterminazione possibile, che la famiglia ci sia oppure no.