Big Pharma, salute e finanza. di Adriano Cattaneo

Chi ci guadagna e chi ci perde dalla finanziarizzazione dell’industria farmaceutica.

Finanziarizzazione: processo di trasformazione di un’impresa, settore o sistema economico, in cui gli aspetti produttivi sono trascurati a favore di quelli finanziari. Da che esiste il capitalismo, esiste anche la finanziarizzazione. Se l’economia finanziaria, i financial assets (soldi, azioni, titoli, finanziamenti, mutui, derivati, futures, etc) e l’economia reale (miniere, fabbriche, terreni, agricoltura, allevamento, merci, immobili, commercio, servizi, etc) sono in equilibrio, ci sono vantaggi sia per il capitale che per la finanza. Non ci sono, ovviamente, vantaggi per la maggioranza dei cittadini, meno che meno per i poveri e gli sfruttati; la teoria del trickle down, secondo la quale i poveri trarrebbero benefici dalle briciole che cadono dalle tavole dei ricchi, è una balla colossale. Quando l’equilibrio tra economia finanziaria ed economia reale si rompe, generalmente a favore della prima, per esempio con l’eccessiva concessione di prestiti a carattere speculativo, succede il patatrac.

La crisi del 1929 ne è il classico esempio, con il lento e faticoso ritorno all’equilibrio promosso dalle teorie di Keynes e dai governi americani ed europei che le hanno applicate. L’equilibrio è tornato a rompersi, e stavolta, forse, in maniera definitiva, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. Per effetto dei governi Reagan e Thatcher? Per la spinta della finanza, che ha fatto eleggere Reagan e Thatcher e li ha fatti governare, con seguaci in tutto il mondo fino ai tempi nostri? Viene prima l’uovo o la gallina? Non so rispondere a questa domanda, e nemmeno a quelle precedenti. Fatto sta che la deregolamentazione dell’economia finanziaria l’ha fatta crescere a tassi molto superiori rispetto a quelli dell’economia reale, come mostra la Figura 1 che mette a confronto lo sviluppo del PIL globale con quello della ricchezza totale, composta in misura sempre maggiore dagli asset finanziari. Lo squilibrio è probabilmente molto maggiore, tenendo conto che parte, o gran parte, dell’economia finanziaria è nascosta nei forzieri di molte banche e dei paradisi fiscali.

L’industria farmaceutica fa parte dell’economia reale, ma è legittimo pensare che le sue attività siano influenzate dalla finanza. Ce ne dà conferma un recente articolo, la cui autrice documenta la finanziarizzazione dell’industria farmaceutica e le sue conseguenze.[1] Per farlo, prende in considerazione le 15 multinazionali farmaceutiche con il maggiore fatturato di farmaci (alcune producono e vendono anche altri prodotti chimici, sanitari e di igiene e bellezza): 8 statunitensi (Pfizer, Merck, Johnson & Johnson, AbbVie, Gilead, Amgen, Bristol-Myers-Squibb, Eli Lilly), 2 britanniche (Astra Zeneca, GlaxoSmithKline), 2 svizzere (Hoffman La Roche, Novartis), 1 francese (Sanofi), 1 israeliana (Teva) e 1 tedesca (Bayer). Multinazionali che nel 2017 controllavano circa la metà del mercato farmaceutico globale. Multinazionali che in maggioranza sono state fondate da individui o famiglie nella seconda metà del 19° secolo o all’inizio del 20°, ma che ora sono controllate dalla finanza, con l’eccezione di Eli Lilly, al 14° posto in graduatoria, nella quale la maggioranza delle azioni è ancora controllata dai discendenti del fondatore. Per le altre 14 multinazionali, la maggioranza delle azioni è in mano a fondi di investimento, ad agenzie per la gestione del risparmio e a fondi pensione. Questo passaggio di proprietà non è avvenuto quando le ditte sono state quotate in borsa, in generale all’inizio del 20° secolo, ma a partire dagli anni 50 in poi, con un’evidente accelerazione dopo il 1980.

Le agenzie finanziarie che controllano queste 15 multinazionali farmaceutiche (ma fanno lo stesso anche in altri settori) non nascondono le loro mire: vogliono che il valore delle azioni aumenti e che ci siano ogni anno dei dividendi. Se ciò non succede, sono pronte a trasferire i loro soldi su altre ditte, nello stesso o in altri settori. Ma la spinta ad aumentare il valore delle azioni e dei dividendi è anche interna; ormai tutti i dirigenti di queste (e altre) multinazionali sono pagati soprattutto (fino al 90%) in azioni. Agli interessi degli azionisti si aggiungono perciò quelli dei manager, in una specie di comunione di intenti. Da notare che nei paesi in cui le multinazionali hanno sede le azioni non sono tassate al momento dell’acquisizione e i dividendi sono tassati meno dei salari. Per aumentare il valore delle azioni e dei dividendi, le multinazionali cercano ovviamente di vendere di più e di aumentare entrate e margini di guadagno, ma ricorrono anche a trucchi legali in borsa, come ad esempio il riacquisto (buyback) delle azioni stesse. Il riacquisto di azioni, illegale prima del 1982, spinge verso l’alto il valore delle azioni per un tempo sufficiente a rivenderle traendone grandi profitti, con grande gioia di investitori e manager. Tra il 2006 e il 2015, Pfizer, Johnson & Johnson e Amgen hanno speso in riacquisto di azioni più del loro utile netto.

È interessante capire come la finanziarizzazione influenzi le politiche e i comportamenti di Big Pharma. L’autrice dell’articolo elenca 5 conseguenze della finanziarizzazione:

  1. Una tendenza a massimizzare il ritorno immediato o a breve termine rispetto agli investimenti con ritorno a medio o lungo termine.
  2. Una propensione ad alzare i prezzi dei prodotti per ottenere il massimo del profitto a breve termine. Gli esempi di Gilead[2] e Novartis[3] sono solo due dei numerosi casi che potrei citare.
  3. Le spese per marketing e pubblicità tendono a sovrastare quelle per ricerca e sviluppo. La quota di marketing orientato agli operatori sanitari supera di gran lunga quella della pubblicità diretta al pubblico, proibita in Europa per i farmaci prescrivibili, ma permessa negli USA.
  4. Una riduzione degli investimenti per la ricerca di nuovi farmaci. Quasi tutti i nuovi farmaci delle 15 multinazionali in esame negli ultimi 20 anni derivano da acquisizioni di piccole ditte che fanno ricerca, mentre i nuovi farmaci sviluppati in casa sono quasi tutti dei “me too”.
  5. Una spinta a ridurre spese per ricerca, produzione e fabbricazione, sempre più esternalizzate in paesi dove il lavoro costa meno e le regole sono più flessibili, sia per quanto riguarda i rapporti di lavoro, sia per i riflessi sull’ambiente. Che tutto ciò comporti un impoverimento di competenze e di lavoro nei paesi dove le multinazionali hanno sede è evidentemente un effetto secondario che esse ritengono accettabile. Salvo poi pentirsene quando, come durante l’epidemia di Covid-19, i rifornimenti di materie prime e altri materiali essenziali dipendono dalla buona volontà dei paesi che li producono, Cina in primis.

Infine, la finanziarizzazione tende ad accelerare le acquisizioni, soprattutto di ditte piccole e innovative, e le fusioni, con la conseguente creazione di monopoli o di oligopoli che si battono per dominare i mercati e che non esitano, per ottenere ciò che vogliono, a far pressione su politici e governi. Le multinazionali farmaceutiche finanziano candidati a elezioni, fondazioni di partiti, centri studi, pubblicazioni, programmi e progetti in settori anche non strettamente sanitari (scuola, ambiente). Questi finanziamenti permettono loro di aver accesso alle persone e alle istituzioni che decidono politiche e prezzi, quasi sempre in maniera lecita, ma senza disdegnare l’illecito ove necessario. Non sorprende che le legislazioni nazionali e sovranazionali siano loro favorevoli, come risulta chiaro dalle regole sui brevetti, e che le agenzie nazionali e sovranazionali del farmaco tendano a far loro dei favori in termini di approvazioni e prezzi. Come conclude l’autrice dell’articolo, “la finanziarizzazione può dare dei risultati positivi per le compagnie, inclusi manager e azionisti, ma le conseguenze per pazienti, impiegati e per la società nel suo complesso sono negative”.

Adriano Cattaneo, epidemiologo, Trieste

Bibliografia

  1. Busfield J. Documenting the financialisation of the pharmaceutical industry. Social Science Medicine 2020;258:113096.
  2. Maciocco G. Epatite C. Il profitto sopra tutto. Salute Internazionale, 05.09.2016
  3. Dentico S. La più Cara del Reame. Salute Internazionale, 14.10.2019

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