Abitudini, lavoro e clima nel post Covid-19. di Lewis Dartnell

Dalla riduzione del pendolarismo quotidiano alla trasformazione del nostro rapporto con il cibo, il Covid-19 sta già cambiando il nostro mondo – e per certi versi sembra destinato a migliorarlo.

Come la “Morte Nera” che si diffuse lungo le rotte commerciali che costeggiavano la colonna vertebrale dell’Eurasia del XIV secolo, il Covid-19 è partito dalla Cina e si è diffuso con estrema rapidità lungo le moderne rotte di volo intercontinentali.

Sebbene il coronavirus non abbia colpito la salute mondiale in modo così catastrofico come la peste bubbonica del XIV secolo, quest’ultima pandemia cambierà certamente il nostro mondo.

Un virus può essere “democratico” rispetto a chi infetta – ricchi o poveri – ma gli effetti che produce sono tutt’altro che equi tra i membri svantaggiati o privilegiati della società. Il lockdown a livello internazionale e l’effettiva sospensione dell’attività civica e commerciale in interi Paesi, ha fatto da specchio sul funzionamento dei nostri sistemi economici, sociali e politici e ha forzato l’inizio di una discorso globale su come questi dovrebbero modificarsi. Il Covid-19 ha rivelato le traballanti fondamenta su cui è costruito gran parte di ciò che diamo per scontato nel mondo sviluppato, dalla complessa natura delle catene e delle infrastrutture produttive globalizzate alle consegne just-in-time dei supermercati, così come i forti contrasti tra i sistemi sanitari nazionalizzati e quelli finanziati dalle assicurazioni private.

Le piaghe precedenti, come la peste nera o la pandemia di influenza del 1918, hanno prodotto enormi conseguenze per il mondo. Le conseguenze di questa pandemia di coronavirus porteranno anch’esse una miriade di cambiamenti, a livello di comportamenti del singolo, e della società intera. Ma quali di questi cambiamenti avranno un impatto duraturo e quali non perdureranno? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo osservare come abbiamo già iniziato ad attuare delle modifiche nelle nostre vite quotidiane.

Stili di vita

È probabile che tutti noi abbiamo vissuto l’imposizione del lockdown come uno shock nel nostro sistema di vita, perché ci faceva sentire soli o annoiati oppure ansiosi o soggetti alla distrazione continua a causa dei componenti della famiglia tutti sotto lo stesso tetto 24 ore su 24, o per tutte queste ragioni messe insieme. Come individui, abbiamo dovuto apportare dei cambiamenti – grandi e/o piccoli – alla nostra vita quotidiana.

Dall’altra parte, anche se fisicamente distanti, internet e i social media ci hanno permesso di entrare nelle case degli altri e di connetterci con loro. In questo senso le relazioni sociali per molti non sembrano aver sofferto. Il lockdown ci ha permesso inoltre di esplorare hobby e interessi che forse non avevamo mai avuto prima. Pur essendo enormemente dirompenti e dolorose, le crisi alimentano invariabilmente anche l’emergere di grandi obiettivi comuni, di solidarietà, di creatività e di sperimentazione di novità. E i social media hanno aperto piccole finestre per condividere e confrontarsi con gli altri rispetto ai diversi meccanismi di reazione alla crisi. La difficoltà nel reperire semplici prodotti di consumo, o l’impossibilità di andare a fare la spesa nei negozi, o forse solo il fatto che molti di noi hanno avuto più tempo a disposizione, hanno sviluppato doti di creatività e di intraprendenza che sono state ampiamente condivise online.

Questo cambiamento si è manifestato in modi diversi. Molti di noi ora si stanno prendendo molto più tempo per cucinare e dedicano più attenzione all’alimentazione. Si è riscoperto il piacere di cucinare anche per sé stessi, evitando cene take away di ritorno dall’ufficio, scegliendo con cura una ricetta, tritando e mescolando gli ingredienti, macinando le spezie – godendosi, insomma, il processo di preparazione di un pasto. A un livello ancora più complesso, altri hanno sperimentato la creazione e il mantenimento di una coltura di lievito naturale. Molte persone si sono cimentate nel ruolo del microbiologo primitivo selezionando la giusta combinazione di microrganismi in grado di effettuare una trasformazione miracolosa con nient’altro che farina base e acqua e trasformarla in una pagnotta lievitata nel forno. Altri hanno preso l’abitudine di dedicarsi all’orto dietro casa coltivando frutta e verdura, o semplicemente erbe aromatiche in una piccola scatola sul davanzale di una finestra urbana.

I genitori sono stati coinvolti in un gran numero di progetti artistici o artigianali o creativi durante il lockdown a casa con i propri figli. Tantissime persone hanno riscoperto attività e abitudini che si erano perse a causa della  frenetica vita moderna: realizzare cose esclusivamente per loro stesse, e rendersi conto di quanto ciò possa essere profondamente soddisfacente e appagante.

Una delle principali spinte verso questi cambiamenti personali e famigliari, è stata l’attivazione dello smartworking per molti lavoratori e per altri la sospensione temporanea dell’attività lavorativa per la chiusura degli esercizi e luoghi di lavoro (ad esempio i negozi e i ristoranti). Le persone che potrebbero continuare a beneficiare del tempo supplementare che hanno a casa saranno quelle il cui stile di vita lavorativo è cambiato in modo irreversibile. Questa situazione probabilmente favorirà gli impiegati rispetto ai lavoratori dell’industria dei servizi, il che significa che non tutti in futuro beneficieranno di questi cambiamenti in misura eguale.

Il luogo di lavoro

Anche se i lockdown sono stati gradualmente rimossi in quasi tutto il mondo, dovremo comunque mantenere il distanziamento fisico a breve e medio termine per controllare la diffusione del coronavirus. Potremmo essere sottoposti ai controlli della temperatura corporea all’ingresso degli uffici ed essere mandati a casa se abbiamo la febbre (anche se permangono sono dubbi sull’effettiva efficacia di tale tecnologia di screening). E i luoghi di lavoro che in precedenza utilizzavano l’hot-desking, ovvero l’assegnazione casuale delle postazioni lavorative, dovranno probabilmente riconsiderare la loro organizzazione. Uffici affollati con più persone che utilizzano lo stesso spazio per le scrivanie, potrebbero rappresentare dei focolai di trasmissione del virus. Molte aziende potrebbero anche dover scaglionare i turni di lavoro in modo che gli uffici e le fabbriche non diventino troppo affollati e i lavoratori possano mantenere la distanza in sicurezza. Queste scelte potrebbero portare a una riduzione del traffico nelle ore di punta, con la decrescita del pendolarismo da e verso il luogo di lavoro di moltissime persone che si spostano negli stessi orari.

D’altro canto, permanendo le misure di distanziamento sociale, è probabile che i trasporti pubblici come autobus, treni e metropolitane viaggino al 15% delle loro capacità. Se anche solo una piccola parte di questi pendolari che utilizzavano i mezzi pubblici dovrà ricorrere all’uso dell’auto, la congestione del traffico nella maggior parte delle grandi città peggiorerà  notevolmente. Diverse città hanno progettato percorsi per incoraggiare le persone a andare al lavoro a piedi o in bicicletta, e lo spazio stradale è stato modificato- almeno temporaneamente – aumentando le piste ciclabili e ampliando i marciapiedi. Anche gli scooter elettrici, attualmente vietati nelle strade del Regno Unito, potrebbero essere legalizzati. Tutto questo porterebbe notevoli benefici per l’ambiente, e spostamenti più ecologici avrebbero un impatto significativo anche sulla nostra salute.

La situazione che probabilmente vedremo continuare dopo la pandemia sarà quella di molti impiegati che continueranno a lavorare da casa. Le ricerche effettuate hanno dimostrato che un sistema di questo tipo ha funzionato durante il lockdown, e quest’evidenza costringerà molti dirigenti a non appellarsi più alle tradizionali argomentazioni contro le richiesea di permesso di lavorare da casa. Questa condizione potrebbe a sua volta portare a un cambiamento delle aspettative e della cultura del posto di lavoro, dove i dipendenti sono valutati in base al raggiungimento in termini di efficacia e efficienza degli obiettivi ad essi assegnati e non rispetto a quante ore stanno seduti dietro la loro scrivania in ufficio. E’ quindi probabile che il tempo lavorativo flessibile diventi molto più comune, ed è possibile che per molte persone si chiuda la stagione del tradizionale e consolidato orario d’ufficio 9.00-17.00. L’effetto a catena di questi cambiamenti sarebbe il calo del valore degli immobili nelle grandi città e l’aumento del numero di persone che decidono di trasferirsi al di fuori delle metropoli, in periferia o nelle zone rurali: un’inversione di tendenza rispetto all’inizio della Rivoluzione Industriale.

Ciò che potremmo vedere emergere a lungo termine è un approccio più dinamico al lavoro, che combina l’orario in ufficio dove necessario – per le riunioni di gruppo, ad esempio – con il lavoro a distanza per le attività che si possono svolgere singolarmente. Molte aziende potrebbero decidere di rinunciare completamente alle spese di affitto degli uffici e permettere a tutti i propri dipendenti di lavorare a distanza riunendosi poche volte all’anno. I lavoratori non saranno più vincolati a vivere vicini al luogo di lavoro, ma avranno la possibilità di scegliere l’abitazione che più corrisponde ai loro bisogni e desideri.

Il clima

Dietro la crisi sanitaria e le difficoltà economiche causate dalla pandemia di coronavirus si nasconde una crisi globale ancora più grande: il cambiamento climatico. La nostra esperienza di lockdown a livello mondiale potrebbe aiutare la causa ambientale, o torneremo semplicemente a fare “business as usual” il più rapidamente possibile? Molti abitanti delle città hanno notato un miglioramento del loro ambiente urbano – con l’aria più pulita e profumata, le strade più tranquille e sicure e una fauna selvatica più intraprendente – che ha offerto un assaggio di come potrebbe essere un mondo più sostenibile a livello ambientale.

Le indagini satellitari hanno rivelato un calo dei livelli atmosferici di biossido di azoto (un importante inquinante atmosferico rilasciato dalla combustione dei combustibili fossili) nelle città e nei centri industriali di tutta Europa e Asia, dovuto a una consistente riduzione del traffico stradale e una diminuzione dell’inquinamento industriale (in alcune regioni del 30-40% rispetto allo stesso periodo del 2019). Anche i livelli di particelle di fuliggine nell’aria – che, come il biossido di azoto, sono causa di malattie respiratorie – si sono notevolmente ridotti. Quindi, oltre a rallentare la trasmissione del coronavirus, il lockdown e la conseguente riduzione dell’inquinamento atmosferico hanno probabilmente salvato la vita di decine o centinaia di migliaia di persone.

È stato stimato che il rallentamento dell’economia mondiale causato dalla pandemia ridurrà le emissioni globali di CO2 per il 2020 dell’8%. Se vogliamo limitare il riscaldamento globale rimanendo al di sotto dei 1,5 gradi centigradi, come previsto dall’accordo di Parigi, dovremo continuare a ridurre le emissioni in questa percentuale, ogni anno, per i prossimi decenni.

I governi nazionali hanno adottato misure drastiche per bloccare le attività delle persone  e sospendere interi settori dell’economia al fine di controllare la diffusione della pandemia. Questi interventi hanno messo in evidenza il ruolo determinante dello Stato, che si mobilita in tempi rapidi quando si rende conto di dover agire con decisione per proteggere i suoi cittadini. Questo genere di sforzo collettivo nazionale si è visto abitualmente solo in tempo di guerra, quando l’intera forza lavoro e la base industriale viene rimodulata e riadattata con l’obiettivo di sconfiggere un nemico esterno. Ma, in realtà, di questi tempi ciò che serve per contrastare la minaccia posta sia dalla pandemia di coronavirus che dal cambiamento climatico, è una sorta di economia anti-guerra – che riduca la produzione industriale e il dispendio di energia. Per affrontare e gestire la pandemia di coronavirus e il cambiamento climatico c’è bisogno che i governi nazionali si impegnino in azioni decisive e proattive, coordinate a livello internazionale. Entrambe le questioni richiedono sacrifici da compiere nel breve termine per mitigare possibili conseguenze future molto più gravi. Il fattore economico non dovrebbe essere il focus dominante che guida la presa delle decisioni, ma un elemento cruciale, tra i tanti, da considerare.

Per la pandemia, è stato relativamente semplice convincere l’opinione pubblica dell’esistenza di un pericolo evidente e presente, e quindi fare accettare gli interventi necessari per la sicurezza personale, famigliare e collettiva. Per quanto concerne il problema del cambiamento climatico invece, il processo è più graduale, e c’è un legame meno evidente e diretto con la malattia e la morte delle persone.

E’ importante riflettere su ciò che la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato in termini di tutela del benessere personale, sociale e ambientale e non dimenticarci la lezione per il futuro che ci attende.

Autore: Professor Lewis Dartnell dell’Università di Westminster

Traduzione e adattamento in italiano di L. Darnell, The Covid-19 changes that could last long-term, BBC, 2020

 

fonte DORS

 

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