È stato osservato che quello che si è concluso … , dopo quattro giorni di estenuanti negoziati è stato il Consiglio europeo più lungo della storia di questi vertici dopo quello di Nizza del 2000. E certamente durante i quattro giorni di complesse trattative non sono mancati i contrasti, le contrapposizioni, le polemiche e gli scontri anche personali fra i leader europei. Ma, alla, fine il risultato raggiunto è straordinariamente importante e verosimilmente destinato a segnare in positivo un tornante nella storia dell’Unione europea. D’altra parte, trattandosi di dover approvare contestualmente il programma di aiuti comuni più ambizioso e articolato della storia dell’Unione europea insieme al Quadro finanziario pluriennale, il bilancio comune per il periodo 2021-2027, quattro giorni di intensi negoziati erano il minimo che ci si potesse attendere.
Innanzitutto va sottolineato che, malgrado le inevitabili tensioni fra schieramenti contrapposti di Paesi membri, l’accordo raggiunto dai capi di Stato e di governo dell’UE si discosta solo marginalmente dalla proposta fatta dalla Commissione il 27 maggio scorso. E che queste modifiche dell’impianto originario riguardano di fatto principalmente due aspetti della proposta che fin dall’inizio erano apparsi come più controversi e politicamente sensibili: la combinazione fra erogazioni a fondo perduto e prestiti, e la governance del processo di verifica e approvazione dei Piani Nazionali di Ricostruzione.
Non è questa la sede per esaminare nel dettaglio i singoli elementi dell’accordo. Ma vale la pena sottolineare che con l’approvazione del Next Generation EU – e quindi del Recovery Plan – la UE completa la gamma degli strumenti comuni messi in campo per contrastare gli effetti del Covid- 19. Con gli interventi della Banca centrale europea, la sospensione del Patto di Stabilità, l’allentamento delle regole in materia di aiuti di Stato, l’adozione di SURE – il meccanismo a sostegno dell’impiego -, della nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità, e della nuova facility della Banca europea per gli investimenti, la UE si era dotata degli strumenti destinati ad assistere gli Stati membri nella fase emergenziale della crisi, con misure comuni destinate ad accompagnare gli interventi nazionali. Ora, con il Recovery Plan e il Next Generation EU, la UE si propone di assistere i Paesi membri nella fase post-emergenziale della ricostruzione e della ripresa.
Con questo accordo la Commissione potrà mobilitare fino a 750 miliardi di euro (390 di erogazioni a dono e 360 di prestiti), attraverso vari strumenti (alcuni nuovi come la Recovery and Resilience Facility), altri già previsti ma rafforzati nella dotazione finanziaria. La mobilitazione di queste ingenti risorse – che pure mantiene un carattere temporaneo ed emergenziale – sarà direttamente collegata al bilancio settennale della UE, assicurando così la coerenza dei nuovi strumenti comuni con quelli già esistenti. Il Quadro Finanziario Pluriennale (la programmazione del bilancio della UE per gli anni 2021-2027) prevede a sua volta un tetto complessivo di spesa pari a 1.074 miliardi di euro, una cifra significativa anche se inferiore rispetto alla proposta originaria della Commissione. Le erogazioni degli aiuti saranno condizionate alla adozione di Piani Nazionali di Ricostruzione, che a loro volta dovranno essere coerenti con le Raccomandazioni specifiche di politica economica ai singoli Paesi beneficiari nel quadro del Semestre europeo.
La coerenza di questi Piani Nazionali sarà verificata dalla Commissione, e dal Consiglio che potrà votare a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, salva la possibilità per uno o più Stati membri di evocare la questione di fronte al Consiglio Europeo.
Quanto ai contenuti dell’accordo, e al di là dei contrasti che hanno caratterizzato le dinamiche negoziali in seno al Consiglio europeo, vale la pena sottolineare che fin dall’inizio si era potuto registrare un consenso su due punti qualificanti, ma tutt’altro che scontati, della proposta della Commissione: l’autorizzazione della Commissione a finanziare il programma con l’emissione di titoli di debito comuni garantiti dal bilancio della UE (non esattamente degli “eurobond”, ma
comunque uno strumento innovativo e solidale); e l’accettazione di un criterio asimmetrico e ugualmente innovativo di distribuzione degli aiuti, che avrebbe privilegiato proporzionalmente i Paesi più colpiti dagli effetti della pandemia.
Certo, se l’accordo nel suo complesso va giudicato positivamente ci sono aspetti, apparentemente di dettaglio, su cui si sono dovute fare concessioni ai Paesi fugali e ai Paesi dell’Europa centro-orientale. Per recuperare risorse per i vari strumenti del pacchetto Recovery sono state significativamente ridotte ad esempio le dotazioni finanziarie di importanti programmi comuni: dal nuovo Programma quadro per la ricerca Horizon Europe, al programma Invest-EU, sino al Fondo Europeo per la Difesa (che ha visto quasi dimezzate le sue risorse). Si è dovuto di fatto rinunciare al programma speciale Health EU, proposto dalla Commissione per finanziarie un piano di sostegno ai servizi sanitari nazionali. Per ottenere l’accordo dei cosiddetti frugali si è dovuto riconoscere il diritto ai “rebates” a cinque Paesi contribuenti netti al bilancio della UE (che la Commissione aveva in origine proposto di eliminare). Si è di fatto dovuto rinunciare (per le resistenze di Ungheria e Polonia) alla condizionalità collegata al rispetto dello stato di diritto, che pure costituiva uno degli aspetti qualificanti della originaria proposta della Commissione. Ed infine va tenuto presente che la decisione sull’aumento del tetto delle risorse proprie dovrà essere adottata separatamente; e soprattutto resta subordinata all’approvazione dei Parlamenti nazionali (con le incertezze del caso).
Malgrado questi limiti va comunque riconosciuto che l’accordo ha una portata di rilievo assolutamente inedito.
L’accordo è stato reso possibile soprattutto dalla ritrovata intesa franco-tedesca, ma in particolare dal coraggio e dalla determinazione della Cancelliera tedesca. Angela Merkel infatti, questa volta, ha scommesso senza indugi sull’Europa e sull’interesse della Germania a sostenere i Paesi più colpiti dalla pandemia quale condizione irrinunciabile per sostenere l’economia dell’intero continente e la tenuta del mercato interno europeo. Grazie anche alle lezioni della crisi economica e
finanziaria iniziata nel 2008-2009, Merkel in questa occasione ha proposto e sostenuto nel giro di poche settimane un piano europeo di grande lungimiranza e visione politica; ha fatto da sponda ad un Macron fino a qualche tempo prima sostanzialmente isolato; non ha esitato a schierarsi dalla parte dei Paesi dell’Europa meridionale (in particolare di Italia e Spagna) più colpiti dalla crisi; e non ha avuto dubbi nel contrapporsi al gruppo dei frugali (di cui in passato era stata la capofila).
La Commissione, dal canto suo, ha fatto egregiamente la sua parte, recuperando quel ruolo di iniziativa che aveva in parte perduto in occasione della crisi economica e finanziaria, e proponendo un piano di interventi innovativo e di dimensioni senza precedenti. Ma ha potuto presentare un programma così ambizioso e articolato solo perché sapeva di poter contare sul sostegno di Angela Merkel e del governo tedesco. Francia. Italia e Spagna hanno fatto correttamente la loro parte contribuendo al raggiungimento dell’intesa e al contenimento dell’offensiva dei frugali. Questi ultimi hanno cercato fino all’ultimo di limitare la portata dell’accordo, salvo alla fine accettare il compromesso in cambio di un maggiore controllo sulla qualità dei Piani nazionali di Ricostruzione.
Per l’Italia l’accordo può essere considerato a giusto titolo un successo rilevante. E il presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’ha correttamente rilevato nei suoi commenti sull’esito del Vertice. Basta pensare che, in quanto maggiore beneficiario del pacchetto di aiuti grazie a criteri di distribuzione che privilegiano i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, l’Italia potrebbe ricevere nei prossimi anni fino a 209 miliardi di euro, in parte come prestiti e in parte come trasferimenti.
Ma, come è stato ribadito da più parti, questi aiuti non saranno a fondo perduto. Saranno bensì erogati a fronte di un Piano Nazionale che dovrà identificare non solo le grandi priorità, ma anche i singoli programmi e progetti; che dovrà essere monitorato e verificato anche nei dettagli; e che costituirà il banco di prova della credibilità del governo e del Paese. In altre parole, l’Italia dovrà essere consapevole che le condizioni ci saranno e saranno rigorose, e che il Paese nei prossimi anni sarà in qualche modo una sorta di “osservato speciale” per come sarà capace di spendere le risorse del Recovery Plan.
Ferdinando Nelli Feroci, già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea e commissario europeo, è presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).
fonte: EURACTIV.IT