Che cosa abbiamo imparato dalla epidemia del coronavirus? di Nicola Giannelli

La pandemia è indubbiamente un evento forte e duraturo. Una sua eventuale recrudescenza potrebbe radicare paure che al momento sembrano superate. Per sapere davvero quale apprendimento ne deriverà bisognerà aspettare che il tempo ci mostri quali cambiamenti nel comportamento si sono consolidati e quali invece hanno avuto breve durata.

Le routines sono di solito la vetrina più visibile di un apprendimento. Si pensi, ad esempio, a come sono cambiati in tutto il mondo i protocolli di sicurezza dopo l’11 settembre 2001. Col passare del tempo emergono apprendimenti spesso inattesi mentre altri declinano o si trasformano. L’elenco che segue è dunque del tutto ipotetico e serve solo come riflessione aperta.

Apprendimento 1: Il sistema sanitario è un’assicurazione collettiva e non possiamo permetterci di non averla.

È cambiato il modo con il quale guardiamo al Sistema Sanitario Nazionale. In passato vi sono esempi di istituzioni nate per la protezione della salute collettiva, come la quarantena adottata dalla Repubblica di Venezia per scongiurare le pestilenze e di norme igieniche per la salute pubblica. Ma i sistemi sanitari odierni sono nati come condivisione dell’assicurazione dai rischi sanitari di categorie di lavoratori e dei loro familiari. Laddove questa assicurazione è stata affidata al mercato, questo ha fallito nei confronti proprio della popolazione più esposta a rischio. Negli 1963, negli USA, quando Johnson introdusse l’assicurazione pubblica Medicare, metà della popolazione anziana non aveva copertura. Il Sistema sanitario nazionale era invece nato nel secondo dopoguerra in Gran Bretagna come passaggio da un principio assicurativo individuale a principio di cittadinanza sociale. È come diritto si è radicato nei paesi europei. I costi della garanzia di questo diritto sono però stati però oggetto di preoccupazione per il presente e per il futuro. La novità della Pandemia è che questi costi non devono più essere messi nel conto delle tutele individuali o dei diritti sociali, ma anche in quelli che garantiscono il funzionamento del sistema economico complessivo. Il sistema sanitario è una infrastruttura economica come la scuola, le strade, le ferrovie. Il lockdown è stato avviato per salvaguardare il sistema sanitario prima ancora che le vite delle persone a rischio. È stato subito evidente che senza un sistema sanitario efficace tutto il sistema di organizzazione economica e sociale sarebbe stato travolto. In questa percezione ha probabilmente avuto un ruolo una sensibilità per i rischi di salute e di morte dei cittadini che nel passato e fino al tempo recente delle guerre mondiali non era mai stata così elevata. I governi democratici che hanno provato a evitare o ritardare il lockdown per ragioni economiche sono incappati proprio nella impossibilità di imporre al loro paese una strada che mettesse l’economia davanti alla salute.

Apprendimento 2: Se la minaccia non è percepita come concreta e devastante, la sola conoscenza non genera apprendimento

Avevamo sperimentato in passato eventi straordinari, come incidenti, terremoti o alluvioni, di fronte ai quali i pronto soccorso ospedalieri si sono trovati in gravi difficoltà. Perciò nel 1996 furono emanate linee guida che obbligavano i presidi sanitari ai predisporre Piani di emergenza per massiccio afflusso di feriti (P.E.MA.F.). Gli ospedali nel 2020 ne erano dotati ma si sono rivelati assolutamente inadeguati di fronte a questa nuova emergenza. Si trattava di una emergenza non sperimentata dal sistema ma non per questo imprevista. Che la pandemia fosse un rischio grave lo si sapeva già prima della oggi famosa Ted Conference del 2015 nella quale Bill Gates spiegava che l’esperienza di Ebola e della Sars ci avevano insegnato che se si fossero verificate le condizioni che poi si sono verificate, avremmo avuto una pandemia mondiale. Infatti, già nel 2005 l’Organizzazione mondiale della sanità aveva avvertito i paesi membri di questo rischio e nel 2006 il governo italiano ha approvato un Piano pandemico nazionale nel quale si legge: «Una pandemia influenzale costituisce una minaccia per la sicurezza dello Stato: il coordinamento condiviso fra Stato e Regioni e la gestione coordinata costituiscono garanzia di armonizzazione delle misure con quelle che, raccomandate dall’OMS, verranno intraprese da altri Paesi» 1 . Le regioni hanno ricevuto il piano e ne hanno adottato uno proprio complementare. Ad esempio la Regione Lombardia lo ha fatto approvando il Piano pandemico regionale il 2 ottobre del 2006 e ha poi nominato una commissione di esperti per aggiornarlo nel 2009, cosa che è stata fatta l’anno successivo. Quindi l’emergenza era prevista, ma questo non è bastato a fare sì che si generasse apprendimento. Ci consola forse aver visto che pochi altri paesi avevano davvero preso sul serio questo rischio e tra i meno attenti c’era proprio il paese di cui è cittadino lo stesso Bill Gates. In mancanza di un pericolo avvertito come cogente e imminente, gli avvertimenti che la natura ci aveva dato (Ebola e Sars 1) non era stati percepiti come abbastanza dirompenti. La percezione dei cittadinielettori sicuramente influenza le priorità dei dirigenti politici. Ma in altre situazioni sono stati i leader politici ad alimentare la percezione di pericolo della popolazione per minacce molto meno gravi al fine di ricavarne consenso. Incidentalmente faccio notare che esattamente lo stesso sta avvenendo con il riscaldamento climatico mondiale, benché singoli episodi questa altra emergenza siano già visibili.

Apprendimento 3: La difficoltà di focalizzare l’attenzione sui rischi prioritari

Il lockdown totale della città di Wuhan è stato il 23 gennaio 2020. La notizia ha fatto il giro del mondo. Appena il giorno prima l’Emergency Committee del Organizzazione mondiale della sanità aveva concluso che l’epidemia ancora non costituiva un Public Health Emergency of International Concern (Pheic). In quegli stessi giorni usciva però un articolo di uno scienziato cinese2 che stimava con un valore molto alto il tasso di infettività (RO 2,24-3,58). Il 30 gennaio l’Oms dichiarava il suddetto Pheic ma non raccomandava la sospensione dei collegamenti aerei ed anzi affermava che i pazienti asintomatici, pur esistenti, non costituivano una via rilevante di diffusione. … LEGGI TUTTO L’ARTICOLO SU RPS

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