Pezzo a pezzo la Corte Costituzionale smonta i decreti sicurezza. di Maurizio Ambrosini

Con la decisione sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo la Corte costituzionale ha cancellato un’altra parte dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Tocca ora al governo ripristinare uno stato di diritto consapevole dei suoi obblighi umanitari.

Riaffermati principi fondamentali

Il pronunciamento della Corte costituzionale, ai primi di luglio, sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo ha smantellato un altro pezzo dei decreti sicurezza di Matteo Salvini, dopo i super-poteri ai prefetti cassati un anno fa. Con parole nette, la Consulta ha definito la norma “irragionevole”, per i suoi effetti discriminatori, e viziata da “irrazionalità intrinseca”, giacché contrasta con la finalità di protezione della sicurezza del territorio.

Il pronunciamento è arrivato mentre il governo Conte 2 è impegnato in complessi negoziati sulla revisione delle controverse misure anti-rifugiati, affidati alla ministra degli Interni, Luciana Lamorgese, ai gruppi di lavoro e ai tecnici del Viminale.

I vertici del Movimento 5 stelle resistono, puntano al rinvio, rilanciano l’argomento già molte volte sentito del “benaltrismo”: le priorità degli italiani in questo momento sono altre, gli italiani non capirebbero. Da un anno ricorrono al medesimo ritornello, prima, durante e dopo la crisi del Covid-19. I rifugiati non sono mai una priorità, tranne quando vengono dipinti come una minaccia.

Il Pd vorrebbe la riforma, ma non sembra battersi con grande convinzione. Del resto, ha appena condiviso i nuovi finanziamenti alla cosiddetta Guardia costiera libica, opportunamente annacquati nel complesso degli stanziamenti per le missioni militari all’estero. Né può passare sotto silenzio la lunga attesa di un porto di sbarco per la Ocean Viking: una vicenda che sotto un governo di altro colore avrebbe sollevato veementi proteste.

La sentenza della Corte costituzionale fissa almeno due punti, che potrebbero dare slancio ai sostenitori di una profonda revisione dei decreti di Salvini. Anzitutto, ha confermato che quei testi violano principi inderogabili del nostro sistema normativo. Chi li criticava non era un pasdaran dell’accoglienza a ogni costo, ma aveva a cuore i valori fondamentali del nostro ordinamento. C’è da scommettere che in assenza di interventi legislativi, la Consulta continuerà l’opera di demolizione di pezzi sostanziali dell’architettura pseudo-securitaria concepita dal leader leghista.

In secondo luogo, la sentenza conferma l’importanza di un sistema giudiziario autorevole e indipendente, per garantire l’equilibrio dei poteri indispensabile per una democrazia autentica. Un aspetto, questo, sempre inviso ai nazional-populismi, che vorrebbero trarre dall’investitura popolare i “pieni poteri” di manomettere a loro piacimento le leggi vigenti. Anche in questo caso, non si tratta quindi di difendere i rifugiati, ma di riaffermare i valori più fondamentali, essenziali per la buona salute del nostro sistema democratico.

Quattro priorità per la riforma

Quanto alla riforma dei decreti sicurezza, credo che l’attenzione vada concentrata su quattro capitoli prioritari. Il primo riguarda la reintroduzione di qualche forma di protezione, umanitaria o speciale che dir si voglia, per rispondere in modo flessibile a casi che potrebbero non rientrare nei rigidi criteri delle normative sui rifugiati, ma che meritano comunque tutela per l’effettiva integrazione avvenuta o per la sorte a cui sarebbero esposte le persone se private di un titolo di soggiorno.

Il secondo capitolo si riferisce alla fine della criminalizzazione delle organizzazioni non governative che salvano i migranti in mare, stabilendo semmai nuovi accordi con i partner europei sull’accoglienza, mediante quei negoziati che Salvini ha sempre eluso.

In terzo luogo, occorre ripensare le modalità di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo, puntando più decisamente (e in modo vincolante) sulla collaborazione tra enti locali, solidarietà organizzata, attori sociali ed economici dei territori. Infine, va cancellato il raddoppio da due a quattro anni del tempo necessario per l’esame delle richieste di accesso alla cittadinanza, che finisce per portare il tempo di attesa a 14 anni almeno, come giustamente richiedono le associazioni che rappresentano i giovani di origine immigrata.

Va ricordato che era stato il Presidente della Repubblica, contestualmente alla promulgazione della legge di conversione del secondo decreto sicurezza, a chiedere un intervento correttivo in almeno due direzioni: ridurre le sanzioni per violazioni di acque territoriali, aumentate in maniera sproporzionata fino a 1 milione di euro e non legate a valutazioni sulla ragione della condotta o su altri fattori, e reintrodurre la non punibilità in caso di tenuità dei casi di oltraggio a pubblico ufficiale (che riguardano non solo le forze dell’ordine, ma anche funzionari pubblici quali insegnanti o dirigenti di uffici postali). Finora, tali correzioni non sono avvenute.

I casi di contagio di alcuni richiedenti asilo sbarcati nelle ultime settimane non aiutano a procedere nella riforma, ma problemi veri, presunti o enfatizzati se ne troveranno sempre. È ora per il governo di decidere se vuole davvero marcare una discontinuità con l’esperienza precedente, nel senso del ripristino di uno stato di diritto consapevole dei suoi obblighi umanitari.

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