Non ho ricordi di un’estate più strana di questa, salvo una: quella del 1944, nel pieno della Seconda guerra mondiale. Eravamo sfollati in campagna nell’Appenino ligure-piemontese, vedevamo spesso passare nel cielo di luglio squadre di aerei inglesi e americani. Lanciavano quella che, a chilometri di distanza, sembrava una pioggia di coriandoli scintillanti nel sole, erano bombe e, pochi secondi dopo, arrivavano i rimbombi delle esplosioni: colpivano soprattutto Genova e l’8 Luglio Novi Ligure (quasi 150 morti civili, adulti e bambini, su circa 20.000 abitanti). Aspettavamo la fine della guerra: sarebbe finita, ma quando?
Malgrado l’epidemia, le circostanze sono oggi molto diverse e incomparabilmente migliori, almeno in Italia (non in Siria o Libia o per larghe altre parti della popolazione mondiale). Ma la prima domanda a cui non sappiamo rispondere suona simile: quando finirà?
IMMAGINE da meteo.it
Questa estate è strana perché è anzitutto una stagione in “tempo sospeso”. L’epidemia è sotto controllo, ma galoppa in India come in molti Paesi americani, e si moltiplicano cenni di ripresa in Europa, dove il limite di confidenza superiore del numero riproduttivo R(t) è quasi in tutti i Paesi superiore a 1; spesso lo è anche la stima puntuale, con cluster di casi e nette elevazioni regionali, come in Bretagna (R(t) di 2,5). Vuol dire che si avvicina la seconda ondata? Se è impossibile prevederlo, è possibile avere chiare almeno due considerazioni, indispensabili per interpretare dove ora siamo e gli eventi che verranno.
Primo: l’attuale punto di equilibrio
Il numero di nuovi casi è stato ridotto in Italia attraverso la fase di lockdown a circa 200 casi giornalieri con oscillazioni contenute entro i 300: il lockdown è stato passo a passo rilasciato a partire da maggio e i casi si mantengono a questo livello non per miracolo o perché il virus si è ammansito, ma grazie a due fattori di controllo entrambi congiuntamente necessari:
1. le misure di contenimento come attualmente in atto, consistenti nei gesti barriera (distanziamento fisico regolare, maschere, utilizzo di fazzoletti monouso), nella restrizione di eventi potenzialmente super-diffusori (riunioni con agglutinazione di molte persone in spazi limitati) e nel controllo delle condizioni dei viaggi e dei viaggiatori;
2. esteso uso dei test RT-PCR per la presenza del virus, identificazione e isolamento dei nuovi casi positivi e dei loro contatti rapidamente rintracciati. Inconsciamente, ciascuno di noi spera in modo confuso che la marcia di allentamento del lockdown prosegua inarrestabile fino al ritorno alla normalità di fine 2019, ma questa non è la realtà in cui ci troviamo. Come ha detto il 10 luglio il dottor Tedros, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, ripetendolo due volte:1 «Non ci sarà per il futuro prossimo un ritorno alla normalità precedente». La semplice ragione è che, per mantenere la situazione sanitaria all’attuale punto di equilibrio tra spinta di propagazione dell’epidemia e spinta contraria delle misure di controllo, è necessario mantenere queste ultime al livello di oggi, senza ulteriori rilasciamenti sostanziali, e per una durata oggi imprecisabile (tenendo l’occhio all’orizzonte del vaccino). Recentemente, si è sentito ripetere «mai più lockdown»: questo è un obiettivo essenziale dal punto di vista sociale ed economico, ma non piove dal cielo, può essere ottenuto solo col mantenimento rigoroso delle misure di controllo. Riprendo quanto scrivevo tre mesi fa sotto il titolo “Partecipazione”:2 «I provvedimenti della fase 2, che sarà lunga, saranno come i tasselli di un’opera di intaglio forniti dalla partecipazione attiva di ciascun cittadino. Mantenere a lungo distanziamenti selettivi nei luoghi di lavoro, di viaggio, di riposo e svago; rinunciare a gesti abituali di cortesia, amicizia, affetto; utilizzare per ore ogni giorno strumenti innaturali come le maschere protettrici eccetera, richiede una motivazione che può essere sostenuta solo se è vissuta da ciascuno di noi come parte di un impegno condiviso. Tra le condizioni perché questa condivisione possa svilupparsi e mantenersi, è vitale da parte dei responsabili della sanità e dei ricercatori a ogni livello un impegno di comunicazione ai cittadini sull’evoluzione dell’epidemia e i progressi nei mezzi di controllo che non può esaurirsi in interventi estemporanei, ma richiede forme organizzate». La situazione epidemica attuale che non dipende da lockdown né selettivi (smart lockdown) né generalizzati dipende, invece, strettamente dall’impegno civile di ciascuno di noi e ne è la misura.
Secondo: l’attuale “gravità” della malattia
Il termine “gravità’’, se usato alla Trump, in modo generico, confonde tre elementi che è importante distinguere. Consideriamo diverse situazioni idealizzate:
a. con una disponibilità limitata di test RT-PCR si testano solo soggetti ben definiti come sintomatici e, nel corso di una settimana, si trova una media di 10 positività x100.000 persone al giorno;
b. se avessimo potuto aumentare il numero dei test, avremmo scoperto che in realtà ci sono tra le persone asintomatiche altre 10 positività;
c. se, infine, avessimo avuto disponibili test “senza limiti”, avremmo scoperto che in realtà le positività nella popolazione asintomatica non sono 10, ma 30.
Con un’osservazione completa (situazione c), constatiamo che la gravità dell’infezione (non della malattia), espressione della probabilità di transizione dall’infezione alla malattia sintomatica, è di una persona infetta sintomatica su quattro persone infette e non di una su due come risulterebbe dall’osservazione incompleta della situazione b (nella a è indeterminabile). Constatiamo anche che la velocità di circolazione del virus non è di 10 o 20 nuovi casi x100.000 al giorno, come stimabile dalle osservazioni incomplete delle situazioni a e b, ma di 40. Quindi, test in numero sufficiente per un’osservazione completa ci permettono di vedere che in realtà la gravità dell’infezione è minore di quanto appare facendo meno test, ma anche, fatto più rilevante, che è maggiore la velocità di circolazione del virus, determinante primario della dinamica dell’epidemia, cioè di quante persone infette, e proporzionalmente quante sintomatiche, si svilupperanno nelle settimane successive all’osservazione iniziale. Oltre alla gravità dell’infezione e alla velocità di circolazione del virus, cosa si può dire del terzo e cruciale elemento, la gravità della malattia in senso proprio e stretto? Il 4 luglio un articolo3 del New York Times, intitolato “The Pandemic’s big mystery“, faceva notare quanto mal definita sia tuttora, malgrado i milioni di casi, la letalità di Covid-19. Lo stimatore di letalità più frequentemente usato è il case fatality ratio (CFR): nella sua forma grezza, non specifica per genere e per età, in cui viene largamente riportato varia di uno o due ordini di grandezza tra Paesi, da meno dell’1 x1.000 di Singapore a circa il 2% della Nuova Zelanda e a circa il 14% di Italia e Gran Bretagna.4 Si tratta di uno stimatore che non è né un tasso né un rischio ed è inadeguato a descrivere accuratamente l’andamento della letalità nelle coorti di pazienti. Quello che ancora sorprendentemente manca, a parte qualche eccezione, è un insieme di analisi di sopravvivenza di queste coorti, ovviamente distinte per centro e stratificate per età, genere, indicatori di gravità all’ingresso e con il decesso come endpoint principale, ma non unico. In particolare, tenuto conto dell’ipotesi che la letalità possa essere cambiata in diminuzione, nel corso del tempo fanno seriamente difetto – e divengono pressanti priorità di ricerca – le analisi sulle coorti di pazienti reclutati in periodi successivi, come febbraio-marzo, aprile, maggio.
Questa nota, terminata il 22 luglio, sarà pubblicata sul numero speciale di E&P dedicato a Covid-19 quando la strana estate e il tempo sospeso saranno finiti: analisi di sopravvivenza saranno allora – spero – disponibili e non ci sarà stato bisogno – lo spero ancora di più – di ricorrere ad alcuno smart lockdown.
BIBLIOGRAFIA
- World Health Organization. Coronavirus disease (COVID-19) pandemic. WHO-Press Conference 10.07.2020. Disponibile all’indirizzo: https://who.int (ultima consultazione: 22.07.2010).
- Saracci R. Fase 2: Pedro, adelante con juicio. Scienza in Rete, 28.04.2020.
- McNeil DG jr. The Pandemic’s big mystery: how deadly is the coronavirus?. The New York Times 04.07.2020. Disponibile all’indirizzo: https://nyti.ms/2ZBdjfc (ultima consultazione: 22.07.2010).
- World Health Organization. Coronavirus disease (COVID-2019) situation reports. Situation report No.162, 30.06.2020. Disponibile all’indirizzo: https://who.int (ultima consultazione: 22.07.2010).
Rodolfo Saracci già Presidente, International Epidemiological Association