Il Distretto socio sanitario, necessario oggi più di prima. di Gavino Maciocco

Oggi più che mai c’è bisogno di Distretto, per le molteplici funzioni che il territorio è chiamato a svolgere e che troppo a lungo sono rimaste insoddisfatte, con enorme danno per la salute della popolazione.

In un recente intervento dedicato a “una grande riforma del nostro Servizio Sanitario Nazionale da avviare rapidamente”, Filippo Anelli, presidente delle Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri (FNOMCeO), è stato perentorio:   “molti aspetti della riforma Bindi del 1999  hanno esaurito la loro forza riformatrice; riproporre quelle soluzioni, come i distretti, oggi significa essere inutilmente conservatori.

Il Distretto nella riforma Bindi (D. Lgs 299/99)

Il Decreto legislativo 299/99 dedica ampio spazio al Distretto, più precisamente 3 articoli (art. 3 -quater, -quinques e -sexies), di cui riportiamo quasi integralmente i contenuti:

Le regioni disciplinano l’organizzazione del Distretto in modo da garantire:
a) l’assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale, attraverso il necessario coordinamento e l’approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi specialistici ambulatoriali;
b) il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture operative a gestione diretta, organizzate in base al modello dipartimentale, nonché con i servizi specialistici ambulatoriali e le strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate;
c) l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria se delegate dai comuni.

Il Distretto garantisce:
a) assistenza specialistica ambulatoriale;
b) attività o servizi per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze;
c) attività o servizi consultoriali per la tutela della salute dell’infanzia, della donna e della famiglia;
d) attività o servizi rivolti a disabili ed anziani;
e) attività o servizi di assistenza domiciliare integrata;
f) attività o servizi per le patologie da HIV e per le patologie in fase terminale.

Trovano inoltre collocazione funzionale nel Distretto le articolazioni organizzative del dipartimento di salute mentale e del dipartimento di prevenzione, con particolare riferimento ai servizi alla persona.

Il direttore del Distretto realizza le indicazioni della direzione aziendale, gestisce le risorse assegnate al Distretto, in modo da garantire l’accesso della popolazione alle strutture e ai servizi, l’integrazione tra i servizi e la continuità assistenziale. Il direttore del Distretto supporta la direzione generale nei rapporti con i sindaci del Distretto. Il direttore di Distretto si avvale di un ufficio di coordinamento delle attività distrettuali, composto da rappresentanti delle figure professionali operanti nei servizi distrettuali. Sono membri di diritto di tale ufficio un rappresentante dei medici di medicina generale, uno dei pediatri di libera scelta ed uno degli specialisti ambulatoriali convenzionati operanti nel Distretto. (NB: Può accedere alla carica di direttore di Distretto anche un medico convenzionato con almeno 10 anni di anzianità di servizio).

Il Programma delle attività territoriali, basato sul principio della intersettorialità degli interventi cui concorrono le diverse strutture operative: a) determina le risorse per l’integrazione socio-sanitaria e le quote rispettivamente a carico dell’unità sanitaria locale e dei comuni, nonché la localizzazione dei presidi per il territorio di competenza; b) è proposto, sulla base delle risorse assegnate e previo parere del Comitato dei sindaci di Distretto, dal direttore di Distretto ed è approvato dal direttore generale, d’intesa, limitatamente alle attività sociosanitarie, con il Comitato medesimo e tenuto conto delle priorità stabilite a livello regionale.

Il Comitato dei sindaci di Distretto, la cui organizzazione e il cui funzionamento sono disciplinati dalla regione, concorre alla verifica del raggiungimento dei risultati di salute definiti dal Programma delle attività territoriali. Nei comuni la cui ampiezza territoriale coincide con quella dell’unità sanitaria locale o la supera il Comitato dei sindaci di Distretto è sostituito dal Comitato dei presidenti di circoscrizione.

È la prima volta che una legge nazionale stabilisce le regole del Distretto fornendo all’assistenza primaria una precisa identità e un nuovo ruolo all’interno del Servizio sanitario nazionale (SSN): definizione dei livelli di responsabilità con il coinvolgimento dei medici di famiglia, certezza delle risorse nell’ambito del programma delle attività territoriali e ripresa del ruolo dei Sindaci, forte spinta all’integrazione socio-sanitaria. È il rilancio dell’organizzazione distrettuale, dopo che la prima legge di riordino, la 502 del 1992 che segnò l’avvio dell’aziendalizzazione, l’aveva deliberatamente ignorata, concentrando tutte le attenzioni sugli ospedali. 

Abolire il Distretto? Già fatto.  

Ma poco tempo dopo con la modifica del Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), le leggi nazionali di organizzazione del SSN perdono forza, rientrando tale tema nella competenza esclusiva delle Regioni. È la Lombardia la Regione che maggiormente utilizza tale ampio spazio di autonomia, dapprima trasformando tutti gli ospedali in Aziende ospedaliere, poi cancellando dalla mappa dei servizi sanitari regionali il Distretto (molto prima che ciò venisse invocato dal presidente della FNOMCeO….). Esternalizzati al privato tutti i servizi di cure primarie, chiusi i presidi distrettuali, trasferite all’ospedale le attività specialistiche territoriali (inclusa la psichiatria), ridotta ai minimi termini la prevenzione, il Distretto viene ridotto a un ufficio amministrativo dedito al pagamento delle prestazioni erogate dai provider privati. Medici di medicina generale e pediatri di libera scelta sono sopravvissuti soltanto in virtù dell’esistenza di un contratto nazionale, che non poteva essere toccato dalle Regioni.

Non è facile trovare nella storia della medicina scelte di politica sanitaria – quali quelle adottate pervicacemente dalla Regione Lombardia – che abbiano avuto effetti così catastrofici sulla salute della popolazione.  Ci voleva un evento eccezionale, una pandemia appunto, per rivelarne in tempi brevissimi tutta la sua magnitudo.”  La pandemia ha infatti messo a nudo le profonde carenze del sistema sanitario lombardo – ricco di eccellenze ospedaliere, ma privo di un’organizzazione distrettuale strutturata – provocando livelli di mortalità (e di abbandono di persone a domicilio) tra i più alti al mondo. Una situazione così acuta e grave da spingere un vasto numero di medici di famiglia lombardi a reclamare il ripristino dell’organizzazione distrettuale a partire dalla “rete dei Presidi Sociosanitari Territoriali, diversificati in funzione delle caratteristiche locali, previo investimento nella medicina di comunità (medicina preventiva, igiene pubblica, coordinatori distrettuali, infermieri e case manager, integrazione sociosanitaria etc..)”.[1]

Dopo quello che è successo in Lombardia (e non solo in Lombardia), negare la necessità di un’organizzazione strutturata dei servizi territoriali, come fa il presidente della Fnomceo, appare semplicemente surreale. Surreale ma coerente con l’esperienza di sindacalista Fimmg del presidente Anelli. Infatti i sindacati dei medici di medicina generale (MMG) sono stati da sempre ostili a un’organizzazione strutturata dei servizi territoriali, ossessionati dall’idea che questa potesse ledere l’autonomia di medici liberi professionisti, ancorché convenzionati. In realtà la categoria dei MMG, per responsabilità dei propri sindacati, non si mai sentita “parte” del SSN, bensì “controparte”. Lo era al tempo delle Mutue, lo è rimasta anche dopo. Lo è tutt’oggi.

Il nuovo Distretto

La lezione che ci viene dalla pandemia è che oggi più che mai c’è bisogno di Distretto, per le molteplici funzioni che il territorio è chiamato a svolgere (e che troppo a lungo sono rimaste insoddisfatte, con enorme danno per la salute della popolazione). Ne cito alcune:

  • valutare i bisogni della comunità, alla ricerca dei gruppi di popolazione a maggiore rischio sanitario e sociale, al fine dei necessari interventi di prevenzione;
  • promuovere la salute e l’alfabetizzazione sanitaria, necessaria per favorire la partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano;
  • intervenire proattivamente (sanità d’iniziativa) sulle patologie sia infettive acute (vedi Covid-19) che su quelle croniche per diagnosticarle precocemente, per prevenire aggravamenti, scompensi e ospedalizzazioni;
  • organizzare i servizi in funzione della comunità e delle persone (e non delle malattie) favorendo il lavoro multidisciplinare, l’integrazione socio-sanitaria e la sistematica presa in carico dei casi complessi (compresi i pazienti psichiatrici);
  • garantire la continuità delle cure governando attivamente le relazioni tra reparti ospedalieri e servizi territoriali;
  • impedire la segregazione delle persone non-autosufficienti in strutture tipo RSA, individuando soluzioni alternative rispettose della loro dignità.

Inutile sottolineare quanto sia difficile e complessa la direzione e la gestione di queste funzioni e quanto sia per questo indispensabile un’organizzazione strutturata dei servizi territoriali: il Distretto, appunto.  Quello previsto dalla riforma Bindi del 1999, con alcuni necessari “rinforzi”.

Il primo riguarda l’istituzione di “Unità complesse di cure primarie (UCCP)” previste dal Decreto Balduzzi del 2012. Si tratta di forme organizzative multiprofessionali che erogano prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei professionisti delle cure primarie e del sociale a rilevanza sanitaria, con l’obiettivo di garantire un’offerta di servizi qualificata e più ampia in termini di orari di accesso.

Il secondo riguarda la necessità di dotare il territorio di strutture fisiche adeguate, anche per “favorire, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori, la unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie” (secondo la proposta di Case della Salute coniata dalla ministra Livia Turco). È interessante notare al riguardo una recente presa di posizione dell’Ordine dei Medici di Verona, già citata in un precedente post: “L’epidemia da coronavirus ha, fra l’altro, evidenziato l’inadeguatezza delle sedi fisiche di molte medicine di gruppo. Manca, infatti una tipologia urbanistica e architettonica specifica per questa modalità assistenziale; le sedi sono spesso ricavate ristrutturando spazi commerciali al piano terra di edifici ad uso abitativo e commerciale. La recente esperienza suggerisce che vengano progettati spazi appositi che comprendano ad esempio, un locale da adibire ad “ambulatorio sporco” e dotazioni di DPI di emergenza stoccati in previsione di una emergenza, nonché spazi dedicati alla segreteria e al personale infermieristico. I Comuni dovrebbero, da parte loro, predisporre nella loro programmazione urbanistica spazi e standard urbanistici appositi per queste attività”.

Il terzo riguarda la necessità di modernizzare l’infrastruttura digitale della sanità territoriale (e non solo), particolarmente arretrata nel nostro paese, non solo per favorire i collegamenti all’interno del sistema a fini epidemiologici, assistenziali e gestionali, ma anche per consentire forme innovative di relazione con i pazienti (telemedicina, teleconsulto).

Ci vorrebbe infine, inutile nasconderlo, una medicina di famiglia profondamente rinnovata, a partire da una formazione che sia all’altezza della sfida che cure primarie e servizi territoriali devono sostenere. E’ quello che chiedono gruppi di giovani medici riuniti in varie associazioni (Aim, Sigm, Smi e Campagna “2018 primary health care: now or never”) che hanno denunciato l’arretratezza della medicina generale italiana nei confronti degli altri paesi EU e richiesto una nuova formazione, in assenza della quale “la professione del MMG rimarrà obsoleta e sarà destinata ad auto-estinguersi”.

Bibliografia

  1. Lettera aperta al direttore welfare Lombardia, 19.06.2020

fonte: 

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