Il Covid 19 e la salute delle donne. di Tullia Todros

I primi dati relativi all’infezione da coronavirus SARS-2 (COVID-19) evidenziavano differenze di genere nella risposta al virus: la malattia era meno grave nelle donne e più grave negli uomini. Questa differenza si è confermata nel tempo: l’infezione colpisce in misura più o meno simile uomini e donne, ma la mortalità è minore fra le donne, e questo è vero per tutte le fasce di età (1). L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato i dati sul sito Epicentro a partire dall’inizio della pandemia sino ad oggi.  Il bollettino più recente (7 luglio 2020) riporta 241.849 casi diagnosticati, di cui 130.914 (54%) fra le donne e 110.914 (46%) fra i maschi. Complessivamente sono morte 33.951 persone, pari al 14% degli infetti; tuttavia la letalità (numero di morti fra i soggetti infetti) è 10,9% fra le donne, con percentuali che variano dallo 0,1% al 27% nelle diverse fasce di età, mentre fra gli uomini è 17,7%, con percentuali variabili dallo 0,2% al 51% nelle diverse fasce di età (2). Da notare che l’Italia è stata uno dei pochi Paesi a rilevare i dati relativi agli esiti dell’infezione disaggregati per sesso e per età.

Non è chiaro per quale motivo le donne si ammalino meno gravemente rispetto agli uomini. Si ipotizzano differenze dovute a diversa produzione di ormoni, a diversa espressione di enzimi (legata alla presenza di due cromosomi X nelle donne) coinvolti specificamente nello sviluppo della malattia, ad una diversa risposta immunitaria ai virus, ma anche alla diversa presenza di fattori di rischio per COVID-19 come malattie polmonari croniche, ipertensione, malattie cardiovascolari che sono meno frequenti nelle donne, eccetto che per le classi di età più alte (3).

Particolare preoccupazione destava il diffondersi dell’infezione fra le donne in gravidanza. Durante l’epidemia di SARS del 2003 erano morte circa il 50% delle donne che avevano contratto l’infezione in gravidanza. Per il COVID-19 invece i dati più recenti e meglio raccolti ed elaborati ci dicono che le gravide che hanno contratto l’infezione in Italia sono poche e che la malattia ha avuto un decorso lieve o moderato (4). Analoghi risultati sono stati ottenuti nel Regno Unito, dove è in essere da molti anni un sistema di sorveglianza delle patologie gravi e della mortalità materna simile a quello Italiano (5).

Se queste sono le “buone notizie” circa la salute delle donne in relazione alla pandemia da coronavirus, ve ne sono altre meno buone. Il rapporto annuale dell’ISTAT 2020 evidenzia come il COVID-19 abbia messo in evidenza diseguaglianze socio-culturali che hanno importanti riflessi sulla salute per tutta la popolazione, ma sembrano più accentuati per le donne. In particolare è da sottolineare il maggior rischio di mortalità correlato al minor grado di istruzione. Per gli uomini con minor grado di istruzione il rischio pre-COVID era di 1,3 – 2,3 volte superiore rispetto a chi ha un grado di istruzione elevato; per le donne 1,2 – 1,4 volte. Durante la pandemia questo rischio è aumentato sia per gli uomini sia per le donne, ma in misura maggiore per le donne (6). Questo dato è stato riscontrato anche fra le donne in gravidanza: hanno manifestato sintomi più gravi il 66% di donne con un basso grado di istruzione rispetto al 31% di quelle con un grado alto. Inoltre hanno manifestato sintomi più gravi il 55% ed il 63% di donne di origine rispettivamente africana e sud americana, e il 26% delle donne europee (4). Risultati simili sono riportati nello studio relativo ai dati del Regno Unito (5).

Ancora, il rapporto annuale dell’ISTAT 2020 segnala che gli interventi chirurgici oncologici sono diminuiti a partire dall’inizio di Marzo 2020 rispetto allo stesso periodo del biennio 2018-2019; questa diminuzione è dovuta in gran parte alla riduzione degli interventi per tumore alla mammella (6).

Infine, durante la pandemia è stato più difficile per le donne l’accesso ai consultori e all’aborto. L’annosa questione della difficoltà in molte Regioni di accedere all’aborto è stata esaltata dalla situazione di questi mesi, come molte altre criticità nel campo della sanità, e non solo della sanità. La risposta alle criticità può essere indirizzata in diverse direzioni. Quello che è successo riguardo all’aborto è a mio parere esemplare. Da anni veniva richiesto di promuovere buone pratiche per quanto riguarda l’applicazione della legge 194/1978 sull’interruzione della gravidanza, estendendo i limiti temporali per l’aborto farmacologico (da 7 a 9 settimane) e permettendo di effettuarlo in regime di day hospital o ambulatoriale (oggi è previsto un ricovero ospedaliero di tre giorni), come avviene in quasi tutti i Paesi. Le linee guida prodotte dal Consiglio Superiore di Sanità risalgono al 2010, e già allora non riflettevano lo stato di avanzamento delle pratiche cliniche più aggiornate (7, 8). Nel mese di giugno è stato promosso un appello da alcune associazioni (Pro-choice RICA, LAIGA, AMICA, Vita di Donna) che ha raccolto oltre 80.000 firme e sono state fatte manifestazioni per chiedere modifiche alle linee guida del 2010. Il risultato è che un nuovo parere è stato richiesto dal Ministro Speranza al Consiglio Superiore di Sanità che speriamo porti ad una modifica delle Linee Guida.

A mio avviso questo è anche il momento per muoversi sui consultori. L’emergenza COVID ha evidenziato le carenze della medicina di territorio; tutti concordano (almeno a parole, perché nei fatti…..) sulla necessità di potenziare/istituire gruppi di medici di medicina generale, case della salute, assistenza domiciliare, ecc., ma di consultori non si sente mai parlare. Uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato subito prima dell’inizio della pandemia (9) evidenzia che i consultori, nella maggioranza delle Regioni italiane, sono inadeguati sia rispetto al loro numero (dovrebbero essere 1/20.000 abitanti), sia rispetto alle figure professionali che ci lavorano. Inoltre esiste una grande variabilità, anche all’interno della stessa Regione, in termini di strutturazione, organizzazione, offerta di servizi.

Molti fondi sono stati stanziati e verranno stanziati nei prossimi mesi per far fronte alla crisi prodotta dalla pandemia: non permettiamo che vengano sprecati e pretendiamo che gli interessi delle donne siano centrali!

Riferimenti bibliografici

  1. Global Health 5050 COVID-19 data tracker
  2. ISS – EPICENTRO BOLLETTINI COVID – Marzo – Luglio 2020
  3. Gehbard C et al. Impact of sex and gender on COVID-19 outcomes in Europe. Biology of sex differences 2020; 11: 29
  4. Maraschini A et al. Coronavirus and birth in Italy. Studio di coorte italiano (ISS)
  5. Knight M et al. Coronavirus and birth in UK. Studio di coorte UK (BMJ)
  6. ISTAT Rapporto annuale 2020
  7. Ministero della Salute. Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine. 24 giugno 2010
  8. World Health Organization. Clinical practice handbook for Safe Abortion. 2014
  9. ISS – I Consultori Famigliari a 40 anni dalla loro nascita. 2019

fonte: 

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