Covid-19 ha colpito l’Italia causando la peggiore crisi sanitaria, economica e psicosociale dalla seconda guerra mondiale. La pandemia ha ucciso oltre 33 mila persone aumentando in modo rapido la mortalità per tutte le cause nelle zone più colpite, causando una riduzione del PIL del 6-9,5%[1] e aumentando vari problemi psicosociali come l’ansia, la depressione, e l’isolamento sociale[2]. L’Italia è stata elogiata dall’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) per aver attuato una drastica strategia di “lockdown”. Un recente articolo, pubblicato dal gruppo di ricercatori di Imperial College London, ha stimato che le misure di contenimento di Covid-19 in Italia hanno salvato la vita a circa 38 mila persone[3]. Tuttavia, oltre agli elogi, sono state sollevate alcune critiche al modo di prepararsi e gestire la pandemia, non solo in Italia, ma in Europa e negli USA. Richard Horton, editore di Lancet, ha spiegato che aver ignorato gli avvertimenti di epidemiologi e scienziati della salute pubblica ha causato quello che lui ha definito “il più grande fallimento delle global science policy in una generazione”[4].
In questo articolo, esaminiamo sette aree di criticità e lezioni per il futuro sulla strategia di contenimento di Covid-19 in Italia.
- Il Piano Nazionale contro le Pandemie
Dagli anni ’80 si sono susseguite le epidemie dell’HIV, SARS, MERS, Ebola e gli esperti hanno da tempo fatto notare il crescente rischio pandemico[5,6]. Sapevamo che sarebbe potuto succedere. Il difetto non è stato di conoscenza, bensì la presunzione, dimostratasi manifestamente e tragicamente errata, che questa eventualità avrebbe continuato ad interessare altri, percepiti “lontani” geograficamente, soprattutto come abitudini e stili di vita. Una presunzione che forse è all’origine di quell’inerzia che nel nostro Paese ha impedito che si desse concreta attuazione al Piano Nazionale di Preparazione e Risposta a una Pandemia (PNPRP), prodotto dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie nel 2008[7].
Nonostante il piano e i suoi obiettivi, la predisposizione e implementazione delle azioni concrete ed efficaci finalizzate a preparare il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ad affrontare in modo adeguato una pandemia non ha avuto luogo, inoltre dal 2008 ad oggi il Piano non è mai stato aggiornato. Secondo il Global Health Security Index, sviluppato dalla John Hopkins University, l’Italia è infatti al 51esimo posto a livello mondiale in termini di capacità di risposta e preparazione a una pandemia[8].Raccomandazione 1: elaborare e aggiornare il piano nazionale contro le pandemie includendo obiettivi SMART (specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e definibili nel tempo).
- L’assistenza ospedaliera
I ricoveri per Covid-19 per 100.000 abitanti presentano un valore medio nazionale che ha raggiunto il massimo tra l’ultima settimana di marzo e la prima di aprile (55/100.000) – registrando una oggettiva e significativa variabilità tra le regioni maggiormente colpite (dagli oltre 130 ricoveri della Lombardia ai 39 della Toscana, passando per i 96 dell’Emilia-Romagna e i 90 del Piemonte) – riducendosi in poco meno di un mese di oltre il 27%. Il numero massimo di ricoveri in terapia intensiva ha superato i 4.000 nei primi giorni di aprile. La dotazione di posti letto di rianimazione in Italia è passata dai circa 5.200 di fine di marzo agli oltre 9.200 posti dell’inizio del mese di aprile. Per ogni letto di terapia intensiva dovremmo indicativamente disporre di 1 medico, 2,5 infermieri e 1 operatore sociosanitario (OSS). Sostenere di avere attivato circa 4.000 posti integrativi di terapia intensiva equivale a dire che, pur nelle preesistenti condizioni di carenza di personale sul mercato del lavoro, si è stati in grado di reclutare circa 4.000 medici, 10.000 infermieri e 4.000 OSS. La media europea di posto letto per terapia intensiva è 11,5/100.000 abitanti, l’Italia si posiziona sopra la media con 12,5/100.000 abitanti (Germania al primo posto con 29,2/100.000)[9]. Lo stesso sistema di approvvigionamento in beni e servizi dell‘SSN ha mostrato la sua insufficienza, nella misura in cui ha reso evidente che i riassetti organizzativi orientati esclusivamente dalla logica di minimizzazione dei costi (centrali di acquisto) hanno omesso di considerare gli aspetti di qualità degli approvvigionamenti, ad esempio come è accaduto per i dispositivi individuali di protezione (DPI).
Raccomandazione 2: flessibilità organizzativa e tempestività di adeguamento contingente della rete ospedaliera pubblica e privata, adozione di strumenti contrattuali che diano garanzia di continuità di approvvigionamento nella fornitura di DPI.
- SSN pubblico e universalistico
L’epidemia sta dimostrando ancora una volta che promozione e mantenimento della salute della popolazione, richiedono un sistema universalistico. Se la responsività può essere garantita anche da un sistema assicurativo su base volontaristica, il gradiente sociale nella salute delle persone e della popolazione è minimizzato da un sistema pubblico. Questo non significa superare il sistema misto che contraddistingue la maggior parte dei sistemi sanitari avanzati ma sicuramente richiede un governo interamente pubblico che, all’occorrenza, sappia orientare le risorse private che, almeno teoricamente, operano in nome e per conto dei sistemi di assicurazione obbligatoria. In questa epidemia il contributo del privato accreditato è stato oggettivamente inferiore al peso che lo stesso ha all’interno del SSN, gli strumenti di governo pubblico delle risorse private accreditate si sono dimostrati lenti e solo parzialmente efficaci per mettere l’offerta privata accreditata al servizio del contrasto dell’epidemia. Noi ci siamo concentrati sulla saturazione dei letti ospedalieri, tuttavia quella non è la causa dello tsunami ma l’effetto della debolezza (nell’organizzazione e nella dotazione) nella quale il SSN ha continuato a mantenere i livelli assistenziali di sanità pubblica e delle cure primarie. Sono questi i livelli assistenziali che più di quello ospedaliero avrebbero consentito, e consentirebbero per il futuro, di mettere in atto tempestivamente gli interventi più appropriati (testing, tracking and isolating)[10] per migliorare l’efficacia degli interventi di attenuazione della diffusione dei contagi e per anticipare una presa in carico terapeutica ed assistenziale che riduca il trasferimento della risposta sul livello ospedaliero.Raccomandazione 3: riordino del sistema pubblico con revisione del sistema di governo e potenziamento dei livelli assistenziali di sanità pubblica e cure primarie.
- La medicina generale
La criticità maggiore durante l’epidemia ha riguardato il contenimento della diffusione, collegata ai quarantenati a domicilio e ai loro conviventi e alla gravità della situazione nelle strutture residenziali socio-sanitarie. L’epidemia di Covid-19, al di là della drammatica sproporzione tra un picco di domanda su tutti i fronti e le oggettive difficoltà per farvi fronte, ha fatto venire al pettine i nodi problematici delle politiche regionali dell’ultimo decennio; gli operatori sanitari di Codogno hanno vissuto per primi sulla propria pelle l’abbandono in cui è stato lasciato il territorio[11]. La Regione Lombardia nel 2017 aveva lanciato con due delibere il piano nazionale cronicità basandolo su tariffe e risparmio, su competizione e mercato, sulla presenza opzionale dei medici di medicina generale, sull’assenza di efficaci interventi di prevenzione e di supporto all’autocura[12]. Il tutto in un contesto privo della infrastruttura considerata fondamentale e irrinunciabile in ogni seria strategia di prevenzione, controllo e gestione delle malattie: il distretto e l’organizzazione delle cure primarie. In tutto il Paese da un lato l’organizzazione della medicina generale si è dimostrata inefficace per mancanza di strumenti capaci di contenere il virus e trattarlo adeguatamente (mancata distribuzione dei DPI ai medicina di medicina generale, impossibilità di richiedere tamponi e trattamento adeguato) e dall’altro per l’incapacità di coordinamento e governo dell’assistenza primaria nelle sue articolazioni (linee di indirizzo chiare per la gestione delle cure primarie, stratificazione del rischio di popolazione afferente al distretto sanitario, educazione ed empowerment della popolazione su gestione malattie infettive, presa in carico della popolazione più fragile).Raccomandazione 4: la gestione delle cure primarie non richiede competizione tra comparti del SSN ma coordinamento tra i diversi livelli sistemici ed attori professionali.
- La formazione
In Italia le politiche di de-finanziamento del SSN hanno decimato le dotazioni organiche di tutti i settori, ma ancor più quelli afferenti ai servizi territoriali e ai dipartimenti di prevenzione (con paurose conseguenze nella gestione della pandemia). È evidente che per rispondere ai bisogni di cura sempre più complessi sia necessario, e più efficace, adottare un approccio socio-sanitario integrato, coordinato e comprehensive. Dagmar Rinnenburger, autrice del libro “La cronicità”, nel capitolo dedicato alle conclusioni e alle proposte (“Se fossi un politico potente….”), scrive: “Rivoluzionerei la medicina di base, facendone il perno centrale del cambiamento; farei dei team di medicina di famiglia con medico, infermiere, fisioterapisti e forse anche psicologi, piccoli centri nei quartieri, accessibili a tutti”[13]. Inoltre all’ombra dell’emergenza Covid-19 si è cercato di consumare un colpo di mano senza precedenti, istituzionalizzando Big Pharma, nel ruolo di formatore dei futuri medici di medicina generale, attraverso l’ingerenza dell’industria farmaceutica[14]. Da segnalare, al contrario, le proposte di alcune associazioni di giovani medici – Spazio Aperto, Segretariato Italiano Giovani Medici (SIGM), Campagna PHC, Now or Never – a favore dell’istituzione delle Scuole di specializzazione universitarie in Medicina Generale, di Comunità e Cure Primarie[15]. Occorre investire inoltre sulla formazione di una nuova classe dirigente formata in Salute Pubblica, programmazione organizzazione gestione dei servizi sanitari e valutazione delle politiche di Salute, con un’attenzione particolare alla multidisciplinarietà[16].Raccomandazione 5: lo sviluppo di nuove scuole multidisciplinari di Salute Pubblica e valutazione delle Politiche di Salute e revisione delle scuole di specializzazione in Medicina Generale.
- Il sistema di raccolta dati
L’emergenza dell’epidemia di Covid-19 potrebbe essere un’opportunità per comprendere il valore dei sistemi di sorveglianza degli esiti di salute e dei loro determinanti utilizzabili non solo per capire il fenomeno, ma anche per fare previsioni sull’andamento della pandemia[17]. La disponibilità di dati pubblici e accessibili è una prerogativa delle democrazie più avanzate. Ma non basta fornire i dati; occorre agevolare il più possibile il passaggio dal dato all’informazione. In momenti di crisi come quello che stiamo vivendo in queste settimane avere dati affidabili è indispensabile, ma lo è ancora di più consentirne una corretta elaborazione, comprensione e comunicazione. La corretta interpretazione di queste informazioni può, per esempio, aiutare la popolazione a coordinarsi verso comportamenti virtuosi che producono, poi, benefici diffusi. La giusta informazione può, inoltre, funzionare come feedback verso i comportamenti individuali. Occorre dotarsi di una struttura che gestisca l’informazione e la comunicazione istituzionale e pubblica efficacemente, che smetta di preoccuparsi di non preoccupare, che promuova invece comportamenti informati e consapevoli della popolazione. La fiducia nella scienza e nella politica da parte dei cittadini si costruisce attraverso relazioni comunicative bidirezionali strutturate e durevoli, in una logica di equilibrio tra primo e secondo comma dell’Articolo 32 della Costituzione, tra salute individuale e collettiva.Raccomandazione 6: lo sviluppo di sistemi di informazione epidemiologica trasparenti e facilmente accessibili con coinvolgimento dei cittadini.
- Le strategie di salute pubblica
La letteratura mostra che alla base delle strategie di contenimento di Covid-19 vi sono tre fasi fondamentali: testare, tracciare e trattare. I Paesi però si distinguono per la varietà delle risposte alla pandemia. Da un lato, abbiamo Paesi come Stati Uniti, Spagna, Regno Unito o Francia (e Italia) che hanno avuto un’epidemia fuori controllo. Questi Paesi non erano preparati a gestire la crisi, quindi hanno applicato una serie di misure molto pesanti come il full lockdown per contenere l’infezione[18]. In questi Paesi, le uniche persone sottoposte a test sono quelle che sono malate o che potrebbero ammalarsi (ad es. operatori sanitari), per isolarle e curarle. Dall’altro lato abbiamo Taiwan, il Vietnam o la Corea del Sud. Questi Paesi usano test non solo per diagnosticare i pazienti, ma anche per tracciare i contatti degli infetti e testarli anche se non hanno sintomi. Inoltre, hanno testato ampiamente chiunque potesse essere infetto, ma non sapeva ancora di esserlo. La strategia adottata in questi Paesi è stata parzialmente riprodotta in Veneto, diretta dal Professor Crisanti che ha insistito nell’uso dei tamponi agli asintomatici potenzialmente a rischio. Recentemente, un gruppo di 37 epidemiologi e ricercatori di assoluta fama mondiale ha sollecitato il Governo inglese a testare ogni settimana tutta la popolazione fino alla scomparsa stabile per diverse settimane dei nuovi contagi. La loro lettera è stata pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet[19]. Il lockdown generalizzato su tutto il territorio nazionale produce gravi costi economici e psicosociali. (Al fine di contenere Covid-19 senza lockdown è necessaria una rapida individuazione dei casi, il loro isolamento e la sorveglianza dei contatti, oltre alla quarantena domestica e il distanziamento sociale delle persone più a rischio (over 65 e pluripatologici), con sorveglianza e presidio delle strutture residenziali per anziani[20].Raccomandazione 7: la prospettiva di salute a livello territoriale e di popolazione è fondamentale per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive.
Conclusioni
Lo scoppio della pandemia di Covid-19 ha messo a nudo una serie di limiti del SSN e mostrato l’importanza di avvalersi, in caso di emergenza, di una serie di strumenti finalizzati al contenimento dell’infezione e della mortalità ad essa correlata. Quest’analisi ha identificato almeno sette aree di criticità e altrettante lezioni da imparare: a) il Piano Nazionale contro le Pandemie; b) l’assistenza ospedaliera; c) il SSN pubblico e universalistico; d) la formazione; e) la medicina generale; f) il sistema di raccolta dati e g) le strategie di salute pubblica.
Covid-19 ha causato oltre 33 mila decessi solo in Italia, e senza il lockdown le vittime sarebbero state molte di più. Tuttavia, è dovere dei decision-makers del nostro SSN chiedersi quante vite potevano essere salvate e quali strategie di contenimento del virus si sono rivelate più efficaci. Se lo scoppio di Covid-19 ha colto quasi tutti di sorpresa, inclusi molti virologi, politici, medici e perfino l’OMS, la prossima pandemia non deve trovarci impreparati.
Tiziano Carradori, Direzione Generale Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.
Francesca Bravi e Giorgia Valpiani, Accreditamento Qualità Ricerca Innovazione, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.
Roberto De Vogli, Dipartimento di Psicologia Sociale e Sviluppo, Centro di Diritti Umani, Università di Padova.
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