A vedere le tragiche immagini dell’agonia di George Floyd è impossibile che non tornino alla mente le ultime parole di Federico Aldrovandi. George Floyd era “ubriaco e non in sé”, Federico Aldrovandi un drogato morto per una dose: etichettati e stigmatizzati, perché la vittima copra le responsabilità di coloro che dovevano custodire quei corpi in nome dello Stato.
Floyd aveva però un’aggravante, era nero. Perché essere nero, a guardare le statistiche, pare essere già indizio di colpevolezza per la polizia americana. Di quale reato preciso si vedrà dopo la perquisizione. Si chiama “profiling”, ed è quella pratica delle forze dell’ordine, volta a selezionare le persone da fermare a seconda dell’appartenenza etnica. Così i neri (ma anche ispanici, asiatici e nativi americani) hanno molte più probabilità di essere fermati, sottoposti a perquisizione e quindi arrestati. Succede anche in Italia, basta incrociare una qualsiasi perquisizione in una stazione.
La prima causa di arresto negli Stati Uniti è la droga. Basta il possesso, negli Usa come in Italia, per poter procedere per via penale o amministrativa. L’FBI stima che nel 2018 vi siano stati 1.657.282 arresti per droghe, il 16% del totale. La gran parte per cannabis, nonostante in 11 stati sia legale per tutti gli usi (per uso terapeutico in 32) e che a partire dagli anni ’70 sia stata depenalizzata in altri 27. Eppure gli arresti per marijuana negli Stati Uniti, sono tornati recentemente a crescere, uno ogni 48 secondi.
Per farsi un’idea di quello che davvero succede sulle strade americane è fondamentale andare a leggersi il rapporto “A Tale of Two Countries: Racially Targeted Arrests in the Era of Marijuana Reform” rilasciato dall’American Civil Liberties Union (ACLU). Viene offerta un’analisi in profondità, contea per contea, concentrata sugli arresti per cannabis.
Gli arresti per marijuana costituiscono “il 43% di tutti gli arresti per droga, più di qualsiasi altra droga”. Nove su 10 casi sono per semplice possesso, e l’impatto personale può essere devastante. In molti Stati può cambiare la vita: “i genitori possono perdere i loro figli; i beneficiari di prestazioni pubbliche, disabili o con basso reddito, possono perdere l’assistenza sanitaria; gli immigrati possono affrontare la deportazione; le famiglie possono essere sfrattate dalle case popolari; trovare un lavoro può essere difficile e assolutamente impossibile in alcuni casi.”
Nonostante che la prevalenza d’uso della cannabis sia sostanzialmente uguale fra comunità nere e bianche, un nero ha 3,6 volte più possibilità di un bianco di essere arrestato per possesso di marijuana. Ovviamente la frequenza degli arresti diminuisce negli stati dove è legale (ma neanche in tutti), ma permangono le differenze etniche. Nel Minnesota la disparità etnica è maggiore della media: 5 volte e mezzo. Nella contea di Hennepin, dove è morto George Floyd, il rapporto è ancora più alto: rispetto a un bianco arrestato, 7 sono i neri finiti in manette. Infine secondo uno studio pubblicato da PNAS nel 2019, 1 uomo nero su 1000 si può aspettare di essere ucciso dalla Polizia, il doppio di probabilità di un bianco. Negli Usa una pallottola sparata dalla polizia è la prima causa di morte per i giovani maschi neri.
“A causa del razzismo nel nostro sistema di giustizia penale, le comunità di neri, ispanici e sud asiatici affrontano in modo sproporzionato queste ripercussioni dannose” conclude il rapporto di ACLU. “La profilazione etnica da parte delle forze dell’ordine è direttamente responsabile di queste disparità. […] I reati minori – incluso il possesso di marijuana – vengono applicati in modo aggressivo nelle comunità di colore mentre questi stessi reati vengono applicati raramente nelle comunità più ricche, prevalentemente bianche”.
Il rapporto di ACLU è on line su Fuoriluogo.it
La war on drugs come strumento della repressione. L’approfondimento su Fuoriluogo.it